Fra il 1897 e il 1925 si consuma una delle fasi più importanti della storia della Sicilia d’età contemporanea. L’isola in poco più di un quarto di secolo, dopo le vicende risorgimentali antiborboniche e indipendentiste (nelle quali avevano avuto parte attiva, e di concerto, la più avvertita classe egemone, gli intellettuali e vasti strati della borghesia e del proletariato) e il non facile adeguamento alla pur tanto auspicata nuova compagine dell’Italia unita, inizialmente si avvia ad una stabilizzazione economica e ad un generale progresso sociale. Sono condizioni significative del raggiungimento, a cavallo dei due secoli, di una specifica fisionomia propositiva della sua società come emergente area mercantile; tuttavia esse avranno, nell’arco di tempo in questione, un andamento a parabola con tanto di fase ascendente e successiva discendente che nel 1925 conosce il suo minimo storico dai tempi dell’uscita dell’isola dalla crisi economica internazionale degli anni Settanta del XIX secolo. Uno scenario inimmaginabile fino a quindici o venti anni prima quando, ancora in piena Belle Èpoque, ben altro peso aveva la Sicilia in tanti settori della vita della nazione con personalità come l’imprenditore (armatore, industriale e banchiere) Ignazio Florio junior, gli architetti Ernesto Basile e Giuseppe Damiani Almeyda, gli scultori Mario Rutelli, Domenico Trentacoste, Antonio Ugo ed Ettore Ximenes, i pittori Francesco Lojacono ed Ettore De Maria Bergler, il poeta e scrittore Nino Martoglio, l’archeologo Antonio Salinas, il numismatico Raffaello Mondini, i chirurghi Francesco Durante, Gaetano Parlavecchio ed Ernesto Tricomi, i medici e demopsicologi Giuseppe Pitrè e Salvatore Salomone-Marino, il medico-legale Giuseppe Ziino, il medico e geologo Gaetano Giorgio Gemmellaro, il cristallografo e mineralogista Ruggero Panebianco, il letterato e critico Giovanni Alfredo Cesareo, gli editori Remo Sandron e Salvatore Biondo, gli attori Angelo Musco e Pina Menichelli, il musicista Luigi Sandron, il matematico Giovan Battista Guccia, i filosofi Giuseppe Amato Pojero, Cosmo Guastella, Giovanni Gentile e Francesco Orestano, il chimico Stanislao Cannizzaro, gli scrittori Luigi Capuana, Luigi Pirandello e Giovanni Verga, gli storici Michele Amari e Gioacchino Di Marzo, i costruttori Emanuele Rutelli e Michele Utveggio, il generale Giovanni Ameglio, e personalità del mondo della politica del calibro di Giacomo Armò, Pietro Bonanno, Napoleone Colajanni, Francesco Crispi, Giuseppe De Felice Giuffrida, Salvatore Favitta, Camillo Finocchiaro Aprile, Ludovico Fulci, Nicolò Gallo, Pietro Lanza di Scalea, Pasquale Libertini, Angelo Majorana, Nunzio Nasi, Vittorio Emanuele Orlando, Antonio Paternò Castello di San Giuliano, Antonio Starrabba di Rudinì e Luigi Sturzo. Era una costellazione di personalità eccezionali che, a meno di coloro i quali si trasferirono irreversibilmente nel continente, condivideva con gli altri esponenti locali dell’intellighentia, dei cenacoli artistici, della politica, dell’alta finanza e con la superstite aristocrazia la frequentazione degli stessi luoghi dell’interscambio; teatri, cinematografi, caffè, oppure sedi depositarie di specifiche funzioni culturali (come, a Palermo, il Museo Nazionale, la sede della Società della Storia Patria, la Biblioteca Comunale negli anni in cui è diretta da Gioacchino Di Marzo e principalmente la Civica Galleria d’Arte Moderna, fondata nel 1910 da Empedocle Restivo con la consulenza di Basile, De Maria e Ducrot) ma soprattutto circoli, che unitamente alle sedi istituzionali preposte alla preparazione dei nuovi quadri di esponenti del mondo culturale, professionale e artistico sono da considerare i veri “luoghi di formazione” di