L’Italia è universalmente considerata il “Paese dell’Arte” per definizione. Con un patrimonio storico incalcolabile, una concentrazione di beni culturali e fenomeni storici unici al mondo quali il Rinascimento, non sembra oggi possibile costruire una storia universale dell’arte senza passare in qualche modo dall’Italia. Gli studi sulla storia dell’arte sinora hanno privilegiato l’aspetto puramente estetico della storia stessa, o – quando si è voluto prendere in considerazione il contesto istituzionale di riferimento – questo ha riguardato solamente o in gran parte il contesto politico, relativo ad esempio al mecenatismo, ovvero quello antropologico, cioè dei fermenti culturali, filosofici, letterari, musicali, estetici, coevi al fenomeno stesso. Volendo approfondire gli aspetti più strutturali si è anche indagata la natura sovrastrutturale o ideologica, o infine i contesti socio-economici di riferimento. In questo lavoro si intende invece esplorare il contesto più propriamente economico-amministrativo (alias economico-aziendale) o ragioneristico che, magari non sempre evidente, sta sempre a fianco o dietro i più grandi monumenti della nostra civiltà. In quest’ottica si è scelto di focalizzare l’attenzione su uno dei massimi monumenti architettonici contemporanei delle grandi città italiane: il Teatro Massimo V.E. di Palermo. La costruzione di questo capolavoro dell’arte contemporanea si snoda lungo tutta la seconda fase del XIX secolo nella Sicilia postunitaria. È un periodo storico di grandi trasformazioni, sociali, economiche e appunto artistiche. Il Teatro prelude, in particolare, senza tuttavia ancora appartenervi a pieno titolo, ad un’esplosione di “Arte nuova” che proprio nella Palermo (e più in generale in Sicilia) fin de siècle troverà la sua massima espressione: il Liberty, una delle tante versioni di un più ampio movimento artistico di portata generale. In Sicilia questa tensione avrebbe privilegiato il tema della “Libertà”, molto caro ai Siciliani del tempo, sia per i riflessi ideologici (siamo nell’era del liberalismo per eccellenza), sia per quelli politici locali (la “Libertà” intesa in senso autonomistico, come eredita delle rivoluzioni di epoca borbonica e con un sentimento diffuso non sedato dopo l’Unità). In questo quadro il Teatro sembra preludere a questa rivoluzione culturale, anticipandola negli “interni”, mentre l’esterno è ancora all’insegna di un ultimo neoclassico. Non solo arte quindi, ma un misto di riscatto municipale e di contraddizioni che si scaricano sulla celeberrima opera. Il Teatro come simbolo al contempo di una grande storia regionale dietro le spalle ma anche di una grande fiducia nel “progresso” e nelle sorti del “libero mercato”. Su questa dinamica complessiva particolare luce può dare la tormentata storia “finanziaria” dell’opera, ad oggi poco studiata. Si tratta di un’opera a committenza pubblica (il Comune di Palermo) ma dietro la quale si cela un diffuso sentimento di classe (da parte dell’emergente borghesia e della ancora potente aristocrazia) che ne costituisce la committenza sostanziale. Per questa ragione l’articolo si propone di ripercorrere, per ottenere uno specifico valore aggiunto, questa “storia finanziaria” dell’opera nei suoi aspetti sincronici e diacronici considerati di maggior rilievo. Come fonti primarie, l’articolo utilizza l’Archivio storico del Comune di Palermo cui si deve la minuta ricostruzione storiografica che segue. Per la storia generale dell’opera o per tutto ciò che esula dagli aspetti più propri di Storia della Ragioneria si sono invece utilizzate le pubblicazioni monografiche ad oggi esistenti quali fonti secondarie.

Costa, M., Cuccia, A. (2018). I Conti del Teatro Massimo. Contesto economico-politico e Analisi dei flussi finanziari. In Storia della Ragioneria e Arti - Accounting History and Arts (pp. 185-202). Roma : Rirea [10.17408/DIG.A02/591641].

