Fra la prima età del Liberty in Sicilia, interamente dominata fino allo scadere del primo biennio del XX secolo dalla figura di Ernesto Basile (Palermo 1857-1932), e la sua lunga ultima stagione, caratterizzata da epigoni (divenuti poi del tutto impermeabili al “nuovo”) e anonimi progettisti e decoratori, si svolgono i due decenni della fase di maggiore incidenza di questa tendenza stilistica nel processo di rinnovamento dei centri urbani siciliani (e in maniera più circoscritta anche di ambiti suburbani e rurali); è un periodo che vede come protagonisti lo stesso Basile, i migliori esponenti della sua “scuola” (sia quelli provenienti dalla Regia Scuola di Applicazione per Ingegneri ed Architetti dell’Ateneo di Palermo sia quelli del Corso Speciale di Architettura del Regio Istituto di Belle Arti, sempre di Palermo) e un novero di architetti, ingegneri e geometri, attivi in tutta la Sicilia, autonomi (rispetto ai codici basiliani) o solo occasionalmente impegnati ad operare in chiave Liberty (talvolta influenzati dai “modi” formali di Basile, talvolta ecletticamente ricettivi di altre tendenze continentali, prevalentemente d’oltralpe); fra questi ultimi emergono Vincenzo Alagna, Emanuele Arangi, Gaetano Avolio, Paolo Bonci, Filippo Cusano, Saro Cutrufelli, Francesco Donati Scibona, Michele La Cavera, Paolo Lanzerotti, Filippo La Porta, Fabio Majorana, Tommaso Malerba, Salvatore Mazzarella, Giuseppe Manzo, Salvatore Marascia, Giuseppe Nicolai, Giuseppe Piccione, Francesco Paolo Rivas, Achille Patricolo, Giovanni Pernice, Giovanni Tamburello, Nicolò Tripiciano, Gaetano Vinci, Antonio Zanca. Si trattò di un’eccezionale proliferazione di realizzazioni proprio nel campo della produzione edilizia (ancor più che nelle arti figurative), verificatasi in gran parte del territorio dell’isola. Il protrarsi decisamente fuori tempo massimo della fortuna di quest’esperienza ha la sua manifestazione più eclatante nelle derivazioni di provincia prevalentemente influenzate dalla “cellula” propulsiva dell’Arte Nuova palermitana attivata da Ernesto Basile (a meno di Messina, per la cui ricostruzione il filone della “maniera” di Basile dovette fare i conti con i nuovi equilibri nazionali delle forze finanziarie, e dell’area di Siracusa, orientata ad un ubertoso florealismo dovuto alla esemplare direzione, di orientamento boitiano, del piemontese Giovanni Fusero della locale Regia Scuola d’Arte Applicata all’Industria). Ma non bisogna dimenticare che in Sicilia continua ad operare con grande qualità, quantomeno fino alla prima guerra mondiale, un irriducibile filone tradizionalista, del tutto impermeabile alla linea estetica modernista (ma anche alle sue derive di “consumo”) e tuttavia portatore di specifici valori culturali; ne sono paladini Carlo Sada e i suoi bravi epigoni in area catanese e Giuseppe Damiani Almeyda con i suoi più validi allievi (fra cui Nicolò Mineo e Antonio Zanca) attivi a Palermo come del resto anche Francesco Paolo Palazzotto, una delle personalità più interessanti del tardo eclettismo italiano. È questa l’altra tendenza rispetto all’idea di Basile di coinvolgere artisti, progettisti e intellettuali in un’azione culturale collettiva tesa al raggiungimento di una “via latina” del programma di generale “riorganizzazione del visibile” propugnato dalla migliore cultura modernista internazionale. Un proposito che Basile, soprattutto a partire dal 1905, riesce a perseguire anche a livello regionale (e non solo) grazie alla presenza di significative figure della sua “scuola” nelle più dinamiche realtà urbane dell’isola: a Palermo con Ernesto Armò, Salvatore Benfratello, Enrico Calandra, Giuseppe Capitò, Salvatore Caronia Roberti, Giuseppe Di Giovanni, Salvatore Li Volsi Palmigiano, Antonio Lo Bianco, Giovan Battista Santangelo, Pietro Scibilia; a Catania con Francesco Fichera; a Messina