WOP (sigla per without passaport) e Mangiaspaghetti sono solo alcuni dei modi con i quali gli italiani erano riconosciuti fuori dal proprio Paese. In una sola parola, indissolubilmente legata ad un referente concreto (un oggetto, un’attitudine, un uso), si cristallizza e si propaga l’immaginario di un popolo, secondo un processo di selezione dei tratti più rappresentativi. Spinte dalla necessità di riconoscere e affermare un’identità a dispetto di un’altra, intere comunità ricorrono a forme lessicali cariche di una certa violenza espressiva, poiché usate come strumenti deliberatamente scelti per attaccare l’altro: «il nemico, è stato creato artificialmente anche e soprattutto imponendo nomi. Separando lessicalmente, prima che fisicamente» (Faloppa 2004, p.16). Le parole e le cose concorrono insieme a veicolare gli stereotipi, intesi come simboli di una sprezzante, grossolana e semplificata rappresentazione della realtà. Nel presente contributo si delinea un percorso che, a partire da un processo di generalizzazione onomastica e iconografica, racconti una realtà fatta di pregiudizi, luoghi comuni ed emarginazione che ha il suo fondamento in pratiche sociali distintive e oppositive, in cui il luogo comune fissa identità percepite come certe e vincolanti. La semplificazione sineddotica costruisce, a partire da un elemento linguistico denotativo, una connotazione che si fa “sotto- testo” difficile da sradicare.

Milia, E. (2025). Parole, cose e stereotipi: lo stigma come forma de-limitata di rappresentazione. In G. Ferrara, S. Iacona, M. Mulone, F. Piccolo, S. Quasimodo (a cura di), Parole, cose, simboli. Tra antiche e nuove rappresentazioni del reale (pp. 381-393). Palermo : Palermo University Press.

Parole, cose e stereotipi: lo stigma come forma de-limitata di rappresentazione

Erika Milia
2025-01-01

Abstract

WOP (sigla per without passaport) e Mangiaspaghetti sono solo alcuni dei modi con i quali gli italiani erano riconosciuti fuori dal proprio Paese. In una sola parola, indissolubilmente legata ad un referente concreto (un oggetto, un’attitudine, un uso), si cristallizza e si propaga l’immaginario di un popolo, secondo un processo di selezione dei tratti più rappresentativi. Spinte dalla necessità di riconoscere e affermare un’identità a dispetto di un’altra, intere comunità ricorrono a forme lessicali cariche di una certa violenza espressiva, poiché usate come strumenti deliberatamente scelti per attaccare l’altro: «il nemico, è stato creato artificialmente anche e soprattutto imponendo nomi. Separando lessicalmente, prima che fisicamente» (Faloppa 2004, p.16). Le parole e le cose concorrono insieme a veicolare gli stereotipi, intesi come simboli di una sprezzante, grossolana e semplificata rappresentazione della realtà. Nel presente contributo si delinea un percorso che, a partire da un processo di generalizzazione onomastica e iconografica, racconti una realtà fatta di pregiudizi, luoghi comuni ed emarginazione che ha il suo fondamento in pratiche sociali distintive e oppositive, in cui il luogo comune fissa identità percepite come certe e vincolanti. La semplificazione sineddotica costruisce, a partire da un elemento linguistico denotativo, una connotazione che si fa “sotto- testo” difficile da sradicare.
2025
Milia, E. (2025). Parole, cose e stereotipi: lo stigma come forma de-limitata di rappresentazione. In G. Ferrara, S. Iacona, M. Mulone, F. Piccolo, S. Quasimodo (a cura di), Parole, cose, simboli. Tra antiche e nuove rappresentazioni del reale (pp. 381-393). Palermo : Palermo University Press.
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