Il naqqāli è un’antica forma di narrazione orale iraniana, che negli ultimi dieci anni, è stata soggetta a importanti politiche di patrimonializzazione culminate nel suo inserimento nella lista UNESCO dei patrimoni immateriali dell’umanità. Uno degli obiettivi della presentazione è mostrare le retoriche identitario-religiose che stanno alla base delle politiche di patrimonializzazione attuate in Iran attraverso il caso studio del naqqāli. Un’altra questione che verrà trattata riguarda il rapporto tra la tradizione orale e quella scritta. Per comprendere il naqqāli, infatti, bisogna partire da uno dei testi più importanti della letteratura persiana, lo Shāhnāmeh (Il Libro dei re), poema epico composto nel X sec. dal poeta Hakim Abul-Qasem Ferdowsi Tousi, il quale fornisce il materiale narrativo al naqqāli. L’opera narra la storia della Persia dalla formazione del mondo fino all’avvento dell’Islam nel VII secolo d.C. Le due caratteristiche più importanti dello Shāhnāmeh sono l’uso esclusivo di parole persiane – da qui l’importanza dell’opera per la rinascita della lingua persiana successivamente all’influenza dell’arabo – e la descrizione della storia della Persia, dei suoi valori culturali, del senso di nazionalità e delle religioni preislamiche (in particolare lo zoroastrismo). Analizzando il rapporto tra fonti scritte e trasmissione orale, emerge quanto l’una e l’altra siano meno dipendenti di quanto si pensasse: dal XVI sec. a oggi, la tradizione orale trasmessa dal naqqāl (il narratore, letteralmente “tramandatore”) si distacca notevolmente dall’opera di Ferdwosi circa i temi narrati. In generale, poiché le performance di naqqāli si basano sulle capacità di improvvisazione del performer, lo sviluppo narrativo degli episodi epici non solo diverge da quello dello Shāhnāmeh di Ferdowsi e dalle versioni di autori successivi, ma anche dagli stessi tumar, raccolte di storie epiche a opera dello stesso naqqāl. In verità, la profonda connessione tra l’opera di Ferdowsi e l’arte di narrazione orale è piuttosto recente ed è da ricondurre alle politiche culturali di Reza Shah. Fu quest’ultimo nel 1926 a vietare agli artisti di nararre storie che non facessero parte del corpus epico del Libro dei re. Prima della decisione dello Scià, un narratore poteva includere nel suo repertorio materiale quello tratto da altri poemi epici dell’XI secolo d.C. (Garshaspnāmeh, Borzunāmeh, ecc.), ma anche storie dei sovrani safavidi, dinastia di origine turca che governò la Persia tra il XVI e XVIII secolo. Storicamente lo sviluppo e la diffusione del naqqāli avvengono, infatti, durante l’era safavide. Proprio grazie alle politiche nazionali e religiose volute dalla dinastia – lo sciismo dodicesimano diviene religione di stato – il naqqāli assunse un ruolo importante nel rafforzare lo spirito nazionale persiano, non solo epico ed eroico, ma soprattutto religioso. È il repertorio religiso, più che quello epico del Libro dei re, ad aver caratterizzato l’arte di narrazione orale prima dell’avvento della dinastia Pahlavi e delle sue politiche culturali. Queste narrazioni religiose, influenzate del genere letterario noto come maqtal (“storia del martirio”) prendono il nome di rawza-khani. Si tratta di lamentazioni ed elegie che commemorano gli Imam sciiti, il cui nome deriva dal titolo del capolavoro letterario in lingua persiana Rawzat al-shohadaʾ (“Il giardino dei martiri”), composto nel XVI sec. da Husayn Vaʿez Kashefi, durante appunto la dinastia safavide. La mescolanza di temi religiosi ed etici differenti, dello zoroastrismo e dello sciismo, fa del naqqāli uno spazio performativo dove continuamente negoziare identità e valori religiosi, dove Rostam da eroe epico preislamico assume le caratteristiche del missionario sciita, acquisendo persino qualità proprie dell’Imam ʿAli.
Gioele Zisa (2023). Ali e Rostam, due volti della stessa eroicità. Valori preislamici e mistica sciita nel teatro tradizionale naqqāli d’epoca safavide. In I. Spanò (a cura di), Il Teatro e la festa. Il tempio, la piazza, la scena. Atti del Convegno internazionale Palermo, 16-18 novembre 2021 (pp. 167-185). Palermo : Fondazione Ignazio Buttitta.