questo periodo (segnatamente in casi come il Circolo Matematico, il Circolo Giuridico, il Circolo Artistico e la Biblioteca Filosofica, tutti a Palermo, come il Real Circolo Musicale Bellini di Catania o come gli esclusivi salotti culturali privati di casa Alfano a Palermo o della contessa D’Ajala a Catania). Oltre ad essere una delle regioni con maggior numero di abitanti della nazione (e con il maggior concentramento di grandi centri urbani) la Sicilia, nonostante il permanere di aree rurali depresse e l’affacciarsi di alcuni gravi fenomeni di inurbamento (deteriori per le condizioni di vita e portatori di degrado sociale), poteva contare su un articolato sistema produttivo difformemente esteso anche al mercato estero; questo si verificava tanto nel settore agricolo quanto in quello estrattivo quanto, ancora, in quello industriale (tuttavia il meno incisivo fra i tre quanto a esportazioni). Non mancava nell’isola un’apprezzabile tradizione di iniziative sindacali; alla fine dell’Ottocento la regione era la terza in Italia, dopo la Lombardia e l’Emilia Romagna, per associazioni operaie. Metà di esse erano di orientamento socialista; l’altra metà era di ispirazione cattolica. Invero quella siciliana era una realtà moderatamente (o meglio settorialmente) dinamica e, in qualche modo, costretta dal peso negativo di grandi aree (soprattutto nell’interno dell’isola e in alcuni suoi territori centro-meridionali) innegabilmente affette da profonda arretratezza. Nonostante la discontinuità del suo assetto economico-sociale (fra aree emergenti e sacche di miseria atavica, fra vivacità di alcune realtà urbane, prevalentemente costiere ma in taluni casi anche dell’interno, assolutamente al passo con i tempi e anacronistico immobilismo di tanti centri abitati rurali), era in grado di occupare, anche se solo per alcuni comparti produttivi, posizioni di media, se non alta, rilevanza nell’ampio scacchiere della tarda età della “civiltà capitalista” europea. Fra i settori trainanti dell’economia siciliana della Belle Èpoque ad eccellere erano l’industria estrattiva, l’industria enologica e quella dei distillati, le compagnie di navigazione, la cantieristica navale, gli istituti di credito, l’industria di mobili e arredi, la pesca e l’industria di inscatolamento del tonno, l’industria delle lavorazioni in cemento, l’industria olearia, la produzione e lavorazione del sale, l’industria chimica e farmaceutica, la produzione agrumaria e l’estrazione di bitumi. A partire dall’attuazione dei piani regolatori e di ampliamento delle principali città siciliane, in un arco temporale che va dalla metà degli anni Novanta del XIX secolo alla metà degli anni Venti del XX secolo, sarà l’industria edilizia a fare la sua comparsa prepotente nello scenario delle attività produttive dell’isola. In effetti soprattutto i primi tre lustri del Novecento vedono alcune fra le più attive città siciliane impegnate in complessi fenomeni di rinnovamento. A parte il caso limite di Messina, interamente distrutta dal sisma e dal maremoto del 1908 e già in fase di ricostruzione alla metà degli anni Dieci sulle linee del Piano Regolatore redatto da Luigi Borzì nel 1911 (mentre ancora facevano bella mostra di sé i quartieri delle baracche in legno, esibendo un ampio ventaglio di pregevoli soluzioni tecnologiche, tipologiche e formali), si registrano consistenti mutazioni della forma urbana in città come Caltagirone, felicemente investita dall’attivismo del movimento municipalista di Luigi Sturzo, Siracusa, proiettata con il Piano Regolatore di Luigi Mauceri (nella versione del 1910) verso un salto di qualità urbana e infrastrutturale poi in parte disatteso, Agrigento, con il suo episodico ma cospicuo ampliamento