Nel romanzo Le uova del drago di Pietrangelo Buttafuoco (2005), con il passaggio da un codice di scrittura di matrice teatrale – quello dei pupi, al quale si allude fin dal sottotitolo, Una storia vera al teatro dei pupi – alla narrazione di ampio respiro, i nomi dei paladini di Francia e degli altri personaggi del ciclo carolingio subiscono adattamenti e trasformazioni in riferimento alle situazioni storiche verificatesi nella fase conclusiva della Seconda guerra mondiale, quando in Sicilia l’arrivo degli americani contribuì al completamento del processo di liberazione dal fascismo. Buttafuoco rilegge le vicende da una prospettiva non convenzionale, poiché al concetto di liberazione sostituisce quello di occupazione americana e pone al centro della trama le sacche di “resistenza fascista” – le cosiddette uova del drago – osservate dall’interno grazie alla voce della protagonista: la spia tedesca Eughenia Lenbach. Si assiste, pertanto, a un capovolgimento della prospettiva – per Buttafuoco è quella dei vinti, non più quella dei vincitori già descritta da Calvino o da Sciascia – e a un movimento dei nomi, mutuati dall’epopea in un continuo, seppure implicito, scambio di piani temporali secondo i quali spie, soldati, traditori e traditi si muovono nella Sicilia degli anni dal 1943 al 1947 come nel boccascena di un teatrino: «il romanzo è costruito come un’incredibile opera dei pupi, teatrino di marionette in cui c’è Agramanante e Brandimante, Gano di Maganza e Orlando» (Solinas 2005). L’autore dichiara in premessa di descrivere fatti storicamente accertati, dopo averli trasfigurati «seguendo il canovaccio di un falso storico» (p. 13), in modo da trasformare la storia vera – grazie al ricorso alle marionette – in teatro. I nomi si muovono dalla realtà verso l’Opera dei pupi e viceversa, in uno scambio che diviene talvolta integrazione e giustapposizione di nomi epici a nomi siciliani, come nel caso di Turi Orlando detto Turri, per il quale il gioco linguistico si espande da Turi – ipocoristico di Salvatore – con implicito richiamo alla Cavalleria rusticana, al nome altisonante del paladino Orlando e, infine, all’antroponimo popolare Turri, la torre. Il personaggio è anche apostrofato come «doppiogiochista», «facinoroso», «professore», «eroico». L’intervento sarà circoscritto in particolare a tre personaggi, nessuno dei quali corrisponde in modo diretto a una persona storicamente accertata: Turi Orlando, Angelica La Bella – che nel romanzo identifica una giovane studentessa dalla bellezza ammaliante ed è indicata come «compagna» in senso ideologico, «allieva di dottrina e rivoluzione» o, semplicemente, la «carusa / picciotta catanisa» – ed Eughenia Lenbach, al centro di una notevole variabilità onomastica: nella sua fase americana chiamata Alice Rendell, poi anche Ghez – il suo nome in codice per i tedeschi – quando si stabilisce a Catania, si spaccia per Delphine Cannavò, la vedova belga di un soldato italiano; di conseguenza, il suo nome si trasforma dall’americano Alice al tedesco Eughenia al francese Delphine e il cognome Rendell diviene Lenbach e, infine, il siciliano Cannavò. Nella sua fase catanese, inoltre, Eughenia assume il nome in codice di Delphine Medoro, con evidente allusione al pupo saraceno innamorato di Angelica e rivale di Orlando. Inoltre, la Lenbach è di volta in volta apostrofata come «madame», «comandante cattolico» (declinato al maschile), «vedova», «agente» e – nelle scene in cui è insieme ad Angelica La Bella – «amazzone»; è, inoltre, paragonata a Iside. Ciascuna variazione onomastica è riconducibile a motivazioni precise, che saranno oggetto dell’argomentazione. Si intende, inoltre, accennare all’impianto linguistico del romanzo, di estremo interesse per la complessità e l’originalità degli interscambi tra dialetto siciliano e lingua italiana, con molti innesti di lingua tedesca e inglese, utili a caratterizzare i personaggi e sottolineare il ruolo da essi svolto nelle vicende di una Sicilia divenuta ancora una volta crocevia di popoli. Non mancano i nomi arabeggianti, per i quali l’autore gioca anche con riferimento alla toponomastica siciliana, come nel caso di Alì degli Aliminusa, forse con ascendenza letteraria. Nel primo capitolo, ‘U cuntu, intriso di dialetto siciliano perché riecheggia lo stile dei racconti popolari che circolavano oralmente nell’isola, prevalgono nomi e toponimi siciliani, ma non mancano sicilianizzazioni, come Musulinu, per Mussolini. I nomi si mescolano anche in funzione di un caos artificialmente determinato, come nel nome del prete don Angelo Ferraù, in cui si giustappongono tradizione cristiana e pagana. Altro esempio rilevante, che connota l’attenzione di Buttafuoco per il dato propriale come elemento identitario / denigratorio, è costituito dalla sequenza onomastica «principe Pignatelli Soprano Coppola di ’sta Minchia». Si tratta dell’uso di un’apostrofe di registro basso – Coppola di ’sta minchia – che diviene calembour grazie al valore anfibologico del cognome Coppola e all’elevazione del sostantivo comune minchia ad antroponimo segnalato dall’iniziale maiuscola e funzionale a destituire il personaggio – un rampollo della nobiltà siciliana – da ogni autorevolezza di classe. Un ennesimo pupo, più vicino agli stilemi della farsa che a quelli del teatro.

