Con la sentenza in epigrafe, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si pronunciano sulla classica vexata quaestio dei rapporti tra estorsione ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Più precisamente, dopo aver richiamato i due macro-orientamenti giurisprudenziali - l'uno tendente a valorizzare l'elemento materiale della fattispecie (sub specie, di gravità o intensità della violenza o minaccia), l'altro l'elemento psicologico -, e dopo aver rilevato il carattere "più apparente, che reale" del contrasto tra i due, propendono per una tesi mediana facente leva, oltre che sull'elemento soggettivo del reato, anche sul carattere della ragionevole convinzione della fondatezza della pretesa. Secondo i giudici della nomofilachia, infatti, la distinzione tra le due fattispecie risiederebbe nel fatto che in caso di esercizio arbitrario delle proprie ragioni l'agente persegue il conseguimento di un profitto nella ragionevole convinzione, ancorché in concreto infondata, di esercitare un proprio diritto o di soddisfare personalmente una pretesa che potrebbe formare oggetto di azione giudiziaria, laddove invece l'autore del reato di estorsione persegue il conseguimento di un profitto nella piena consapevolezza della sua ingiustizia. Cionondimeno, la speciale veemenza del comportamento violento o minaccioso può fungere da elemento sintomatico del dolo di estorsione. Dopo aver ripercorso l'iter argomentativo della sentenza e ricostruito il dibattito dottrinale e giurisprudenziale in subiecta materia, l'Autrice muove alcune osservazioni critiche, in particolare paventando il rischio che nella prassi giurisprudenziale l'adozione del criterio della intensità della violenza o minaccia quale elemento sintomatico del dolo di estorsione possa condurre ad uno svuotamento di fatto proprio di quel profilo psicologico che la sentenza in esame intende valorizzare. Criticità sono, infine, evidenziate con riferimento a quella parte della sentenza in cui i giudici di legittimità, pronunciandosi sulla seconda questione sollevata nell'ordinanza di rimessione, affermano che "Il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni ha natura di reato proprio non esclusivo, sicché il concorso del terzo è configurabile nei soli casi in cui questi si limiti ad offrire un contributo alla pretesa del creditore, senza perseguire alcuna e diversa ulteriore finalità".
Romano Veronica (2021). Nota a Cass., sez. un., 16 luglio-23 ottobre 2020, n. 29541, Filardo, in tema di estorsione ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni.
Nota a Cass., sez. un., 16 luglio-23 ottobre 2020, n. 29541, Filardo, in tema di estorsione ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni
Romano Veronica
2021-01-01
Abstract
Con la sentenza in epigrafe, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si pronunciano sulla classica vexata quaestio dei rapporti tra estorsione ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Più precisamente, dopo aver richiamato i due macro-orientamenti giurisprudenziali - l'uno tendente a valorizzare l'elemento materiale della fattispecie (sub specie, di gravità o intensità della violenza o minaccia), l'altro l'elemento psicologico -, e dopo aver rilevato il carattere "più apparente, che reale" del contrasto tra i due, propendono per una tesi mediana facente leva, oltre che sull'elemento soggettivo del reato, anche sul carattere della ragionevole convinzione della fondatezza della pretesa. Secondo i giudici della nomofilachia, infatti, la distinzione tra le due fattispecie risiederebbe nel fatto che in caso di esercizio arbitrario delle proprie ragioni l'agente persegue il conseguimento di un profitto nella ragionevole convinzione, ancorché in concreto infondata, di esercitare un proprio diritto o di soddisfare personalmente una pretesa che potrebbe formare oggetto di azione giudiziaria, laddove invece l'autore del reato di estorsione persegue il conseguimento di un profitto nella piena consapevolezza della sua ingiustizia. Cionondimeno, la speciale veemenza del comportamento violento o minaccioso può fungere da elemento sintomatico del dolo di estorsione. Dopo aver ripercorso l'iter argomentativo della sentenza e ricostruito il dibattito dottrinale e giurisprudenziale in subiecta materia, l'Autrice muove alcune osservazioni critiche, in particolare paventando il rischio che nella prassi giurisprudenziale l'adozione del criterio della intensità della violenza o minaccia quale elemento sintomatico del dolo di estorsione possa condurre ad uno svuotamento di fatto proprio di quel profilo psicologico che la sentenza in esame intende valorizzare. Criticità sono, infine, evidenziate con riferimento a quella parte della sentenza in cui i giudici di legittimità, pronunciandosi sulla seconda questione sollevata nell'ordinanza di rimessione, affermano che "Il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni ha natura di reato proprio non esclusivo, sicché il concorso del terzo è configurabile nei soli casi in cui questi si limiti ad offrire un contributo alla pretesa del creditore, senza perseguire alcuna e diversa ulteriore finalità".File | Dimensione | Formato | |
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