In area mediterranea il mercato di strada ha sempre rappresentato una forma organizzativa ben radicata, in ragione delle abitudini di gestione del commercio al minuto in modo libero, spesso caotico, sempre affrancato da controlli, utilizzando impropriamente ogni spazio pubblico aperto grazie anche al clima favorevole per buona parte dell’anno. Tra la fine del Settecento ed i primi decenni dell'Ottocento si assiste a Palermo ad un reale tentativo di razionalizzare il commercio in strutture stabili: si cercò di trovar posto alle attività commerciali spontanee in portici e loggiati, addossati agli edifici esistenti e talvolta anche isolati, nel riuscito tentativo rendere ordinati e gestibili alcuni dei maggiori spazi commerciali. Il nuovo corso politico dell’Italia unitaria richiese ad ogni città di confrontarsi con le altre, di spremere le proprie scarse risorse per inseguire il miraggio di una qualificazione di modernità e di successo. Dopo un lungo e duro dibattito la città si indebitò pesantemente ed insieme a teatri ed altre infrastrutture urbane vennero realizzate due spettacolari strutture commerciali, simili a quelle che andavano sorgendo nelle maggiori città europee, ed in seguito anche di strutture di minore impatto, quali tettoie e gallerie urbane. L'utilizzo del nuovo linguaggio in ferro e della cosiddetta “architettura degli ingegneri” favorì l'aggiornamento di un apparato produttivo ed imprenditoriale fragile, ma in rapida crescita. L’indagine capillare presso biblioteche ed archivi pubblici e privati, la ricerca su pubblicazioni e giornali dell’epoca, contribuiscono a delineare una originale chiave di lettura dell’evoluzione sociale, tecnica ed economica della città e degli abitanti, oltre a dar conto del rapporto conflittuale tra la richiesta di regole e le esigenze dei venditori che rapidamente condusse allo smantellamento. L’elaborazione virtuale delle strutture demolite restituisce l’aspetto dei mercati coperti non più esistenti; di questi oggi non rimane neppure il ricordo per il lungo tempo trascorso, e le poche tracce residue ci rimandano ad una città in cui ancora l’armonia generale veniva considerata un valore comune, in cui le demolizioni e le sostituzioni – anche solo di semplici tettoie metalliche - accendevano dibattiti lunghi e feroci. Dove queste architetture si sono salvate da ragionamenti economici di piccolo cabotaggio, da Stoccolma a Budapest, da Barcellona a Londra, i mercati coperti ottocenteschi mantengono perfettamente l’originaria funzione o sono riutilizzati per destinazioni compatibili, apprezzati ed inseriti a pieno titolo nei circuiti turistici che ne valorizzano la leggerezza del disegno e le straordinarie spazialità.
Fatta, G., Campisi, T., Vinci, C. (2013). Mercati coperti a Palermo. Un capitolo perduto di architettura e tecnica. Palermo : Palumbo G.B..
Mercati coperti a Palermo. Un capitolo perduto di architettura e tecnica
FATTA, Giovanni;CAMPISI, Tiziana;VINCI, Calogero
2013-01-01
Abstract
In area mediterranea il mercato di strada ha sempre rappresentato una forma organizzativa ben radicata, in ragione delle abitudini di gestione del commercio al minuto in modo libero, spesso caotico, sempre affrancato da controlli, utilizzando impropriamente ogni spazio pubblico aperto grazie anche al clima favorevole per buona parte dell’anno. Tra la fine del Settecento ed i primi decenni dell'Ottocento si assiste a Palermo ad un reale tentativo di razionalizzare il commercio in strutture stabili: si cercò di trovar posto alle attività commerciali spontanee in portici e loggiati, addossati agli edifici esistenti e talvolta anche isolati, nel riuscito tentativo rendere ordinati e gestibili alcuni dei maggiori spazi commerciali. Il nuovo corso politico dell’Italia unitaria richiese ad ogni città di confrontarsi con le altre, di spremere le proprie scarse risorse per inseguire il miraggio di una qualificazione di modernità e di successo. Dopo un lungo e duro dibattito la città si indebitò pesantemente ed insieme a teatri ed altre infrastrutture urbane vennero realizzate due spettacolari strutture commerciali, simili a quelle che andavano sorgendo nelle maggiori città europee, ed in seguito anche di strutture di minore impatto, quali tettoie e gallerie urbane. L'utilizzo del nuovo linguaggio in ferro e della cosiddetta “architettura degli ingegneri” favorì l'aggiornamento di un apparato produttivo ed imprenditoriale fragile, ma in rapida crescita. L’indagine capillare presso biblioteche ed archivi pubblici e privati, la ricerca su pubblicazioni e giornali dell’epoca, contribuiscono a delineare una originale chiave di lettura dell’evoluzione sociale, tecnica ed economica della città e degli abitanti, oltre a dar conto del rapporto conflittuale tra la richiesta di regole e le esigenze dei venditori che rapidamente condusse allo smantellamento. L’elaborazione virtuale delle strutture demolite restituisce l’aspetto dei mercati coperti non più esistenti; di questi oggi non rimane neppure il ricordo per il lungo tempo trascorso, e le poche tracce residue ci rimandano ad una città in cui ancora l’armonia generale veniva considerata un valore comune, in cui le demolizioni e le sostituzioni – anche solo di semplici tettoie metalliche - accendevano dibattiti lunghi e feroci. Dove queste architetture si sono salvate da ragionamenti economici di piccolo cabotaggio, da Stoccolma a Budapest, da Barcellona a Londra, i mercati coperti ottocenteschi mantengono perfettamente l’originaria funzione o sono riutilizzati per destinazioni compatibili, apprezzati ed inseriti a pieno titolo nei circuiti turistici che ne valorizzano la leggerezza del disegno e le straordinarie spazialità.File | Dimensione | Formato | |
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