Cimiteri, memoria e disuguaglianze sociali

The essay analyzes Morire a Palermo (Dying in Palermo), a documentary by visual anthropologist Caterina Pasqualino, as an anthropological and sociological lens through which to explore the relationship between death, memory, and citizenship in the city of Palermo. Starting from the decay of the Rotoli Cemetery—symbol of an administrative and moral crisis—the text examines how the denial of funerary rites and dignified burial translates into a rupture of the social bond. Drawing on the theoretical frameworks of Durkheim, Van Gennep, Halbwachs, Augé, Weber, Butler, and Wacquant, the article interprets the cemetery as a symbolic and political space reflecting the ethical cohesion of the community. Death, far from being a private event, emerges as a public and cultural fact that reveals social inequalities and the quality of civic coexistence. The documentary becomes an instrument of denunciation and remembrance, an act of public anthropology that restores voice and dignity to those excluded from institutional discourse. In the concluding section, the article acknowledges the value of the recent initiatives undertaken by the municipal administration, which have marked a turning point in the management of the cemetery crisis, restoring dignity and symbolic justice to the city. Ultimately, the essay calls for a broader reflection on the ethics of care and memory as the foundation of a conscious and solidaristic citizenship.

L'articolo analizza il docufilm Morire a Palermo di Caterina Pasqualino come chiave di lettura antropologica e sociologica del rapporto tra morte, memoria e cittadinanza nella città di Palermo. Prendendo le mosse dal degrado del Cimitero dei Rotoli, simbolo di una crisi amministrativa e morale, il testo esplora il modo in cui la negazione del rito funebre e della sepoltura dignitosa si traduca in una frattura del legame sociale. Attraverso i riferimenti teorici di Durkheim, Van Gennep, Halbwachs, Augé, Weber, Butler e Wacquant, l’articolo interpreta il cimitero come spazio simbolico e politico, specchio della tenuta etica della comunità. La morte, da evento privato, si rivela fatto pubblico e culturale, capace di riflettere le disuguaglianze e la qualità della convivenza civile. Il docufilm diventa così strumento di denuncia e memoria, espressione di un’antropologia pubblica che restituisce voce e dignità a chi è stato escluso dal discorso istituzionale. Nella parte conclusiva, viene riconosciuto il valore delle recenti iniziative dell’amministrazione comunale, che hanno segnato un cambio di passo nella gestione dell’emergenza cimiteriale, restituendo decoro e giustizia simbolica alla città. Il testo invita infine a una riflessione più ampia sull’etica della cura e della memoria come fondamento di una cittadinanza solidale e consapevole.