La ricerca delle origini fu una delle questioni cruciali che nel corso del XVIII secolo caratterizzarono l’invenzione del passato. Ad esempio, l’individuazione di un’origine franca, araba, longobarda o normanno-sveva della feudalità fu parte integrante di diverse ricostruzioni storiche e proposte politiche relative alla storia dei Regni di Napoli e di Sicilia; le discussioni che nel corso degli anni ’80 investirono la natura e le funzioni del feudo, comportarono una scrittura e riscrittura della storia costituzionale in funzione della progettualità politica dei differenti “partiti”, dalla quale emergono la necessità ma anche le difficoltà di una considerazione unitaria della storia di questi due regni. Nella pratica forense, in particolare, vennero concretamente a maturazione le diverse istanze di trasformazione sociale ed istituzionale che implicavano una intera riconfigurazione della storia dei regni di Sicilia e di Napoli (ampiamente su questi aspetti A. M. Rao). Da qui un ricorso sempre più ampio non solo alle memorie e alle cronache, ma anche a fonti archivistiche di diversa provenienza (ecclesiastiche, gentilizie, pubbliche e private); a partire dalla controversia fra cultori del mos gallicus e cultori del mos italicus, furono soprattutto magistrati e giuristi che sentirono l’esigenza di contestualizzare e dare spessore alla storia costituzionale dei loro Paesi. Entro questo quadro si collocò il dibattito storiografico fra coloro che, seppure in forme diverse, erano sostenitori del ‘modello gotico’, come Carlo Pecchia, Carlo Di Napoli, Rosario Gregorio e Giacinto Dragonetti, e i sostenitori del cosiddetto “modello italico”, al quale facevano riferimento riformatori come Giuseppe Maria Galanti, Melchiorre Delfico, Francescantonio Grimaldi e Francesco Mario Pagano, sollecitati dalle suggestioni vichiane e dalle acquisizioni della storiografia scozzese; questi ultimi fondavano le loro ricostruzioni storiche sull’esaltazione del valore della proprietà come strumento fondamentale di civilizzazione e consideravano tutte le forme di semi-proprietà, prima fra tutte la feudalità, come un portato della barbarie che si sarebbe voluta eliminare dalla storia. Il cittadino-proprietario ed il cittadino-soldato erano gli emblemi di quelle antiche virtù repubblicane, soffocate dall’Impero romano e cancellate poi dalla barbarie feudale, alle quali guardavano questi riformatori per porre definitivamente fine all’esperienza dello Stato feudale e rifondare su basi più moderne e civili lo Stato monarchico. Per i sostenitori del ‘modello gotico’ queste proposta politica e storiografica era inaccettabile, poiché l’unica forma di Stato riconosciuta come legittima era quella che si fondava sulla concessione in usufrutto (non in proprietà) dei feudi e sul ruolo dei feudatari come funzionari pubblici; da questo punto di vista, risultava fondamentale il riferimento ad una «ragion feudale» primigenia sulla quale costruire la continuità “immemoriale” di una trama istituzionale che non conosceva profonde cesure, nemmeno con l’avvento della monarchia normanna, considerata da gran parte degli storici napoletani (compresi Carlo Pecchia e Rosario Gregorio) il momento fondante della statualità moderna.
Alonzi Luigi (2022). Modello gotico, modello togato e modello italico nei regni di Napoli e di Sicilia. In M. Formica, A.M. Rao, S. Tatti (a cura di), L'invenzione del passato nel Settecento (pp. 155-174). Roma : Edizioni di Storia e Letteratura.
Modello gotico, modello togato e modello italico nei regni di Napoli e di Sicilia
Alonzi Luigi
2022-01-01
Abstract
La ricerca delle origini fu una delle questioni cruciali che nel corso del XVIII secolo caratterizzarono l’invenzione del passato. Ad esempio, l’individuazione di un’origine franca, araba, longobarda o normanno-sveva della feudalità fu parte integrante di diverse ricostruzioni storiche e proposte politiche relative alla storia dei Regni di Napoli e di Sicilia; le discussioni che nel corso degli anni ’80 investirono la natura e le funzioni del feudo, comportarono una scrittura e riscrittura della storia costituzionale in funzione della progettualità politica dei differenti “partiti”, dalla quale emergono la necessità ma anche le difficoltà di una considerazione unitaria della storia di questi due regni. Nella pratica forense, in particolare, vennero concretamente a maturazione le diverse istanze di trasformazione sociale ed istituzionale che implicavano una intera riconfigurazione della storia dei regni di Sicilia e di Napoli (ampiamente su questi aspetti A. M. Rao). Da qui un ricorso sempre più ampio non solo alle memorie e alle cronache, ma anche a fonti archivistiche di diversa provenienza (ecclesiastiche, gentilizie, pubbliche e private); a partire dalla controversia fra cultori del mos gallicus e cultori del mos italicus, furono soprattutto magistrati e giuristi che sentirono l’esigenza di contestualizzare e dare spessore alla storia costituzionale dei loro Paesi. Entro questo quadro si collocò il dibattito storiografico fra coloro che, seppure in forme diverse, erano sostenitori del ‘modello gotico’, come Carlo Pecchia, Carlo Di Napoli, Rosario Gregorio e Giacinto Dragonetti, e i sostenitori del cosiddetto “modello italico”, al quale facevano riferimento riformatori come Giuseppe Maria Galanti, Melchiorre Delfico, Francescantonio Grimaldi e Francesco Mario Pagano, sollecitati dalle suggestioni vichiane e dalle acquisizioni della storiografia scozzese; questi ultimi fondavano le loro ricostruzioni storiche sull’esaltazione del valore della proprietà come strumento fondamentale di civilizzazione e consideravano tutte le forme di semi-proprietà, prima fra tutte la feudalità, come un portato della barbarie che si sarebbe voluta eliminare dalla storia. Il cittadino-proprietario ed il cittadino-soldato erano gli emblemi di quelle antiche virtù repubblicane, soffocate dall’Impero romano e cancellate poi dalla barbarie feudale, alle quali guardavano questi riformatori per porre definitivamente fine all’esperienza dello Stato feudale e rifondare su basi più moderne e civili lo Stato monarchico. Per i sostenitori del ‘modello gotico’ queste proposta politica e storiografica era inaccettabile, poiché l’unica forma di Stato riconosciuta come legittima era quella che si fondava sulla concessione in usufrutto (non in proprietà) dei feudi e sul ruolo dei feudatari come funzionari pubblici; da questo punto di vista, risultava fondamentale il riferimento ad una «ragion feudale» primigenia sulla quale costruire la continuità “immemoriale” di una trama istituzionale che non conosceva profonde cesure, nemmeno con l’avvento della monarchia normanna, considerata da gran parte degli storici napoletani (compresi Carlo Pecchia e Rosario Gregorio) il momento fondante della statualità moderna.File | Dimensione | Formato | |
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