con Camillo Autore e poi con Enrico Calandra (raggiunto successivamente da Giuseppe Samonà, anch’egli allievo di Basile ma della sua ultima stagione di docenza); a Caltagirone con Saverio Fragapane; a Licata con Filippo Re Grillo; a Trapani con Francesco La Grassa. Alcuni degli allievi di Basile operarono, con successo, anche in ambito continentale: Leonardo Paterna Baldizzi fu tra i primi a realizzare opere Liberty a Roma e a Napoli; sempre a Roma , oltre allo stesso Basile (che realizza significative architetture, fra cui l’ampliamento di Palazzo Montecitorio, la palazzina Vanoni, la villa di Rudinì e il Gran Cafè Faraglia), opera lungamente Francesco La Grassa; a Milano è attivo, per un periodo della sua carriera professionale, Giuseppe Di Giovanni; a Reggio Calabria e dintorni svolge parte della propria attività Camillo Autore; a Pisa si trasferisce per lungo tempo Salvatore Benfratello quale cattedratico del locale Ateneo. Le migliori espressioni dell’arte e dell’architettura (e principalmente di quest’ultima) del periodo Liberty in Sicilia sono conseguenza di un dialogo a distanza con correnti internazionali (ma solo se ritenute affini) instaurato dall’alveo di una locale tradizione di ricerca del nuovo (ne è esemplificativa l’eredità dell’eclettismo sperimentale di Giovan Battista Filippo Basile, padre di Ernesto, e le sue ascendenze, fino a risalire al periodo neoclassico, con il fondatore della cultura architettonica innovativa d’età contemporanea in Sicilia, Giuseppe Venanzio Marvuglia). Allo stesso modo l’intera società siciliana della fase finale della Belle Èpoque e dei primi Anni Ruggenti si sente depositaria di solide tradizioni ottocentesche. Una consapevolezza, questa, che contraddistingue i pur diversi modi di operare: nel campo imprenditoriale, con l’ultima generazione dei Florio e dei Whitaker, e con i Chiaramonte Bordonaro, i D’Alì, i Favitta, i Lanza di Scalea, i Lombardo Gangitano, i Majorca di Francavilla, i Manganelli, i Sanderson, i Tasca, i Trabia, i Verderame, ma anche con nuovi imprenditori, come Amoroso, Averna, Biondo, Castellano, Ducrot, Favara, Finocchiaro, Orlando, Pecoraino, Rutelli, Sandron, Sangiorgi, Scaglia, Utveggio, Velis coscienti della propria appartenenza ad una classe sociale dalla quale la collettività si aspettava molto. Sono soprattutto i Florio con Ignazio e la consorte Franca Iacona di Notarbartolo, contessa di San Giuliano, (coppia dotata, oltre che di una incalcolabile fortuna, di opportuni fascino, buon gusto e physique du rôle) e con Vincenzo, fratello minore del primo (tombeur de femmes e prototipo dello sportman di quegli anni), a fare della modernità una propria cifra distintiva. I Florio perseguono, infatti, una precisa “politica dell’immagine” (da qui il legame con Basile, con il mobiliere Ducrot, con pittori come De Maria, Cortegiani, Gregorietti, e con scultori come Civiletti, Ximenes e Ugo); tutte le loro azioni sociali (da quelle mondane a quelle filantropiche, da quelle promozionali a quelle politiche), il loro apparire, il loro intessere rapporti economici ma anche “diplomatici” (come nel caso dei reali d’Inghilterra, di Russia e di Germania) riflettono l’ideale di porsi come modello di una nuova Sicilia che, non più semplice fornitrice di materie prime, si proponeva nel nuovo circuito delle aree emergenti (pur con il permanere di drammatiche sperequazioni e sacche di miseria) come esportatrice di prodotti finiti e, quindi, anche di nuovi modelli comportamentali. Fra gli artisti, pittori come Abate, Catti, Cercone, Cortegiani, De Gregorio, De Maria Bergler, Di Giovanni, Enea, Gregorietti, Liotta Cristaldi, Lentini, Leto, Lojacono, Mirabella, Reina, Spina, Tomaselli, Vetri, Vicari, e scultori come Balistreri, Civiletti, Costantino, Delisi, Gangeri, Garufi, Geraci, Moschetti, Nicolini, Ragusa, Rutelli, Trentacoste, Ugo