Nel saggio esamino la questione della persistente prevalenza femminile nella professione dell’assistente sociale. Se è documentata e corroborata dai dati sperimentali l’inclinazione femminile per i lavori che comportano una componente essenzialmente relazionale su questa prevalenza agiscono anche disparità di genere persistenti. La disparità agisce sul piano delle scelte: i maschi scelgono altro per inclinazione e per considerazioni relative al prestigio (e l’assistente sociale ne avrebbe di meno di altre occupazioni a parità di impegno richiesto per il conseguimento del titolo e dell’abilitazione). Le donne scelgono il servizio sociale per inclinazione e prevalgono perché meno uomini vi aspirano. Poi c’è la questione del prestigio professionale. Anzitutto non è così chiaro come, in che modo e misura la femminilizzazione delle occupazioni sia associata alla loro svalutazione. In ogni caso, se svalutazione c’è, non è la preponderanza femminile a causarla. È, semmai, vero il contrario: le professioni meno prestigiose sono meno preferite dagli uomini. Dunque la femminilizzazione è un esito non una causa della svalutazione. Se la professione è sottostimata lo è per altre ragioni rispetto alla prevalenza del genere femminile. Ragioni che attengono alla competenza professionale, al riconoscimento accademico, alla capacità di cambiamento effettivo. Vale a dire a ragioni che investono lo statuto professionale dell’assistente sociale. È su questi elementi che si deve puntare l’attenzione e su cui agire.
Gucciardo, G. (2016). L'assistente sociale: una professione al femminile e la sua desiderabilità sociale. In I. Bartholini, R.T. De Rosa, G. Gucciardo, F. Rizzuto (a cura di), Genere e servizio sociale : Habitus professionali, dinamiche di relazione, rappresentazioni (pp. 101-128). Torre del greco (NA) : Edizioni scientifiche e artistiche.
L'assistente sociale: una professione al femminile e la sua desiderabilità sociale
Gucciardo, Gaetano
2016-01-01
Abstract
Nel saggio esamino la questione della persistente prevalenza femminile nella professione dell’assistente sociale. Se è documentata e corroborata dai dati sperimentali l’inclinazione femminile per i lavori che comportano una componente essenzialmente relazionale su questa prevalenza agiscono anche disparità di genere persistenti. La disparità agisce sul piano delle scelte: i maschi scelgono altro per inclinazione e per considerazioni relative al prestigio (e l’assistente sociale ne avrebbe di meno di altre occupazioni a parità di impegno richiesto per il conseguimento del titolo e dell’abilitazione). Le donne scelgono il servizio sociale per inclinazione e prevalgono perché meno uomini vi aspirano. Poi c’è la questione del prestigio professionale. Anzitutto non è così chiaro come, in che modo e misura la femminilizzazione delle occupazioni sia associata alla loro svalutazione. In ogni caso, se svalutazione c’è, non è la preponderanza femminile a causarla. È, semmai, vero il contrario: le professioni meno prestigiose sono meno preferite dagli uomini. Dunque la femminilizzazione è un esito non una causa della svalutazione. Se la professione è sottostimata lo è per altre ragioni rispetto alla prevalenza del genere femminile. Ragioni che attengono alla competenza professionale, al riconoscimento accademico, alla capacità di cambiamento effettivo. Vale a dire a ragioni che investono lo statuto professionale dell’assistente sociale. È su questi elementi che si deve puntare l’attenzione e su cui agire.File | Dimensione | Formato | |
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