La redazione dei Piani Paesaggistici ha avuto tre momenti significativi che trovano riscontro in tre differenti leggi, ovvero in tre differenti periodi storici. Il primo momento fu rappresentato dalla legge del 1939 (n. 1497/39). Si trattava di una legge dal netto taglio idealista con forte approccio autoritario che puntava diritto sul principio della «protezione delle bellezze naturali» come lo stesso titolo declina. È un approccio particolarmente totalitaristico che vede attivate procedure vincolistiche e sanzionatorie. I Piani (facoltativi) che ne derivarono, furono pochi. Il più interessante fu quello che aveva come oggetto la penisola sorrentina che non a caso scomodava categorie importanti della filosofia tardo idealista e tendeva essenzialmente a porre vincoli di tutela ai fini della conservazione delle qualità di alcuni paesaggi dalla evidente qualità panoramica. Il secondo momento è rappresentato dalla legge del 1985 (n. 431/85) che introduce chiaramente principi di salvaguardia di taglio neopositivista. L’elenco delle undici tipologie di aree «sottoposte a vincolo paesaggistico» dimostra, con evidente certezza, la volontà di individuare con approccio deterministico, fortemente oggettivante, un insieme di aree sensibili, di alta qualità non solo paesaggistica ma anche considerabili come documenti naturalistici di inalienabile attenzione scientifica e utili alla conservazione della vita. Non a caso questa legge segue di qualche mese la legge che regolamenta il recupero dell’abusivismo (n. 47/85) e sembra tendere con evidenza ad arginare con oggettive argomentazioni gli effetti dell’uso inopinato dei suoli fuori da qualsiasi azione pianificatoria. I Piani che ne derivano (obbligatori) sono molti e costituiscono un passaggio importante con un approccio di taglio prevalentemente naturalistico. Non a caso la legge precede di qualche anno e quasi introduce le grandi tematiche ambientali che troveranno nuova sistematicità solo agli inizi degli anni ’90 dello scorso secolo. Pur essendo presente nella tradizione italiana una pianificazione territoriale attenta ai valori dell’ambiente e pur essendo prevista dalla legge la redazione di piani territoriali con valenza paesistica, i piani redatti in applicazione della L 431/85 sono quasi tutti piani specificatamente «paesistici». In questo contesto prende corpo a partire dai primi anni del nuovo millennio un approccio alla questione che vede alcuni fatti estremamente innovativi rispetto alle precedenti formulazioni giuridiche. Viene introdotto, prima dalla «Convenzione europea del paesaggio» (Firenze 2000) e successivamente ribadito ed ampliato dal Codice dei beni culturali e del paesaggio (L n. 137/2002) un insieme di concetti che portano alla definizione del Paesaggio come patrimonio identitario dello sviluppo locale. Questa direzione, intrapresa in modo evidente già nella definizione della terza generazione dei Piani paesaggistici in formazione, conduce a considerare che la pianificazione paesaggistica e la pianificazione territoriale coincidono e nella fattispecie il termine «piano paesaggistico» va applicato anche ai «piani urbanistico-territoriali» (art. 135 ex L 137/2002) che necessariamente devono contenere «specifica considerazione del valori paesaggistici». In questo quadro la dimensione partecipativa e della concertazione già annunciata nella Convezione del paesaggio (Cap. II, artt. 4 e 6 dei Commenti), transita in modo esplicito nel Codice dei beni (artt. 144 e 145).

Leone, N.G. (2010). La redazione dei Piani paesaggistici, Proposta metodologica. URBANISTICA DOSSIER, Urbanistica Informazione n. 229 - Dossier n. 116(n. 229 ì), 26-30.

La redazione dei Piani paesaggistici, Proposta metodologica

LEONE, Nicola Giuliano
2010-01-01

Abstract

La redazione dei Piani Paesaggistici ha avuto tre momenti significativi che trovano riscontro in tre differenti leggi, ovvero in tre differenti periodi storici. Il primo momento fu rappresentato dalla legge del 1939 (n. 1497/39). Si trattava di una legge dal netto taglio idealista con forte approccio autoritario che puntava diritto sul principio della «protezione delle bellezze naturali» come lo stesso titolo declina. È un approccio particolarmente totalitaristico che vede attivate procedure vincolistiche e sanzionatorie. I Piani (facoltativi) che ne derivarono, furono pochi. Il più interessante fu quello che aveva come oggetto la penisola sorrentina che non a caso scomodava categorie importanti della filosofia tardo idealista e tendeva essenzialmente a porre vincoli di tutela ai fini della conservazione delle qualità di alcuni paesaggi dalla evidente qualità panoramica. Il secondo momento è rappresentato dalla legge del 1985 (n. 431/85) che introduce chiaramente principi di salvaguardia di taglio neopositivista. L’elenco delle undici tipologie di aree «sottoposte a vincolo paesaggistico» dimostra, con evidente certezza, la volontà di individuare con approccio deterministico, fortemente oggettivante, un insieme di aree sensibili, di alta qualità non solo paesaggistica ma anche considerabili come documenti naturalistici di inalienabile attenzione scientifica e utili alla conservazione della vita. Non a caso questa legge segue di qualche mese la legge che regolamenta il recupero dell’abusivismo (n. 47/85) e sembra tendere con evidenza ad arginare con oggettive argomentazioni gli effetti dell’uso inopinato dei suoli fuori da qualsiasi azione pianificatoria. I Piani che ne derivano (obbligatori) sono molti e costituiscono un passaggio importante con un approccio di taglio prevalentemente naturalistico. Non a caso la legge precede di qualche anno e quasi introduce le grandi tematiche ambientali che troveranno nuova sistematicità solo agli inizi degli anni ’90 dello scorso secolo. Pur essendo presente nella tradizione italiana una pianificazione territoriale attenta ai valori dell’ambiente e pur essendo prevista dalla legge la redazione di piani territoriali con valenza paesistica, i piani redatti in applicazione della L 431/85 sono quasi tutti piani specificatamente «paesistici». In questo contesto prende corpo a partire dai primi anni del nuovo millennio un approccio alla questione che vede alcuni fatti estremamente innovativi rispetto alle precedenti formulazioni giuridiche. Viene introdotto, prima dalla «Convenzione europea del paesaggio» (Firenze 2000) e successivamente ribadito ed ampliato dal Codice dei beni culturali e del paesaggio (L n. 137/2002) un insieme di concetti che portano alla definizione del Paesaggio come patrimonio identitario dello sviluppo locale. Questa direzione, intrapresa in modo evidente già nella definizione della terza generazione dei Piani paesaggistici in formazione, conduce a considerare che la pianificazione paesaggistica e la pianificazione territoriale coincidono e nella fattispecie il termine «piano paesaggistico» va applicato anche ai «piani urbanistico-territoriali» (art. 135 ex L 137/2002) che necessariamente devono contenere «specifica considerazione del valori paesaggistici». In questo quadro la dimensione partecipativa e della concertazione già annunciata nella Convezione del paesaggio (Cap. II, artt. 4 e 6 dei Commenti), transita in modo esplicito nel Codice dei beni (artt. 144 e 145).
2010
Leone, N.G. (2010). La redazione dei Piani paesaggistici, Proposta metodologica. URBANISTICA DOSSIER, Urbanistica Informazione n. 229 - Dossier n. 116(n. 229 ì), 26-30.
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