Gli studi sui ruoli femminili nelle mafie per quanto ancora non ponderosi da un punto di vista quantitativo e nonostante le loro recenti origini – risalenti alla metà degli anni ’80 del ‘900 – si sono ultimamente arricchiti di pregevoli lavori, che hanno avuto il merito di mettere a fuoco alcune questioni-chiave, fugando il campo da tante ambiguità e aprendo feconde prospettive per ulteriori approfondimenti. Negli ultimi anni l’universo femminile mafioso è stato investito da rilevanti trasformazioni, sia per quel che riguarda la partecipazione delle donne alle attività criminali, sia per quanto attiene al più ampio contesto che le vede impegnate nelle differenti attività quotidiane, dentro e fuori la famiglia di appartenenza. Di tali profonde mutazioni – conseguenza e riflesso dei mutamenti dei ruoli femminili nella società italiana – sono testimonianza le numerose situazioni di frattura, le vicende a volte tragiche che vedono come protagoniste proprio le donne di mafia, strette tra ruoli mutati di fatto, ma non formalmente né pubblicamente riconosciuti. Il saggio analizza in particolare il mutamento dei ruoli delle donne nella ‘ndrangheta calabrese, organizzazione criminale fondata su relazioni parentali e sulla frequente sovrapposizione fra famiglia di sangue e famiglia criminale. La centralità della famiglia – luogo di incontro degli affetti e degli affari mafiosi – amplifica l’importanza delle figure femminili, il cui ruolo risulta, però, caratterizzato da ambiguità e confusione, avvolto quasi in una “una ragnatela inestricabile” di sentimenti ed emozioni. Si profilano, dunque, ruoli più marcati per le donne della ‘ndrangheta. Sicuramente più visibili, in risposta alle trasformazioni della società. Spesso, però, la loro maggior presenza e visibilità nel contesto criminale, non coincide col riconoscimento formale del loro ruolo e con l’uscita da una condizione di formale subordinazione al postere maschile. Si tratta, infatti, di una partecipazione ambigua, poiché la violenza interna non lascia un spazio all’espressione della soggettività femminile, costretta a rifugiarsi entro pseudo-immagini di donna moderna, che celano uno squilibrio di potere e una pratica della coercizione ancora pressoché inalterati.
Dino A. (2012). Un mondo in frantumi. NARCOMAFIE, 3(3), 45-53.
Un mondo in frantumi
DINO, Alessandra
2012-01-01
Abstract
Gli studi sui ruoli femminili nelle mafie per quanto ancora non ponderosi da un punto di vista quantitativo e nonostante le loro recenti origini – risalenti alla metà degli anni ’80 del ‘900 – si sono ultimamente arricchiti di pregevoli lavori, che hanno avuto il merito di mettere a fuoco alcune questioni-chiave, fugando il campo da tante ambiguità e aprendo feconde prospettive per ulteriori approfondimenti. Negli ultimi anni l’universo femminile mafioso è stato investito da rilevanti trasformazioni, sia per quel che riguarda la partecipazione delle donne alle attività criminali, sia per quanto attiene al più ampio contesto che le vede impegnate nelle differenti attività quotidiane, dentro e fuori la famiglia di appartenenza. Di tali profonde mutazioni – conseguenza e riflesso dei mutamenti dei ruoli femminili nella società italiana – sono testimonianza le numerose situazioni di frattura, le vicende a volte tragiche che vedono come protagoniste proprio le donne di mafia, strette tra ruoli mutati di fatto, ma non formalmente né pubblicamente riconosciuti. Il saggio analizza in particolare il mutamento dei ruoli delle donne nella ‘ndrangheta calabrese, organizzazione criminale fondata su relazioni parentali e sulla frequente sovrapposizione fra famiglia di sangue e famiglia criminale. La centralità della famiglia – luogo di incontro degli affetti e degli affari mafiosi – amplifica l’importanza delle figure femminili, il cui ruolo risulta, però, caratterizzato da ambiguità e confusione, avvolto quasi in una “una ragnatela inestricabile” di sentimenti ed emozioni. Si profilano, dunque, ruoli più marcati per le donne della ‘ndrangheta. Sicuramente più visibili, in risposta alle trasformazioni della società. Spesso, però, la loro maggior presenza e visibilità nel contesto criminale, non coincide col riconoscimento formale del loro ruolo e con l’uscita da una condizione di formale subordinazione al postere maschile. Si tratta, infatti, di una partecipazione ambigua, poiché la violenza interna non lascia un spazio all’espressione della soggettività femminile, costretta a rifugiarsi entro pseudo-immagini di donna moderna, che celano uno squilibrio di potere e una pratica della coercizione ancora pressoché inalterati.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.