Campanella, A. (2025). Movimento onomastico dei ‘pupi’ nel romanzo Le uova del drago di Buttafuoco. IL NOME NEL TESTO, 27, 21-33.

Movimento onomastico dei ‘pupi’ nel romanzo Le uova del drago di Buttafuoco

Angelo Campanella
2025-09-01

Abstract

Nel romanzo Le uova del drago di Pietrangelo Buttafuoco (2005), con il passaggio da un codice di scrittura di matrice teatrale – quello dei pupi, al quale si allude fin dal sottotitolo, Una storia vera al teatro dei pupi – alla narrazione di ampio respiro, i nomi dei paladini di Francia e degli altri personaggi del ciclo carolingio subiscono adattamenti e trasformazioni in riferimento alle situazioni storiche verificatesi nella fase conclusiva della Seconda guerra mondiale, quando in Sicilia l’arrivo degli americani contribuì al completamento del processo di liberazione dal fascismo. Buttafuoco rilegge le vicende da una prospettiva non convenzionale, poiché al concetto di liberazione sostituisce quello di occupazione americana e pone al centro della trama le sacche di “resistenza fascista” – le cosiddette uova del drago – osservate dall’interno grazie alla voce della protagonista: la spia tedesca Eughenia Lenbach. Si assiste, pertanto, a un capovolgimento della prospettiva – per Buttafuoco è quella dei vinti, non più quella dei vincitori già descritta da Calvino o da Sciascia – e a un movimento dei nomi, mutuati dall’epopea in un continuo, seppure implicito, scambio di piani temporali secondo i quali spie, soldati, traditori e traditi si muovono nella Sicilia degli anni dal 1943 al 1947 come nel boccascena di un teatrino: «il romanzo è costruito come un’incredibile opera dei pupi, teatrino di marionette in cui c’è Agramanante e Brandimante, Gano di Maganza e Orlando» (Solinas 2005). L’autore dichiara in premessa di descrivere fatti storicamente accertati, dopo averli trasfigurati «seguendo il canovaccio di un falso storico» (p. 13), in modo da trasformare la storia vera – grazie al ricorso alle marionette – in teatro. I nomi si muovono dalla realtà verso l’Opera dei pupi e viceversa, in uno scambio che diviene talvolta integrazione e giustapposizione di nomi epici a nomi siciliani, come nel caso di Turi Orlando detto Turri, per il quale il gioco linguistico si espande da Turi – ipocoristico di Salvatore – con implicito richiamo alla Cavalleria rusticana, al nome altisonante del paladino Orlando e, infine, all’antroponimo popolare Turri, la torre. Il personaggio è anche apostrofato come «doppiogiochista», «facinoroso», «professore», «eroico». L’intervento sarà circoscritto in particolare a tre personaggi, nessuno dei quali corrisponde in modo diretto a una persona storicamente accertata: Turi Orlando, Angelica La Bella – che nel romanzo identifica una giovane studentessa dalla bellezza ammaliante ed è indicata come «compagna» in senso ideologico, «allieva di dottrina e