panoramico lineare del viale delle Vittorie, per non parlare di Caltanissetta (primo fra i comuni dell’Italia appena unificata a dotarsi di un piano regolatore), Catania, Palermo e Trapani, che nei due decenni antecedenti al primo conflitto mondiale vanno completando, con considerevole presenza di architetture liberty, i rispettivi nuovi assetti delineati dai piani regolatori e di ampliamento d’età positivista. È la ricaduta della consistente accumulazione di capitali, verificatasi nella seconda metà del XIX secolo, e che però riguarda solo alcune aree e contesti urbani economicamente emergenti, vuoi per attività industriali, mercantili o estrattive (emblematici in tal senso sono, tra l’altro, i casi di Marsala e di Licata oltre, ovviamente, Caltagirone, Caltanissetta, Catania, Messina, Palermo, Ragusa e Trapani), vuoi per un rilancio della produttività agricola (che interessa centri come Avola, Canicattì, Canicattini Bagni, Ispica, Modica, Palazzolo Acreide, Scicli, Vittoria, ma anche Caltagirone, Licata e Marsala) propugnato e sostenuto da una agguerrita fazione riformista di proprietari terrieri di orientamento filantropico (con in testa il barone Lombardo Gangitano, il barone Chiaramonte Bordonaro, il conte Tasca d’Almerita, il principe Bruno di Belmonte). Questa realtà economica innesterà un vasto processo di produzione edilizia in un arco temporale limitato; un fenomeno la cui dimensione, relativamente alla storia isolana, ha come precedenti solamente le ricostruzioni settecentesche (in realtà ben più diluite nel tempo) di Catania, di Messina e delle città e dei paesi del Val di Noto dopo i rispettivi cataclismi.

SESSA, E. (2008). Società e cultura in Sicilia. In S.E. Quartarone C (a cura di), Arte e Architettura liberty in Sicilia (pp. 15-60). Palermo : Grafill.

Società e cultura in Sicilia

SESSA, Ettore
2008-01-01

Abstract

Fra il 1897 e il 1925 si consuma una delle fasi più importanti della storia della Sicilia d’età contemporanea. L’isola in poco più di un quarto di secolo, dopo le vicende risorgimentali antiborboniche e indipendentiste (nelle quali avevano avuto parte attiva, e di concerto, la più avvertita classe egemone, gli intellettuali e vasti strati della borghesia e del proletariato) e il non facile adeguamento alla pur tanto auspicata nuova compagine dell’Italia unita, inizialmente si avvia ad una stabilizzazione economica e ad un generale progresso sociale. Sono condizioni significative del raggiungimento, a cavallo dei due secoli, di una specifica fisionomia propositiva della sua società come emergente area mercantile; tuttavia esse avranno, nell’arco di tempo in questione, un andamento a parabola con tanto di fase ascendente e successiva discendente che nel 1925 conosce il suo minimo storico dai tempi dell’uscita dell’isola dalla crisi economica internazionale degli anni Settanta del XIX secolo. Uno scenario inimmaginabile fino a quindici o venti anni prima quando, ancora in piena Belle Èpoque, ben altro peso aveva la Sicilia in tanti settori della vita della nazione con personalità come l’imprenditore (armatore, industriale e banchiere) Ignazio Florio junior, gli architetti Ernesto Basile e Giuseppe Damiani Almeyda, gli scultori Mario Rutelli, Domenico Trentacoste, Antonio Ugo ed Ettore Ximenes, i pittori Francesco Lojacono ed Ettore De Maria Bergler, il poeta e scrittore Nino Martoglio, l’archeologo Antonio Salinas, il numismatico Raffaello Mondini, i chirurghi Francesco Durante, Gaetano Parlavecchio ed Ernesto Tricomi, i medici e demopsicologi Giuseppe Pitrè e Salvatore Salomone-Marino, il medico-legale Giuseppe Ziino, il medico e geologo Gaetano Giorgio Gemmellaro, il cristallografo e mineralogista Ruggero Panebianco, il letterato