C’è una città dei morti, in fondo al Mediterraneo, che se i suoi abitanti parlassero ancora racconterebbe tutti gli orrori del misconoscimento della condizione umana, tutti i suoi mali: ogni ingiustizia giace lì, irredimibile. Ma se le città dovrebbero essere quelle dei vivi, più che mai il Mediterraneo è oggi città impossibile, città negata. Perché una città è tale quando una collettività condivide almeno un certo grado di appartenenza ad essa, e ancor di più quando diventa comunità e possiede anche il potere diffuso – seppure solo nelle utopie in misura veramente eguale – di deciderne funzionamenti e modalità di governo. Una città è tale, a prescindere dalle sue dimensioni o dalla molteplicità dei territori che la compongono, quando lo spazio che ne è la risultante è spazio tenuto insieme, attraversabile, riconoscibile, nelle sue differenze. Muri, ghetti, enclave, frontiere: una città muore quando questo è il segno distintivo della sua cartografia. E cosa resta oggi in più di questo, a tracciare la città impossibile e negata del mare di mezzo, la città Mediterranea? Questo contributo tenta di abbozzare una risposta assumendo una prospettiva tanto precisa quanto ineludibile oggi: quella delle politiche che governano e costruiscono il fenomeno delle migrazioni contemporanee. Lo sguardo tiene insieme mare e terra, perché mare e terra compongono in maniera inscindibile lo spazio mediterraneo, e in questa inscindibilità appaiono esattamente quando si guarda ai percorsi obbligati delle persone migranti, e al modo in cui il potere cerca di governarli usando i corpi vivi di questi uomini e di queste donne come mero strumento.
Alessandra Sciurba (2020). Mediterranea: Città negata. In P. Piscitelli (a cura di), Atlante delle città. Nove (ri)tratti urbani per un viaggio planetario (pp. 67-84). Milano : Fondazione Giangiacomo Feltrinelli.
Mediterranea: Città negata
Alessandra Sciurba
2020-01-01
Abstract
C’è una città dei morti, in fondo al Mediterraneo, che se i suoi abitanti parlassero ancora racconterebbe tutti gli orrori del misconoscimento della condizione umana, tutti i suoi mali: ogni ingiustizia giace lì, irredimibile. Ma se le città dovrebbero essere quelle dei vivi, più che mai il Mediterraneo è oggi città impossibile, città negata. Perché una città è tale quando una collettività condivide almeno un certo grado di appartenenza ad essa, e ancor di più quando diventa comunità e possiede anche il potere diffuso – seppure solo nelle utopie in misura veramente eguale – di deciderne funzionamenti e modalità di governo. Una città è tale, a prescindere dalle sue dimensioni o dalla molteplicità dei territori che la compongono, quando lo spazio che ne è la risultante è spazio tenuto insieme, attraversabile, riconoscibile, nelle sue differenze. Muri, ghetti, enclave, frontiere: una città muore quando questo è il segno distintivo della sua cartografia. E cosa resta oggi in più di questo, a tracciare la città impossibile e negata del mare di mezzo, la città Mediterranea? Questo contributo tenta di abbozzare una risposta assumendo una prospettiva tanto precisa quanto ineludibile oggi: quella delle politiche che governano e costruiscono il fenomeno delle migrazioni contemporanee. Lo sguardo tiene insieme mare e terra, perché mare e terra compongono in maniera inscindibile lo spazio mediterraneo, e in questa inscindibilità appaiono esattamente quando si guarda ai percorsi obbligati delle persone migranti, e al modo in cui il potere cerca di governarli usando i corpi vivi di questi uomini e di queste donne come mero strumento.File | Dimensione | Formato | |
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