La partecipazione di Ernesto Basile all’Esposizione di Milano del 1906 avviene all’apice della sua carriera professionale, iniziata un quarto di secolo prima e svolta prevalentemente in Sicilia e a Roma. Nel complesso dell’area di Parco Sempione, con un tono discreto che tuttavia non manca di farsi notare nell’esuberante contesto dell’esposizione, Basile presenta contributi alquanto diversificati: espone una selezione di suoi elaborati progettuali del periodo 1899-1906 in una sorta di mostra personale di architettura; presenta cinque arredi completi eseguiti con rimarchevole perizia dal mobilificio Ducrot; realizza con il padiglione della Casa Florio un’architettura effimera che sarebbe assurta, soprattutto dopo il 1911, ad incunabolo di repertori per epigoni e imitatori. Nonostante il carattere puntiforme della partecipazione di Basile, il suo contributo alla manifestazione celebrativa della conclusione dei lavori del traforo del Sempione, in qualche modo, lascia il segno nell’ambito della cultura architettonica italiana dell’età giolittiana. Dai suoi impeccabili elaborati progettuali, oggettivi e del tutto scevri da seduzioni figurali e da graficismi comunicativi, alle linee rigorose dei suoi arredi, calibrati su ragioni costruttive anche nelle serie di mobili di lusso, all’aura di domestica aulicità del suo padiglione, esente da quelle ridondanze decorative che già avevano innescato un fenomeno di rigetto nei confronti del Liberty, Basile si faceva portavoce di un misurato modernismo mediterraneo, distante tanto dalle compromissorie derive neoeclettiche quanto dalle insistite rotture con il cosiddetto “buon senso comune”, in nome di istanze di oggettività invero ancora acerbe e solo marginalmente e settorialmente apprezzate dal pubblico. Ma soprattutto la linea mostrata da Basile veniva percepita come contraltare, sempre all’interno della logica estetica del Liberty, delle “contorsioni” formalistiche e degli eccessi vitalistici imputati, da una parte della critica di settore, agli sviluppi dell’architettura e delle arti decorative italiane negli anni successivi all’esposizione di Torino di appena quattro anni prima. Il padiglione di Milano è anche un omaggio ad un committente ideale come Ignazio Florio, erede di una dinastia di indomiti imprenditori attiva in Sicilia fin dagli albori del XIX secolo. Florio, coadiuvato dalla moglie Franca, di quella stagione di slanci culturali che Basile sentiva prossima al crepuscolo era stato uno dei sostenitori più convinti; ora, con questa preziosa architettura puntiforme per l’esposizione milanese, era come se portasse l’imprenditoria siciliana d’eccelenza in bella mostra per gestirne con classe l’uscita di scena. Sia Vittorio Ducrot che Ignazio Florio a Milano sono consapevoli portatori dell’immagine di una Palermo dinamica, produttivamente attiva e che si voleva imporre come terzo polo economico nazionale, dopo Torino e Milano. Come Ernesto Basile, che nel 1905 con la seconda edizione della mostra “Napoli e Sicilia” all’Esposizione di Venezia constata il naufragio della sua idea di un movimento modernista interdisciplinare meridionale (visti i limiti di un ambiente artistico restio ad emanciparsi fino in fondo dal vedutismo e dal verismo) e che quindi si rifugia nelle certezze di una conversione accademica del modernismo, nel 1906 Ignazio Florio registra il declinare del sogno imprenditoriale siciliano dell’età umbertina mentre Vittorio Ducrot capisce che la sua impresa deve diversificare l’offerta, reintroducendo in massa la produzione di mobili in stile, per soddisfare meglio un più vasto mercato nazionale ancora affetto da insormontabili tradizionalismi.

SESSA, E. (2011). Ernesto Basile, Vittorio Ducrot e Ignazio Florio all’Esposizione di Milano del 1906: l’ultima stagione propositiva del modernismo palermitano. In G. RICCI, P. CORDERA (a cura di), Per l’Esposizione, mi raccomando. Milano e l’Esposizione Internazionale del Sempione del 1906 nei documenti del Castello Sforzesco (pp. 114-131). MILANO : Edizioni Et.

