Gran parte della complessità degli organismi dipende dall’intricata interfaccia tra le loro sequenze di DNA (genotipo) e i loro caratteri fenotipici, cioè visibili. Un singolo gene, in concorso con molteplici variabili ambientali e inserito nel contesto dei processi di sviluppo, può essere in grado di generare un ampio spettro di forme, consentendo agli agenti biologici una maggiore capacità di superare le sfide ambientali, senza la necessità di un nuovo adattamento codificato nel materiale ereditario. L’apprendimento di nuovi comportamenti è uno dei modi in cui questa plasticità si realizza negli animali. In questo contributo, illustriamo gli aspetti teorici di base dell’effetto Baldwin, attraverso il quale comportamenti inizialmente appresi sono in grado, dato un ambiente stabile e un intervallo di tempo sufficientemente lungo, di fissarsi geneticamente nella popolazione considerata per mezzo dei soli meccanismi di mutazione e selezione naturale. Dopo averne delineato brevemente le criticità teoriche, illustriamo alcuni casi di studio già presenti in letteratura e ne individuiamo altri potenzialmente compatibili con le dinamiche di questo processo, orientando l’indagine verso specie che per le loro caratteristiche (longevità, socialità, plasticità, ecc.) mostrano un’elevata interazione tra aspetti genetici e culturali. Fra queste rientra anche l’uomo, il cui linguaggio potrebbe essersi evoluto, almeno in parte, grazie a dinamiche “baldwiniane”, come suggeriscono alcuni autori: sulla loro scia, ci chiediamo se simili processi abbiano avuto un ruolo nel consolidamento, in altri animali, di capacità comunicative meno complesse, ma spiegabili attraverso lo stesso meccanismo. Individuiamo dunque alcune specie che utilizzano segnali acustici articolati, fra cui spiccano primati, uccelli e cetacei, per verificare se i meccanismi alla base della loro comunicazione si possano spiegare con l’effetto Baldwin. Proponiamo quindi un modello concettuale di carattere generale basato sull’utilizzo dei metodi contemporanei di deep learning, che si potrebbe applicare ad alcuni aspetti della comunicazione degli animali citati. Consideriamo popolazioni cooperative di multi-agenti collocati in un ambiente e un compito collaborativo che richiede loro di imparare a comunicare attraverso l’interazione. Producendo un set di dati sintetico, si vogliono addestrare agenti neurali per imparare a comunicare con uno o più simboli discreti. L’obiettivo auspicato è quello di verificare: (i) se gli agenti, data un’adeguata pressione dell’ambiente, siano in grado di sviluppare una forma di comunicazione (e con quali proprietà) e di trasmetterla alle successive generazioni, e (ii) se, in qualche modo, questa possa diventare “innata” nel lungo periodo.
Riccardo Tarantino, Gabriele Ganau, Alessandra Montalbano (2023). Il ruolo dell’effetto Baldwin nel consolidamento di forme di comunicazione acustica negli animali. In Evoluzione e tecnica. Una questione aperta.. Palermo : Palermo University Press.
Il ruolo dell’effetto Baldwin nel consolidamento di forme di comunicazione acustica negli animali
Riccardo TarantinoPrimo
;Gabriele GanauSecondo
;
2023-01-01
Abstract
Gran parte della complessità degli organismi dipende dall’intricata interfaccia tra le loro sequenze di DNA (genotipo) e i loro caratteri fenotipici, cioè visibili. Un singolo gene, in concorso con molteplici variabili ambientali e inserito nel contesto dei processi di sviluppo, può essere in grado di generare un ampio spettro di forme, consentendo agli agenti biologici una maggiore capacità di superare le sfide ambientali, senza la necessità di un nuovo adattamento codificato nel materiale ereditario. L’apprendimento di nuovi comportamenti è uno dei modi in cui questa plasticità si realizza negli animali. In questo contributo, illustriamo gli aspetti teorici di base dell’effetto Baldwin, attraverso il quale comportamenti inizialmente appresi sono in grado, dato un ambiente stabile e un intervallo di tempo sufficientemente lungo, di fissarsi geneticamente nella popolazione considerata per mezzo dei soli meccanismi di mutazione e selezione naturale. Dopo averne delineato brevemente le criticità teoriche, illustriamo alcuni casi di studio già presenti in letteratura e ne individuiamo altri potenzialmente compatibili con le dinamiche di questo processo, orientando l’indagine verso specie che per le loro caratteristiche (longevità, socialità, plasticità, ecc.) mostrano un’elevata interazione tra aspetti genetici e culturali. Fra queste rientra anche l’uomo, il cui linguaggio potrebbe essersi evoluto, almeno in parte, grazie a dinamiche “baldwiniane”, come suggeriscono alcuni autori: sulla loro scia, ci chiediamo se simili processi abbiano avuto un ruolo nel consolidamento, in altri animali, di capacità comunicative meno complesse, ma spiegabili attraverso lo stesso meccanismo. Individuiamo dunque alcune specie che utilizzano segnali acustici articolati, fra cui spiccano primati, uccelli e cetacei, per verificare se i meccanismi alla base della loro comunicazione si possano spiegare con l’effetto Baldwin. Proponiamo quindi un modello concettuale di carattere generale basato sull’utilizzo dei metodi contemporanei di deep learning, che si potrebbe applicare ad alcuni aspetti della comunicazione degli animali citati. Consideriamo popolazioni cooperative di multi-agenti collocati in un ambiente e un compito collaborativo che richiede loro di imparare a comunicare attraverso l’interazione. Producendo un set di dati sintetico, si vogliono addestrare agenti neurali per imparare a comunicare con uno o più simboli discreti. L’obiettivo auspicato è quello di verificare: (i) se gli agenti, data un’adeguata pressione dell’ambiente, siano in grado di sviluppare una forma di comunicazione (e con quali proprietà) e di trasmetterla alle successive generazioni, e (ii) se, in qualche modo, questa possa diventare “innata” nel lungo periodo.File | Dimensione | Formato | |
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