La ricerca ha preso le mosse dalla volontà di creare una mappatura comprendente le percezioni, le valutazioni e le risposte fisiche e/o affettive inerenti al processo emotivo che viene espresso, in latino, attraverso il lemma desiderium. Da tempo è infatti chiara, tra gli studiosi delle emozioni nel mondo antico, la necessità di approcciarsi a questa tematica con studi che si concentrino su tutte le fasi di questo processo, considerando fuorviante ricercare una pura e semplice corrispondenza lessicale tra “emozioni antiche” ed “emozioni moderne”. In questa tesi si approfondisce criticamente la correlazione abitualmente istituita tra la nozione antica di desiderium e quella moderna di “nostalgia”. Un punto di partenza ottimale è offerto da una definizione teorica interna ai testi letterari latini, atta a recuperare la prospettiva di un antico romano a tal proposito: questa definizione si trova nel IV libro delle Tusculanae Disputationes di Cicerone, (45 a.C.), dove il desiderium è definito «libido eius, qui non dum adsit, videndi». Il III ed il IV libro delle Tusculanae rappresentano in particolare un punto di riferimento per gli studiosi delle emozioni nell’antica Roma, poiché sono il primo testo a noi giunto dove ritroviamo una classificazione teorica di quelle che Cicerone chiama, traducendo il lemma greco πάϑη, perturbationes. Alla complessità del termine πάϑος nel contesto delle diverse scuole filosofiche greche ed alla rielaborazione ciceroniana della dottrina stoica a tal proposito, ho dedicato il capitolo I. Il desiderium è classificato dall’Arpinate in quanto pars relativa al genus della libido e rappresenta perciò, nell’orizzonte della riflessione teorica di Cicerone, una perturbatio, innaturale e moralmente deprecabile. Ci si è allora domandati se questa idea di desiderium faccia parte delle rappresentazioni culturali dell’antica Roma o si limiti all’ambito della teorizzazione filosofica ciceroniana: gli studi già esistenti su tale emozione, in base ai quali ho fatto emergere, al capitolo II, un primo script, si sono concentrati sul genere elegiaco. Le rappresentazioni del desiderium nell’elegia risultano differenti a seconda che ci si trovi in ambito amoroso o di elegia dell’esilio: mentre, nel primo caso, il giudizio che scatena il motus animi è la distanza spaziale tra la donna ed il poeta, nel secondo si riscontra invece un più forte senso del distacco temporale; il desiderium si manifesta perciò attraverso il dolor in tutte le sue espressioni mentali e fisiche, e si traduce, allo stesso tempo, in un costante ritorno del passato che si presenta al soggetto sotto forma di imago. I testi dell’elegia risultano in ogni caso segnati da uno sguardo che si concentra sull’azione individuale; le opere dell’ultimo Cicerone ci sono invece apparse come un repertorio fecondo per individuare e ricostruire lo statuto del desiderium prima dell’elegia, in quanto ci consentono di analizzare l’emozione della mancanza dalla prospettiva di un civis costantemente impegnato nella dimensione pubblica, il quale rimane fedele all’idea di una scrittura che si sostituisca al negotium, impraticabile sotto la dittatura del nemico politico. Cicerone si rivolge anche alla dimensione privata, individuale, delle emozioni (in questo caso, dell’emozione “retrospettiva”) per fornire un’interpretazione del momento critico vissuto dall’Urbs, nella speranza di riuscire a intravedere, attraverso lo sguardo al passato, anche una soluzione valida per il futuro. Ai fini della stesura dell’elaborato è stato necessario vagliare le opere in cui l’emozione del desiderium risulta tematizzata: Dopo la vittoria di Cesare, la prima opera nella quale il tema della perdita è esplicitamente tematizzato è il Brutus (cap. III); la premessa narrativa è infatti la morte del collega e rivale Ortensio, interpretata dall'Arpinate come il venir meno di qualcosa che è stato parte dell’identità dell’autore, la possibilità di svolgere il proprio ruolo nella societas: questo perché Ortensio non è nel Brutus esclusivamente una figura storica, quanto piuttosto il simbolo dell’eloquenza “messa a tacere” dalla dittatura cesariana. Il desiderium ciceroniano si declina in due esiti differenti: da un lato come risposta affettiva che si configura quale sentimento che appartiene all’intera collettività, privata della “voce” dell’eloquentia; dall’altro come risposta intellettiva eseguita dalla memoria, pubblica e privata, atta a ripensare l’eloquenza e le categorie di pensiero in funzione delle nuove generazioni di cui Bruto è simbolo. Ci si è a questo punto domandati se il desiderium