Ernesto Basile, Vittorio Ducrot e Ignazio Florio all’Esposizione di Milano del 1906: l’ultima stagione propositiva del modernismo palermitano

SESSA, Ettore
2011-01-01

Abstract

La partecipazione di Ernesto Basile all’Esposizione di Milano del 1906 avviene all’apice della sua carriera professionale, iniziata un quarto di secolo prima e svolta prevalentemente in Sicilia e a Roma. Nel complesso dell’area di Parco Sempione, con un tono discreto che tuttavia non manca di farsi notare nell’esuberante contesto dell’esposizione, Basile presenta contributi alquanto diversificati: espone una selezione di suoi elaborati progettuali del periodo 1899-1906 in una sorta di mostra personale di architettura; presenta cinque arredi completi eseguiti con rimarchevole perizia dal mobilificio Ducrot; realizza con il padiglione della Casa Florio un’architettura effimera che sarebbe assurta, soprattutto dopo il 1911, ad incunabolo di repertori per epigoni e imitatori. Nonostante il carattere puntiforme della partecipazione di Basile, il suo contributo alla manifestazione celebrativa della conclusione dei lavori del traforo del Sempione, in qualche modo, lascia il segno nell’ambito della cultura architettonica italiana dell’età giolittiana. Dai suoi impeccabili elaborati progettuali, oggettivi e del tutto scevri da seduzioni figurali e da graficismi comunicativi, alle linee rigorose dei suoi arredi, calibrati su ragioni costruttive anche nelle serie di mobili di lusso, all’aura di domestica aulicità del suo padiglione, esente da quelle ridondanze decorative che già avevano innescato un fenomeno di rigetto nei confronti del Liberty, Basile si faceva portavoce di un misurato modernismo mediterraneo, distante tanto dalle compromissorie derive neoeclettiche quanto dalle insistite rotture con il cosiddetto “buon senso comune”, in nome di istanze di oggettività invero ancora acerbe e solo marginalmente e settorialmente apprezzate dal pubblico. Ma soprattutto la linea mostrata da Basile veniva percepita come contraltare, sempre all’interno della logica estetica del Liberty, delle “contorsioni” formalistiche e degli eccessi vitalistici imputati, da una parte della critica di settore, agli sviluppi dell’architettura e delle arti decorative italiane negli anni successivi all’esposizione di Torino di appena quattro anni prima. Il padiglione di Milano è anche un omaggio ad un committente ideale come Ignazio Florio, erede di una dinastia di indomiti imprenditori attiva in Sicilia fin dagli albori del XIX secolo. Florio, coadiuvato dalla moglie Franca, di quella stagione di slanci culturali che Basile sentiva prossima al crepuscolo era stato uno dei sostenitori più convinti; ora, con questa preziosa architettura puntiforme per l’esposizione milanese, era come se portasse l’imprenditoria siciliana d’eccelenza in bella mostra per gestirne con classe l’uscita di scena. Sia Vittorio Ducrot che Ignazio Florio a Milano sono consapevoli portatori dell’immagine di una Palermo dinamica, produttivamente attiva e che si voleva imporre come terzo polo economico nazionale, dopo Torino e Milano. Come Ernesto Basile, che nel 1905 con la seconda edizione della mostra “Napoli e Sicilia” all’Esposizione di Venezia constata il naufragio della sua idea di un movimento modernista interdisciplinare meridionale (visti i limiti di un ambiente artistico restio ad emanciparsi fino in fondo dal vedutismo e dal verismo) e che quindi si rifugia nelle certezze di una conversione accademica del modernismo, nel 1906 Ignazio Florio registra il declinare del sogno imprenditoriale siciliano dell’età umbertina mentre Vittorio Ducrot capisce che la sua impresa deve diversificare l’offerta, reintroducendo in massa la produzione di mobili in stile, per soddisfare meglio un più vasto mercato nazionale ancora affetto da insormontabili tradizionalismi.
2011
SESSA, E. (2011). Ernesto Basile, Vittorio Ducrot e Ignazio Florio all’Esposizione di Milano del 1906: l’ultima stagione propositiva del modernismo palermitano. In G. RICCI, P. CORDERA (a cura di), Per l’Esposizione, mi raccomando. Milano e l’Esposizione Internazionale del Sempione del 1906 nei documenti del Castello Sforzesco (pp. 114-131). MILANO : Edizioni Et.
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