e Ximenes traghettano felicemente, anche se con disomogenee intensità e motivazioni, le loro precedenti esperienze nell’alveo della tendenza modernista, senza tuttavia rimanerne coinvolti fino in fondo (a meno di un circoscritto periodo artistico del nucleo riunitosi nel “cenacolo di Basile”, formato da De Maria, Enea, Geraci, Gregorietti, Rutelli, Ugo e Ximenes). Altrimenti pittori come Corona, De Francisco, Rizzo, Terzi, Trombadori e scultori come Campini, D’Amore, Li Muli muovono solo i primi passi in ambito modernista per poi maturare significativi percorsi in altre direzioni della cultura artistica novecentesca. Alla compagine di intellettuali, artisti, imprenditori, statisti, scienziati e pensatori va aggiunta, infine, quella delle maestranze specializzate, che negli opifici e nelle miniere, così come nei cantieri edilizi e nelle botteghe artigiane dettero un contributo determinante allo sviluppo e alla fisionimia moderna della società siciliana di quel periodo a cavallo fra Ottocento e Novecento. Dunque, anche in considerazione della débâcle, avviata nella tarda fase dell’età giolittiana e drammaticamente maturata durante il Ventennio fascista, della propositività economica della Sicilia e quindi del conseguente declino della sua “società civile”, era inevitabile una massiccia dispersione dei “documenti” (nell’accezione più ampia del termine) relativi alla cultura modernista in Sicilia; una condizione che nei tre decenni successivi alla Ricostruzione andrà drammaticamente di pari passo con indiscriminate manomissioni (soprattutto negli interni) e demolizioni che hanno pervicacemente aggredito l’integrità di un patrimonio culturale davvero considerevole.

SESSA, E. (2008). Arte e Architettura in Sicilia. In C. Quartarone, E. Sessa, E. Mauro (a cura di), Arte e Architettura liberty in Sicilia (pp. 131-170). Palermo : Grafill.

Arte e Architettura in Sicilia

SESSA, Ettore
2008-01-01

Abstract

Fra la prima età del Liberty in Sicilia, interamente dominata fino allo scadere del primo biennio del XX secolo dalla figura di Ernesto Basile (Palermo 1857-1932), e la sua lunga ultima stagione, caratterizzata da epigoni (divenuti poi del tutto impermeabili al “nuovo”) e anonimi progettisti e decoratori, si svolgono i due decenni della fase di maggiore incidenza di questa tendenza stilistica nel processo di rinnovamento dei centri urbani siciliani (e in maniera più circoscritta anche di ambiti suburbani e rurali); è un periodo che vede come protagonisti lo stesso Basile, i migliori esponenti della sua “scuola” (sia quelli provenienti dalla Regia Scuola di Applicazione per Ingegneri ed Architetti dell’Ateneo di Palermo sia quelli del Corso Speciale di Architettura del Regio Istituto di Belle Arti, sempre di Palermo) e un novero di architetti, ingegneri e geometri, attivi in tutta la Sicilia, autonomi (rispetto ai codici basiliani) o solo occasionalmente impegnati ad operare in chiave Liberty (talvolta influenzati dai “modi” formali di Basile, talvolta ecletticamente ricettivi di altre tendenze continentali, prevalentemente d’oltralpe); fra questi ultimi emergono Vincenzo Alagna, Emanuele Arangi, Gaetano Avolio, Paolo Bonci, Filippo Cusano, Saro Cutrufelli, Francesco Donati Scibona, Michele La Cavera, Paolo Lanzerotti, Filippo La Porta, Fabio Majorana, Tommaso Malerba, Salvatore Mazzarella, Giuseppe Manzo, Salvatore Marascia, Giuseppe Nicolai, Giuseppe Piccione, Francesco Paolo Rivas, Achille Patricolo, Giovanni Pernice, Giovanni Tamburello, Nicolò Tripiciano, Gaetano Vinci, Antonio Zanca. Si trattò di un’eccezionale proliferazione di realizzazioni proprio nel campo della produzione edilizia (ancor più che nelle arti figurative), verificatasi in gran parte del territorio dell’isola. Il protrarsi decisamente fuori tempo massimo della fortuna di quest’esperienza ha la sua manifestazione più