I Conti del Teatro Massimo. Contesto economico-politico e Analisi dei flussi finanziari

Costa, M
;
Cuccia, A
2018-01-01

Abstract

L’Italia è universalmente considerata il “Paese dell’Arte” per definizione. Con un patrimonio storico incalcolabile, una concentrazione di beni culturali e fenomeni storici unici al mondo quali il Rinascimento, non sembra oggi possibile costruire una storia universale dell’arte senza passare in qualche modo dall’Italia. Gli studi sulla storia dell’arte sinora hanno privilegiato l’aspetto puramente estetico della storia stessa, o – quando si è voluto prendere in considerazione il contesto istituzionale di riferimento – questo ha riguardato solamente o in gran parte il contesto politico, relativo ad esempio al mecenatismo, ovvero quello antropologico, cioè dei fermenti culturali, filosofici, letterari, musicali, estetici, coevi al fenomeno stesso. Volendo approfondire gli aspetti più strutturali si è anche indagata la natura sovrastrutturale o ideologica, o infine i contesti socio-economici di riferimento. In questo lavoro si intende invece esplorare il contesto più propriamente economico-amministrativo (alias economico-aziendale) o ragioneristico che, magari non sempre evidente, sta sempre a fianco o dietro i più grandi monumenti della nostra civiltà. In quest’ottica si è scelto di focalizzare l’attenzione su uno dei massimi monumenti architettonici contemporanei delle grandi città italiane: il Teatro Massimo V.E. di Palermo. La costruzione di questo capolavoro dell’arte contemporanea si snoda lungo tutta la seconda fase del XIX secolo nella Sicilia postunitaria. È un periodo storico di grandi trasformazioni, sociali, economiche e appunto artistiche. Il Teatro prelude, in particolare, senza tuttavia ancora appartenervi a pieno titolo, ad un’esplosione di “Arte nuova” che proprio nella Palermo (e più in generale in Sicilia) fin de siècle troverà la sua massima espressione: il Liberty, una delle tante versioni di un più ampio movimento artistico di portata generale. In Sicilia questa tensione avrebbe privilegiato il tema della “Libertà”, molto caro ai Siciliani del tempo, sia per i riflessi ideologici (siamo nell’era del liberalismo per eccellenza), sia per quelli politici locali (la “Libertà” intesa in senso autonomistico, come eredita delle rivoluzioni di epoca borbonica e con un sentimento diffuso non sedato dopo l’Unità). In questo quadro il Teatro sembra preludere a questa rivoluzione culturale, anticipandola negli “interni”, mentre l’esterno è ancora all’insegna di un ultimo neoclassico. Non solo arte quindi, ma un misto di riscatto municipale e di contraddizioni che si scaricano sulla celeberrima opera. Il Teatro come simbolo al contempo di una grande storia regionale dietro le spalle ma anche di una grande fiducia nel “progresso” e nelle sorti del “libero mercato”. Su questa dinamica complessiva particolare luce può dare la tormentata storia “finanziaria” dell’opera, ad oggi poco studiata. Si tratta di un’opera a committenza pubblica (il Comune di Palermo) ma dietro la quale si cela un diffuso sentimento di classe (da parte dell’emergente borghesia e della ancora potente aristocrazia) che ne costituisce la committenza sostanziale. Per questa ragione l’articolo si propone di ripercorrere, per ottenere uno specifico valore aggiunto, questa “storia finanziaria” dell’opera nei suoi aspetti sincronici e diacronici considerati di maggior rilievo. Come fonti primarie, l’articolo utilizza l’Archivio storico del Comune di Palermo cui si deve la minuta ricostruzione storiografica che segue. Per la storia generale dell’opera o per tutto ciò che esula dagli aspetti più propri di Storia della Ragioneria si sono invece utilizzate le pubblicazioni monografiche ad oggi esistenti quali fonti secondarie.
2018
978-88-6659-164-1
Costa, M., Cuccia, A. (2018). I Conti del Teatro Massimo. Contesto economico-politico e Analisi dei flussi finanziari. In Storia della Ragioneria e Arti - Accounting History and Arts (pp. 185-202). Roma : Rirea [10.17408/DIG.A02/591641].
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