e critico Giovanni Alfredo Cesareo, gli editori Remo Sandron e Salvatore Biondo, gli attori Angelo Musco e Pina Menichelli, il musicista Luigi Sandron, il matematico Giovan Battista Guccia, i filosofi Giuseppe Amato Pojero, Cosmo Guastella, Giovanni Gentile e Francesco Orestano, il chimico Stanislao Cannizzaro, gli scrittori Luigi Capuana, Luigi Pirandello e Giovanni Verga, gli storici Michele Amari e Gioacchino Di Marzo, i costruttori Emanuele Rutelli e Michele Utveggio, il generale Giovanni Ameglio, e personalità del mondo della politica del calibro di Giacomo Armò, Pietro Bonanno, Napoleone Colajanni, Francesco Crispi, Giuseppe De Felice Giuffrida, Salvatore Favitta, Camillo Finocchiaro Aprile, Ludovico Fulci, Nicolò Gallo, Pietro Lanza di Scalea, Pasquale Libertini, Angelo Majorana, Nunzio Nasi, Vittorio Emanuele Orlando, Antonio Paternò Castello di San Giuliano, Antonio Starrabba di Rudinì e Luigi Sturzo. Era una costellazione di personalità eccezionali che, a meno di coloro i quali si trasferirono irreversibilmente nel continente, condivideva con gli altri esponenti locali dell’intellighentia, dei cenacoli artistici, della politica, dell’alta finanza e con la superstite aristocrazia la frequentazione degli stessi luoghi dell’interscambio; teatri, cinematografi, caffè, oppure sedi depositarie di specifiche funzioni culturali (come, a Palermo, il Museo Nazionale, la sede della Società della Storia Patria, la Biblioteca Comunale negli anni in cui è diretta da Gioacchino Di Marzo e principalmente la Civica Galleria d’Arte Moderna, fondata nel 1910 da Empedocle Restivo con la consulenza di Basile, De Maria e Ducrot) ma soprattutto circoli, che unitamente alle sedi istituzionali preposte alla preparazione dei nuovi quadri di esponenti del mondo culturale, professionale e artistico sono da considerare i veri “luoghi di formazione” di questo periodo (segnatamente in casi come il Circolo Matematico, il Circolo Giuridico, il Circolo Artistico e la Biblioteca Filosofica, tutti a Palermo, come il Real Circolo Musicale Bellini di Catania o come gli esclusivi salotti culturali privati di casa Alfano a Palermo o della contessa D’Ajala a Catania). Oltre ad essere una delle regioni con maggior numero di abitanti della nazione (e con il maggior concentramento di grandi centri urbani) la Sicilia, nonostante il permanere di aree rurali depresse e l’affacciarsi di alcuni gravi fenomeni di inurbamento (deteriori per le condizioni di vita e portatori di degrado sociale), poteva contare su un articolato sistema produttivo difformemente esteso anche al mercato estero; questo si verificava tanto nel settore agricolo quanto in quello estrattivo quanto, ancora, in quello industriale (tuttavia il meno incisivo fra i tre quanto a esportazioni). Non mancava nell’isola un’apprezzabile tradizione di iniziative sindacali; alla fine dell’Ottocento la regione era la terza in Italia, dopo la Lombardia e l’Emilia Romagna, per associazioni operaie. Metà di esse erano di orientamento socialista; l’altra metà era di ispirazione cattolica. Invero quella siciliana era una realtà moderatamente (o meglio settorialmente) dinamica e, in qualche modo, costretta dal peso negativo di grandi aree (soprattutto nell’interno dell’isola e in alcuni suoi territori centro-meridionali) innegabilmente affette da profonda arretratezza. Nonostante la discontinuità del suo assetto economico-sociale (fra aree emergenti e sacche di miseria atavica, fra vivacità di alcune realtà urbane, prevalentemente costiere ma in taluni casi anche dell’interno, assolutamente al passo con i tempi e anacronistico immobilismo di tanti centri abitati rurali), era in grado di occupare, anche se solo per alcuni comparti produttivi, posizioni