Ali e Rostam, due volti della stessa eroicità. Valori preislamici e mistica sciita nel teatro tradizionale naqqāli d’epoca safavide
Gioele Zisa
2023-01-01
Abstract
Il naqqāli è un’antica forma di narrazione orale iraniana, che negli ultimi dieci anni, è stata soggetta a importanti politiche di patrimonializzazione culminate nel suo inserimento nella lista UNESCO dei patrimoni immateriali dell’umanità. Uno degli obiettivi della presentazione è mostrare le retoriche identitario-religiose che stanno alla base delle politiche di patrimonializzazione attuate in Iran attraverso il caso studio del naqqāli. Un’altra questione che verrà trattata riguarda il rapporto tra la tradizione orale e quella scritta. Per comprendere il naqqāli, infatti, bisogna partire da uno dei testi più importanti della letteratura persiana, lo Shāhnāmeh (Il Libro dei re), poema epico composto nel X sec. dal poeta Hakim Abul-Qasem Ferdowsi Tousi, il quale fornisce il materiale narrativo al naqqāli. L’opera narra la storia della Persia dalla formazione del mondo fino all’avvento dell’Islam nel VII secolo d.C. Le due caratteristiche più importanti dello Shāhnāmeh sono l’uso esclusivo di parole persiane – da qui l’importanza dell’opera per la rinascita della lingua persiana successivamente all’influenza dell’arabo – e la descrizione della storia della Persia, dei suoi valori culturali, del senso di nazionalità e delle religioni preislamiche (in particolare lo zoroastrismo). Analizzando il rapporto tra fonti scritte e trasmissione orale, emerge quanto l’una e l’altra siano meno dipendenti di quanto si pensasse: dal XVI sec. a oggi, la tradizione orale trasmessa dal naqqāl (il narratore, letteralmente “tramandatore”) si distacca notevolmente dall’opera di Ferdwosi circa i temi narrati. In generale, poiché le performance di naqqāli si basano sulle capacità di improvvisazione del performer, lo sviluppo narrativo degli episodi epici non solo diverge da quello dello Shāhnāmeh di Ferdowsi e dalle versioni di autori successivi, ma anche dagli stessi tumar, raccolte di storie epiche a opera dello stesso naqqāl. In verità, la profonda connessione tra l’opera di Ferdowsi e l’arte di narrazione orale è piuttosto recente ed è da ricondurre alle politiche culturali di Reza Shah. Fu quest’ultimo nel 1926 a vietare agli artisti di nararre storie che non facessero parte del corpus epico del Libro dei re. Prima della decisione dello Scià, un narratore poteva includere nel suo repertorio materiale quello tratto da altri poemi epici dell’XI secolo d.C. (Garshaspnāmeh, Borzunāmeh, ecc.), ma anche storie dei sovrani safavidi, dinastia di origine turca che governò la Persia tra il XVI e XVIII secolo. Storicamente lo sviluppo e la diffusione del naqqāli avvengono, infatti, durante l’era safavide. Proprio grazie alle politiche nazionali e religiose volute dalla dinastia – lo sciismo dodicesimano diviene religione di stato – il naqqāli assunse un ruolo importante nel rafforzare lo spirito nazionale persiano, non solo epico ed eroico, ma soprattutto religioso. È il repertorio religiso, più che quello epico del Libro dei re, ad aver caratterizzato l’arte di narrazione orale prima dell’avvento della dinastia Pahlavi e delle sue politiche culturali. Queste narrazioni religiose, influenzate del genere letterario noto come maqtal (“storia del martirio”) prendono il nome di rawza-khani. Si tratta di lamentazioni ed elegie che commemorano gli Imam sciiti, il cui nome deriva dal titolo del capolavoro letterario in lingua persiana Rawzat al-shohadaʾ (“Il giardino dei martiri”), composto nel XVI sec. da Husayn Vaʿez Kashefi, durante appunto la dinastia safavide. La mescolanza di temi religiosi ed etici differenti, dello zoroastrismo e dello sciismo, fa del naqqāli uno spazio performativo dove continuamente negoziare identità e valori religiosi, dove Rostam da eroe epico preislamico assume le caratteristiche del missionario sciita, acquisendo persino qualità proprie dell’Imam ʿAli.File | Dimensione | Formato | |
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