in quanto emozione individuale sia mai tematizzato nell’ultimo Cicerone. Ciò avviene nel Cato Maior (cap. IV), dal quale emerge la visione di questa emozione in un contesto in cui il singolo, giunto alla maturitas, prova rimpianto verso i piaceri della giovinezza. Il desiderium senile nasce in tale contesto dalla errata percezione di uno squilibrio tra i piani temporali, tra giovinezza e vecchiaia: essa porta ad un motus animi ambiguo e pericoloso, che ha l’effetto di “bloccare” l’individuo nel suo tempo e nei suoi spazi, impedendogli di guardare al futuro ed assumersi delle responsabilità nei riguardi della societas. A questo punto, lo script del desiderium risulta suddiviso in due “diramazioni”: da un lato, in situazioni legate al piano strettamente individuale, una perturbatio in effetti immorale e deprecabile, frutto della tendenza all’autoreferenzialità ed in contrasto con la possibilità di crescita collettiva; dall’altro, comunque, una perturbatio, nel senso di “moto dell’anima che si origina dalla ragione”, ma che viene provata, “sentita”, da quanti hanno rettamente riconosciuto nella crescita della societas il proprio scopo di vita, e che non vede necessariamente una deviazione dalla “retta ragione”, ma si apre, invece, all’uso della memoria volta a sanare un turbamento collettivo.Questo secondo ramo dello script del desiderium, tracciato attraverso il Brutus, trova ulteriore approfondimento nel Laelius de amicitia (cap. V). In questa sede, anche il dolor di Lelio è correlato al desiderium per una perdita, quella dell’amico Scipione. Lelio esplicita la necessità di ridimensionare tale sofferenza nelle sue manifestazioni più estreme e far sì che la perdita della propria relazione interpersonale con il defunto non si traduca in una chiusura verso il mondo circostante. Il desiderium non deve disperdersi nel turbolento groviglio di emozioni che l’incontro con la morte genera nel percorso individuale di un uomo, ma piuttosto trovare nuova stabilità nell’avviamento del processo memoriale finalizzato a rinnovare le prerogative e gli ideali che Lelio e Scipione hanno condiviso in vita. Non è un caso che questo modello di desiderium veda come protagonista una figura esemplare della storia dell’Urbs: calare una simile visione dell’emozione retrospettiva nel contesto idilliaco della Roma repubblicana aiuta l’Arpinate ad attribuire a tale interpretazione un valore paradigmatico. L’ultimo capitolo della tesi (cap. VI) è dunque volto a chiarire se e come Cicerone utilizzi questo paradigma per interpretare le veloci trasformazioni in atto sotto la “tirannide” di Antonio nelle Philippicae, ultime orazioni ciceroniane, e dunque al di fuori di ogni rappresentazione simbolica. Cicerone constata, a partire dall’acquisizione di potere da parte di Antonio, non solo la perdita di tutti i cittadini honesti, assassinati dal nuovo console, ma soprattutto “sfioritura” del senato che l’ha accompagnata. Nella maggioranza dei patres conscripti, il desiderium originato dalla perdita tanto di questi cives quanto della propria auctoritas rimane sul piano della mera manifestazione emotiva, non si traduce in attivazione del processo memoriale. Ciò avviene perché Antonio, assecondato dai senatori stessi, non è intenzionato a riconoscere (ed è, anzi, intenzionato a promuovere) lo squilibrio tra res publica del passato e res publica del presente: chi detiene il potere lavora al fine di cancellare ogni memoria del bagaglio valoriale repubblicano. All’oratore non rimane che sfruttare lo spazio delle Philippicae per riconoscere ed abbracciare il desiderium in quanto motus che può attivare e preservare, nei pochi spazi in cui è concesso, la memoria di princìpi quali il decus, la dignitas, l’honestas; starà poi alla posteritas guardare ad esso per scrivere una nuova pagina della storia.Il desiderium assume in definitiva, nell’ultimo Cicerone, l’effettivo statuto di perturbatio nel senso di motus animi, manifesto attraverso partes, nato da una valutazione del mondo circostante, che comporta il turbamento di un equilibrio. Esso non viene però appiattito nella dimensione del falso giudizio e dell’errore, ma conosce l’azione della memoria in quanto risposta “intellettiva” volta a restaurare una stabilità nella vita dell’individuo. Esso è interpretato da Cicerone nei termini di una condizione statica, ma di una attività dinamica che si sviluppa in un esito “a lungo termine”: la ricerca di modelli di azione da riadattare alla fase storica che si sta vivendo.

(2024). L’emozione della mancanza, il desiderio di futuro. Nostalgia e memoria nell’ultimo Cicerone.