di media, se non alta, rilevanza nell’ampio scacchiere della tarda età della “civiltà capitalista” europea. Fra i settori trainanti dell’economia siciliana della Belle Èpoque ad eccellere erano l’industria estrattiva, l’industria enologica e quella dei distillati, le compagnie di navigazione, la cantieristica navale, gli istituti di credito, l’industria di mobili e arredi, la pesca e l’industria di inscatolamento del tonno, l’industria delle lavorazioni in cemento, l’industria olearia, la produzione e lavorazione del sale, l’industria chimica e farmaceutica, la produzione agrumaria e l’estrazione di bitumi. A partire dall’attuazione dei piani regolatori e di ampliamento delle principali città siciliane, in un arco temporale che va dalla metà degli anni Novanta del XIX secolo alla metà degli anni Venti del XX secolo, sarà l’industria edilizia a fare la sua comparsa prepotente nello scenario delle attività produttive dell’isola. In effetti soprattutto i primi tre lustri del Novecento vedono alcune fra le più attive città siciliane impegnate in complessi fenomeni di rinnovamento. A parte il caso limite di Messina, interamente distrutta dal sisma e dal maremoto del 1908 e già in fase di ricostruzione alla metà degli anni Dieci sulle linee del Piano Regolatore redatto da Luigi Borzì nel 1911 (mentre ancora facevano bella mostra di sé i quartieri delle baracche in legno, esibendo un ampio ventaglio di pregevoli soluzioni tecnologiche, tipologiche e formali), si registrano consistenti mutazioni della forma urbana in città come Caltagirone, felicemente investita dall’attivismo del movimento municipalista di Luigi Sturzo, Siracusa, proiettata con il Piano Regolatore di Luigi Mauceri (nella versione del 1910) verso un salto di qualità urbana e infrastrutturale poi in parte disatteso, Agrigento, con il suo episodico ma cospicuo ampliamento panoramico lineare del viale delle Vittorie, per non parlare di Caltanissetta (primo fra i comuni dell’Italia appena unificata a dotarsi di un piano regolatore), Catania, Palermo e Trapani, che nei due decenni antecedenti al primo conflitto mondiale vanno completando, con considerevole presenza di architetture liberty, i rispettivi nuovi assetti delineati dai piani regolatori e di ampliamento d’età positivista. È la ricaduta della consistente accumulazione di capitali, verificatasi nella seconda metà del XIX secolo, e che però riguarda solo alcune aree e contesti urbani economicamente emergenti, vuoi per attività industriali, mercantili o estrattive (emblematici in tal senso sono, tra l’altro, i casi di Marsala e di Licata oltre, ovviamente, Caltagirone, Caltanissetta, Catania, Messina, Palermo, Ragusa e Trapani), vuoi per un rilancio della produttività agricola (che interessa centri come Avola, Canicattì, Canicattini Bagni, Ispica, Modica, Palazzolo Acreide, Scicli, Vittoria, ma anche Caltagirone, Licata e Marsala) propugnato e sostenuto da una agguerrita fazione riformista di proprietari terrieri di orientamento filantropico (con in testa il barone Lombardo Gangitano, il barone Chiaramonte Bordonaro, il conte Tasca d’Almerita, il principe Bruno di Belmonte). Questa realtà economica innesterà un vasto processo di produzione edilizia in un arco temporale limitato; un fenomeno la cui dimensione, relativamente alla storia isolana, ha come precedenti solamente le ricostruzioni settecentesche (in realtà ben più diluite nel tempo) di Catania, di Messina e delle città e dei paesi del Val di Noto dopo i rispettivi cataclismi.
2008
SESSA, E. (2008). Società e cultura in Sicilia. In S.E. Quartarone C (a cura di), Arte e Architettura liberty in Sicilia (pp. 15-60). Palermo : Grafill.
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