Architettura per i beni confiscati : figure del progetto nei territori del conflitto fra democrazia e criminalità

The article deals with the relationship between city, territory, and democracy, starting from the results of an international research, which investigated the peculiar forms of the crisis of the notion of Public in those territories that are marked by a long-date conflict between the state and mafia crime. The research questions are framed onto a perspective arguing that the territory is an elective place to read the traces built throughout the relationship between communities and illegal powers. Those questions have posed the need to investigate the set of confiscated assets by claiming the need for architectural design intervention, aiming at the spatial, linguistic, and symbolic transformations without which their transition to commons cannot be said to be fully accomplished. Referring to the municipal area of Palermo, the architectural design studios faced the background scenario constituted by the almost two thousand cases (a very underestimated number) registered by the National Agency for Seized and Confiscated Assets, and relating to the forms of the Public in a context in which democracy is en panne, where the presence of anti-democratic forces that are not only antagonistic to the state but aim to replace it, is not the exception but the rule. Until its conclusions, the paper deals with the reciprocal feeding relationship between research and design studios and concludes by opening new paths, at the crossroads between the updating of the themes of the droit à la ville and spatial justice, which look at the project as a device for emancipation.

L’articolo affronta il rapporto fra città, territorio e democrazia a partire dai risultati di una ricerca internazionale, che ha indagato le forme peculiari di crisi del pubblico nei territori del conflitto fra Stato e criminalità mafiosa. Le domande di ricerca si situano in un quadro che intende il territorio come luogo elettivo per leggere le tracce costruite dal rapporto fra comunità e poteri illegali. Esse hanno posto la necessità di indagare l’insieme dei beni confiscati reclamando la necessità dell’intervento progettuale per le trasformazioni spaziali, linguistiche e simboliche senza le quali la loro transizione a beni pubblici non può dirsi pienamente compiuta. Riferiti al territorio comunale di Palermo, i laboratori di progettazione architettonica hanno affrontato lo scenario di fondo costituito dai quasi duemila casi (numero di molto sottostimato) censiti dall’Agenzia Nazionale dei Beni Sequestrati e Confiscati, e relativo alle forme del Pubblico in un contesto in cui la democrazia è in panne, dove la presenza di forme antidemocratiche che non sono solo antagoniste dello Stato, ma mirano a sostituirlo, non sono un’eccezione ma la regola. Il testo affronta sino in conclusione il rapporto di alimentazione reciproca fra ricerca e didattica del progetto e conclude aprendo nuove piste, all’incrocio fra l’aggiornamento dei temi del droit à la ville e la giustizia spaziale, che guardano al progetto come dispositivo di emancipazione.