L’emozione della mancanza, il desiderio di futuro. Nostalgia e memoria nell’ultimo Cicerone

BALLACCOMO, Roberta Maria
2024-06-01

Abstract

La ricerca ha preso le mosse dalla volontà di creare una mappatura comprendente le percezioni, le valutazioni e le risposte fisiche e/o affettive inerenti al processo emotivo che viene espresso, in latino, attraverso il lemma desiderium. Da tempo è infatti chiara, tra gli studiosi delle emozioni nel mondo antico, la necessità di approcciarsi a questa tematica con studi che si concentrino su tutte le fasi di questo processo, considerando fuorviante ricercare una pura e semplice corrispondenza lessicale tra “emozioni antiche” ed “emozioni moderne”. In questa tesi si approfondisce criticamente la correlazione abitualmente istituita tra la nozione antica di desiderium e quella moderna di “nostalgia”. Un punto di partenza ottimale è offerto da una definizione teorica interna ai testi letterari latini, atta a recuperare la prospettiva di un antico romano a tal proposito: questa definizione si trova nel IV libro delle Tusculanae Disputationes di Cicerone, (45 a.C.), dove il desiderium è definito «libido eius, qui non dum adsit, videndi». Il III ed il IV libro delle Tusculanae rappresentano in particolare un punto di riferimento per gli studiosi delle emozioni nell’antica Roma, poiché sono il primo testo a noi giunto dove ritroviamo una classificazione teorica di quelle che Cicerone chiama, traducendo il lemma greco πάϑη, perturbationes. Alla complessità del termine πάϑος nel contesto delle diverse scuole filosofiche greche ed alla rielaborazione ciceroniana della dottrina stoica a tal proposito, ho dedicato il capitolo I. Il desiderium è classificato dall’Arpinate in quanto pars relativa al genus della libido e rappresenta perciò, nell’orizzonte della riflessione teorica di Cicerone, una perturbatio, innaturale e moralmente deprecabile. Ci si è allora domandati se questa idea di desiderium faccia parte delle rappresentazioni culturali dell’antica Roma o si limiti all’ambito della teorizzazione filosofica ciceroniana: gli studi già esistenti su tale emozione, in base ai quali ho fatto emergere, al capitolo II, un primo script, si sono concentrati sul genere elegiaco. Le rappresentazioni del desiderium nell’elegia risultano differenti a seconda che ci si trovi in ambito amoroso o di elegia dell’esilio: mentre, nel primo caso, il giudizio che scatena il motus animi è la distanza spaziale tra la donna ed il poeta, nel secondo si riscontra invece un più forte senso del distacco temporale; il desiderium si manifesta perciò attraverso il dolor in tutte le sue espressioni mentali e fisiche, e si traduce, allo stesso tempo, in un costante ritorno del passato che si presenta al soggetto sotto forma di imago. I testi dell’elegia risultano in ogni caso segnati da uno sguardo che si concentra sull’azione individuale; le opere dell’ultimo Cicerone ci sono invece apparse come un repertorio fecondo per individuare e ricostruire lo statuto del desiderium prima dell’elegia, in quanto ci consentono di analizzare l’emozione della mancanza dalla prospettiva di un civis costantemente impegnato nella dimensione pubblica, il quale rimane fedele all’idea di una scrittura che si sostituisca al negotium, impraticabile sotto la dittatura del nemico politico. Cicerone si rivolge anche alla dimensione privata, individuale, delle emozioni (in questo caso, dell’emozione “retrospettiva”) per fornire un’interpretazione del momento critico vissuto dall’Urbs, nella speranza di riuscire a intravedere, attraverso lo sguardo al passato, anche una soluzione valida per il futuro. Ai fini della stesura dell’elaborato è stato necessario vagliare le opere in cui l’emozione del desiderium risulta tematizzata: Dopo la vittoria di Cesare, la prima opera nella quale il tema della perdita è esplicitamente tematizzato è il Brutus (cap. III); la premessa narrativa è infatti la morte del collega e rivale Ortensio, interpretata dall'Arpinate come il venir meno di qualcosa che è stato parte dell’identità dell’autore, la possibilità di svolgere il proprio ruolo nella societas: questo perché Ortensio non è nel Brutus esclusivamente una figura storica, quanto piuttosto il simbolo dell’eloquenza “messa a tacere” dalla dittatura cesariana. Il desiderium ciceroniano si declina in due esiti differenti: da un lato come risposta affettiva che si configura quale sentimento che appartiene all’intera collettività, privata della “voce” dell’eloquentia; dall’altro come risposta intellettiva eseguita dalla memoria, pubblica e privata, atta a ripensare l’eloquenza e le categorie di pensiero in funzione delle nuove generazioni di cui Bruto è simbolo. Ci si è a questo punto domandati se il desiderium