Non è mai esistita fase della storia umana che non sia stata costellata da processi di mobilità delle popolazioni nello spazio, più o meno forzati, che hanno dato luogo a scambi di culture, di esperienze, di conoscenze scientifiche, di relazioni sociali grazie alle quali, nel bene e nel male, il globo ha assunto le fattezze che oggi conosciamo. Nonostante le evidenze della storia umana, i paesi più ricchi del mondo, già sul finire del XX secolo e, con ancora più forza, nel XXI secolo, mostrano verso i migranti il loro volto più feroce e spietato, agitando le retoriche dell’invasione di massa, della sicurezza, della paura e del controllo, ed insieme si mostrano così ciecamente indifferenti alle condizioni che muovono questi popoli di uomini, donne, anziani e bambini alla fuga dalla povertà, dalla violenza politica, etnica, religiosa, dalle carestie e dalla fame (condizioni spesso determinate da mutamenti ambientali o climatici dovuti alla azione colonizzatrice degli stessi paesi ricchi), sino al punto da nascondere tutto questo con le pratiche di esternalizzazione dei controlli di frontiera. Di questo atteggiamento di chiusura verso le migrazioni internazionali, l'Italia è, nel contesto della «fortezza Europa», l'avamposto principale; e la nostra isola, la Sicilia, con la maggior concentrazione sul territorio di Centri di Permanenza Temporanea (CPT), ha costituito e costituisce quella spessa barriera di filo spinato che, drammaticamente e tristemente, simboleggiò le deportazioni di massa del nazismo e del fascismo, segnando indelebilmente i nudi corpi di milioni di uomini, donne, anziani e bambini non più di sessanta anni fa e che noi sembriamo avere completamente rimosso, nonostante i fiumi di retorica che ogni anno si spandono nelle Giornate della memoria. Agitando lo spettro dell’invasione di massa, si sta cercando di legittimare da un lato la deportazione di fatto dei rifugiati e dei richiedenti asilo, provenienti dalle aree più povere del mondo, e dall’altro lato gli accordi, come nel caso della Libia, con paesi disposti a fare il lavoro sporco al posto nostro nei confronti dei migranti che si avvicinano alle porte dell’Europa. Quali sono i motivi di questo atteggiamento? Quali paure e ansie (se non forse strategie) si nascondono dietro questa apparente contraddizione tra l’inneggiare alla mobilità e alla flessibilità, vero mito della globalizzazione, e i controlli così rigidi sui movimenti di popolazione dentro la società globale? Cercheremo di rispondere a queste domande indagando la relazione tra globalizzazione e migrazioni internazionali quale forma dei nuovi processi di stratificazione sociale.
PIRRONE MA (2006). Nuove migrazioni nuove stratificazioni. In CUTTITTA PAOLO, VASSALLO PALEOLOGO FULVIO A CURA DI (a cura di), Migrazioni, frontiere, diritti (pp. 277-291). NAPOLI : Edizioni Scientifiche Italiane.
Nuove migrazioni nuove stratificazioni
PIRRONE, Marco Antonio
2006-01-01
Abstract
Non è mai esistita fase della storia umana che non sia stata costellata da processi di mobilità delle popolazioni nello spazio, più o meno forzati, che hanno dato luogo a scambi di culture, di esperienze, di conoscenze scientifiche, di relazioni sociali grazie alle quali, nel bene e nel male, il globo ha assunto le fattezze che oggi conosciamo. Nonostante le evidenze della storia umana, i paesi più ricchi del mondo, già sul finire del XX secolo e, con ancora più forza, nel XXI secolo, mostrano verso i migranti il loro volto più feroce e spietato, agitando le retoriche dell’invasione di massa, della sicurezza, della paura e del controllo, ed insieme si mostrano così ciecamente indifferenti alle condizioni che muovono questi popoli di uomini, donne, anziani e bambini alla fuga dalla povertà, dalla violenza politica, etnica, religiosa, dalle carestie e dalla fame (condizioni spesso determinate da mutamenti ambientali o climatici dovuti alla azione colonizzatrice degli stessi paesi ricchi), sino al punto da nascondere tutto questo con le pratiche di esternalizzazione dei controlli di frontiera. Di questo atteggiamento di chiusura verso le migrazioni internazionali, l'Italia è, nel contesto della «fortezza Europa», l'avamposto principale; e la nostra isola, la Sicilia, con la maggior concentrazione sul territorio di Centri di Permanenza Temporanea (CPT), ha costituito e costituisce quella spessa barriera di filo spinato che, drammaticamente e tristemente, simboleggiò le deportazioni di massa del nazismo e del fascismo, segnando indelebilmente i nudi corpi di milioni di uomini, donne, anziani e bambini non più di sessanta anni fa e che noi sembriamo avere completamente rimosso, nonostante i fiumi di retorica che ogni anno si spandono nelle Giornate della memoria. Agitando lo spettro dell’invasione di massa, si sta cercando di legittimare da un lato la deportazione di fatto dei rifugiati e dei richiedenti asilo, provenienti dalle aree più povere del mondo, e dall’altro lato gli accordi, come nel caso della Libia, con paesi disposti a fare il lavoro sporco al posto nostro nei confronti dei migranti che si avvicinano alle porte dell’Europa. Quali sono i motivi di questo atteggiamento? Quali paure e ansie (se non forse strategie) si nascondono dietro questa apparente contraddizione tra l’inneggiare alla mobilità e alla flessibilità, vero mito della globalizzazione, e i controlli così rigidi sui movimenti di popolazione dentro la società globale? Cercheremo di rispondere a queste domande indagando la relazione tra globalizzazione e migrazioni internazionali quale forma dei nuovi processi di stratificazione sociale.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.