eclatante nelle derivazioni di provincia prevalentemente influenzate dalla “cellula” propulsiva dell’Arte Nuova palermitana attivata da Ernesto Basile (a meno di Messina, per la cui ricostruzione il filone della “maniera” di Basile dovette fare i conti con i nuovi equilibri nazionali delle forze finanziarie, e dell’area di Siracusa, orientata ad un ubertoso florealismo dovuto alla esemplare direzione, di orientamento boitiano, del piemontese Giovanni Fusero della locale Regia Scuola d’Arte Applicata all’Industria). Ma non bisogna dimenticare che in Sicilia continua ad operare con grande qualità, quantomeno fino alla prima guerra mondiale, un irriducibile filone tradizionalista, del tutto impermeabile alla linea estetica modernista (ma anche alle sue derive di “consumo”) e tuttavia portatore di specifici valori culturali; ne sono paladini Carlo Sada e i suoi bravi epigoni in area catanese e Giuseppe Damiani Almeyda con i suoi più validi allievi (fra cui Nicolò Mineo e Antonio Zanca) attivi a Palermo come del resto anche Francesco Paolo Palazzotto, una delle personalità più interessanti del tardo eclettismo italiano. È questa l’altra tendenza rispetto all’idea di Basile di coinvolgere artisti, progettisti e intellettuali in un’azione culturale collettiva tesa al raggiungimento di una “via latina” del programma di generale “riorganizzazione del visibile” propugnato dalla migliore cultura modernista internazionale. Un proposito che Basile, soprattutto a partire dal 1905, riesce a perseguire anche a livello regionale (e non solo) grazie alla presenza di significative figure della sua “scuola” nelle più dinamiche realtà urbane dell’isola: a Palermo con Ernesto Armò, Salvatore Benfratello, Enrico Calandra, Giuseppe Capitò, Salvatore Caronia Roberti, Giuseppe Di Giovanni, Salvatore Li Volsi Palmigiano, Antonio Lo Bianco, Giovan Battista Santangelo, Pietro Scibilia; a Catania con Francesco Fichera; a Messina con Camillo Autore e poi con Enrico Calandra (raggiunto successivamente da Giuseppe Samonà, anch’egli allievo di Basile ma della sua ultima stagione di docenza); a Caltagirone con Saverio Fragapane; a Licata con Filippo Re Grillo; a Trapani con Francesco La Grassa. Alcuni degli allievi di Basile operarono, con successo, anche in ambito continentale: Leonardo Paterna Baldizzi fu tra i primi a realizzare opere Liberty a Roma e a Napoli; sempre a Roma , oltre allo stesso Basile (che realizza significative architetture, fra cui l’ampliamento di Palazzo Montecitorio, la palazzina Vanoni, la villa di Rudinì e il Gran Cafè Faraglia), opera lungamente Francesco La Grassa; a Milano è attivo, per un periodo della sua carriera professionale, Giuseppe Di Giovanni; a Reggio Calabria e dintorni svolge parte della propria attività Camillo Autore; a Pisa si trasferisce per lungo tempo Salvatore Benfratello quale cattedratico del locale Ateneo. Le migliori espressioni dell’arte e dell’architettura (e principalmente di quest’ultima) del periodo Liberty in Sicilia sono conseguenza di un dialogo a distanza con correnti internazionali (ma solo se ritenute affini) instaurato dall’alveo di una locale tradizione di ricerca del nuovo (ne è esemplificativa l’eredità dell’eclettismo sperimentale di Giovan Battista Filippo Basile, padre di Ernesto, e le sue ascendenze, fino a risalire al periodo neoclassico, con il fondatore della cultura architettonica innovativa d’età contemporanea in Sicilia, Giuseppe Venanzio Marvuglia). Allo stesso modo l’intera società siciliana della fase finale della Belle Èpoque e dei primi Anni Ruggenti si sente depositaria di solide tradizioni ottocentesche. Una consapevolezza, questa, che contraddistingue i pur diversi modi di operare: nel campo imprenditoriale, con l’ultima generazione dei Florio e dei Whitaker, e con i Chiaramonte Bordonaro, i D’Alì, i Favitta, i Lanza di Scalea, i