in quanto emozione individuale sia mai tematizzato nell’ultimo Cicerone. Ciò avviene nel Cato Maior (cap. IV), dal quale emerge la visione di questa emozione in un contesto in cui il singolo, giunto alla maturitas, prova rimpianto verso i piaceri della giovinezza. Il desiderium senile nasce in tale contesto dalla errata percezione di uno squilibrio tra i piani temporali, tra giovinezza e vecchiaia: essa porta ad un motus animi ambiguo e pericoloso, che ha l’effetto di “bloccare” l’individuo nel suo tempo e nei suoi spazi, impedendogli di guardare al futuro ed assumersi delle responsabilità nei riguardi della societas. A questo punto, lo script del desiderium risulta suddiviso in due “diramazioni”: da un lato, in situazioni legate al piano strettamente individuale, una perturbatio in effetti immorale e deprecabile, frutto della tendenza all’autoreferenzialità ed in contrasto con la possibilità di crescita collettiva; dall’altro, comunque, una perturbatio, nel senso di “moto dell’anima che si origina dalla ragione”, ma che viene provata, “sentita”, da quanti hanno rettamente riconosciuto nella crescita della societas il proprio scopo di vita, e che non vede necessariamente una deviazione dalla “retta ragione”, ma si apre, invece, all’uso della memoria volta a sanare un turbamento collettivo.Questo secondo ramo dello script del desiderium, tracciato attraverso il Brutus, trova ulteriore approfondimento nel Laelius de amicitia (cap. V). In questa sede, anche il dolor di Lelio è correlato al desiderium per una perdita, quella dell’amico Scipione. Lelio esplicita la necessità di ridimensionare tale sofferenza nelle sue manifestazioni più estreme e far sì che la perdita della propria relazione interpersonale con il defunto non si traduca in una chiusura verso il mondo circostante. Il desiderium non deve disperdersi nel turbolento groviglio di emozioni che l’incontro con la morte genera nel percorso individuale di un uomo, ma piuttosto trovare nuova stabilità nell’avviamento del processo memoriale finalizzato a rinnovare le prerogative e gli ideali che Lelio e Scipione hanno condiviso in vita. Non è un caso che questo modello di desiderium veda come protagonista una figura esemplare della storia dell’Urbs: calare una simile visione dell’emozione retrospettiva nel contesto idilliaco della Roma repubblicana aiuta l’Arpinate ad attribuire a tale interpretazione un valore paradigmatico. L’ultimo capitolo della tesi (cap. VI) è dunque volto a chiarire se e come Cicerone utilizzi questo paradigma per interpretare le veloci trasformazioni in atto sotto la “tirannide” di Antonio nelle Philippicae, ultime orazioni ciceroniane, e dunque al di fuori di ogni rappresentazione simbolica. Cicerone constata, a partire dall’acquisizione di potere da parte di Antonio, non solo la perdita di tutti i cittadini honesti, assassinati dal nuovo console, ma soprattutto “sfioritura” del senato che l’ha accompagnata. Nella maggioranza dei patres conscripti, il desiderium originato dalla perdita tanto di questi cives quanto della propria auctoritas rimane sul piano della mera manifestazione emotiva, non si traduce in attivazione del processo memoriale. Ciò avviene perché Antonio, assecondato dai senatori stessi, non è intenzionato a riconoscere (ed è, anzi, intenzionato a promuovere) lo squilibrio tra res publica del passato e res publica del presente: chi detiene il potere lavora al fine di cancellare ogni memoria del bagaglio valoriale repubblicano. All’oratore non rimane che sfruttare lo spazio delle Philippicae per riconoscere ed abbracciare il desiderium in quanto motus che può attivare e preservare, nei pochi spazi in cui è concesso, la memoria di princìpi quali il decus, la dignitas, l’honestas; starà poi alla posteritas guardare ad esso per scrivere una nuova pagina della storia.Il desiderium assume in definitiva, nell’ultimo Cicerone, l’effettivo statuto di perturbatio nel senso di motus animi, manifesto attraverso partes, nato da una valutazione del mondo circostante, che comporta il turbamento di un equilibrio. Esso non viene però appiattito nella dimensione del falso giudizio e dell’errore, ma conosce l’azione della memoria in quanto risposta “intellettiva” volta a restaurare una stabilità nella vita dell’individuo. Esso è interpretato da Cicerone nei termini di una condizione statica, ma di una attività dinamica che si sviluppa in un esito “a lungo termine”: la ricerca di modelli di azione da riadattare alla fase storica che si sta vivendo.
giu-2024
Cicero, desiderium, nostalgia, Brutus, Cato Maior, Laelius, Philippicae, emotions
(2024). L’emozione della mancanza, il desiderio di futuro. Nostalgia e memoria nell’ultimo Cicerone.
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