rivoluzione» o, semplicemente, la «carusa / picciotta catanisa» – ed Eughenia Lenbach, al centro di una notevole variabilità onomastica: nella sua fase americana chiamata Alice Rendell, poi anche Ghez – il suo nome in codice per i tedeschi – quando si stabilisce a Catania, si spaccia per Delphine Cannavò, la vedova belga di un soldato italiano; di conseguenza, il suo nome si trasforma dall’americano Alice al tedesco Eughenia al francese Delphine e il cognome Rendell diviene Lenbach e, infine, il siciliano Cannavò. Nella sua fase catanese, inoltre, Eughenia assume il nome in codice di Delphine Medoro, con evidente allusione al pupo saraceno innamorato di Angelica e rivale di Orlando. Inoltre, la Lenbach è di volta in volta apostrofata come «madame», «comandante cattolico» (declinato al maschile), «vedova», «agente» e – nelle scene in cui è insieme ad Angelica La Bella – «amazzone»; è, inoltre, paragonata a Iside. Ciascuna variazione onomastica è riconducibile a motivazioni precise, che saranno oggetto dell’argomentazione. Si intende, inoltre, accennare all’impianto linguistico del romanzo, di estremo interesse per la complessità e l’originalità degli interscambi tra dialetto siciliano e lingua italiana, con molti innesti di lingua tedesca e inglese, utili a caratterizzare i personaggi e sottolineare il ruolo da essi svolto nelle vicende di una Sicilia divenuta ancora una volta crocevia di popoli. Non mancano i nomi arabeggianti, per i quali l’autore gioca anche con riferimento alla toponomastica siciliana, come nel caso di Alì degli Aliminusa, forse con ascendenza letteraria. Nel primo capitolo, ‘U cuntu, intriso di dialetto siciliano perché riecheggia lo stile dei racconti popolari che circolavano oralmente nell’isola, prevalgono nomi e toponimi siciliani, ma non mancano sicilianizzazioni, come Musulinu, per Mussolini. I nomi si mescolano anche in funzione di un caos artificialmente determinato, come nel nome del prete don Angelo Ferraù, in cui si giustappongono tradizione cristiana e pagana. Altro esempio rilevante, che connota l’attenzione di Buttafuoco per il dato propriale come elemento identitario / denigratorio, è costituito dalla sequenza onomastica «principe Pignatelli Soprano Coppola di ’sta Minchia». Si tratta dell’uso di un’apostrofe di registro basso – Coppola di ’sta minchia – che diviene calembour grazie al valore anfibologico del cognome Coppola e all’elevazione del sostantivo comune minchia ad antroponimo segnalato dall’iniziale maiuscola e funzionale a destituire il personaggio – un rampollo della nobiltà siciliana – da ogni autorevolezza di classe. Un ennesimo pupo, più vicino agli stilemi della farsa che a quelli del teatro.
set-2025
Campanella, A. (2025). Movimento onomastico dei ‘pupi’ nel romanzo Le uova del drago di Buttafuoco. IL NOME NEL TESTO, 27, 21-33.
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