Lombardo Gangitano, i Majorca di Francavilla, i Manganelli, i Sanderson, i Tasca, i Trabia, i Verderame, ma anche con nuovi imprenditori, come Amoroso, Averna, Biondo, Castellano, Ducrot, Favara, Finocchiaro, Orlando, Pecoraino, Rutelli, Sandron, Sangiorgi, Scaglia, Utveggio, Velis coscienti della propria appartenenza ad una classe sociale dalla quale la collettività si aspettava molto. Sono soprattutto i Florio con Ignazio e la consorte Franca Iacona di Notarbartolo, contessa di San Giuliano, (coppia dotata, oltre che di una incalcolabile fortuna, di opportuni fascino, buon gusto e physique du rôle) e con Vincenzo, fratello minore del primo (tombeur de femmes e prototipo dello sportman di quegli anni), a fare della modernità una propria cifra distintiva. I Florio perseguono, infatti, una precisa “politica dell’immagine” (da qui il legame con Basile, con il mobiliere Ducrot, con pittori come De Maria, Cortegiani, Gregorietti, e con scultori come Civiletti, Ximenes e Ugo); tutte le loro azioni sociali (da quelle mondane a quelle filantropiche, da quelle promozionali a quelle politiche), il loro apparire, il loro intessere rapporti economici ma anche “diplomatici” (come nel caso dei reali d’Inghilterra, di Russia e di Germania) riflettono l’ideale di porsi come modello di una nuova Sicilia che, non più semplice fornitrice di materie prime, si proponeva nel nuovo circuito delle aree emergenti (pur con il permanere di drammatiche sperequazioni e sacche di miseria) come esportatrice di prodotti finiti e, quindi, anche di nuovi modelli comportamentali. Fra gli artisti, pittori come Abate, Catti, Cercone, Cortegiani, De Gregorio, De Maria Bergler, Di Giovanni, Enea, Gregorietti, Liotta Cristaldi, Lentini, Leto, Lojacono, Mirabella, Reina, Spina, Tomaselli, Vetri, Vicari, e scultori come Balistreri, Civiletti, Costantino, Delisi, Gangeri, Garufi, Geraci, Moschetti, Nicolini, Ragusa, Rutelli, Trentacoste, Ugo e Ximenes traghettano felicemente, anche se con disomogenee intensità e motivazioni, le loro precedenti esperienze nell’alveo della tendenza modernista, senza tuttavia rimanerne coinvolti fino in fondo (a meno di un circoscritto periodo artistico del nucleo riunitosi nel “cenacolo di Basile”, formato da De Maria, Enea, Geraci, Gregorietti, Rutelli, Ugo e Ximenes). Altrimenti pittori come Corona, De Francisco, Rizzo, Terzi, Trombadori e scultori come Campini, D’Amore, Li Muli muovono solo i primi passi in ambito modernista per poi maturare significativi percorsi in altre direzioni della cultura artistica novecentesca. Alla compagine di intellettuali, artisti, imprenditori, statisti, scienziati e pensatori va aggiunta, infine, quella delle maestranze specializzate, che negli opifici e nelle miniere, così come nei cantieri edilizi e nelle botteghe artigiane dettero un contributo determinante allo sviluppo e alla fisionimia moderna della società siciliana di quel periodo a cavallo fra Ottocento e Novecento. Dunque, anche in considerazione della débâcle, avviata nella tarda fase dell’età giolittiana e drammaticamente maturata durante il Ventennio fascista, della propositività economica della Sicilia e quindi del conseguente declino della sua “società civile”, era inevitabile una massiccia dispersione dei “documenti” (nell’accezione più ampia del termine) relativi alla cultura modernista in Sicilia; una condizione che nei tre decenni successivi alla Ricostruzione andrà drammaticamente di pari passo con indiscriminate manomissioni (soprattutto negli interni) e demolizioni che hanno pervicacemente aggredito l’integrità di un patrimonio culturale davvero considerevole.
2008
SESSA, E. (2008). Arte e Architettura in Sicilia. In C. Quartarone, E. Sessa, E. Mauro (a cura di), Arte e Architettura liberty in Sicilia (pp. 131-170). Palermo : Grafill.
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