Archè, architettura e archeologia erano in passato discipline talmente affini che era impossibile stabilire fra loro una soglia netta di separazione. Nelle diverse etimologie delle parole, risuona “arch” come traccia di una comune radice che rimanda ai riti, ai ritmi, alle euritmie, alle dissonanze, alle corrispondenze, alle proporzioni che la città - antica e recente - imprime nell’immaginario collettivo dei suoi abitanti. Il sovrascrivere la storia con edifici di nuova costruzione era pratica comune fino a circa due secoli fa quando all’uso, e quindi alla sua conversione, era legata la stessa sopravvivenza delle fabbriche. I processi si sedimentavano in quelle che progressivamente sono iniziate a intendersi più come testimonianze del passato che come condizioni del presente. Interpretare parti urbane come oggetti da museo, similmente a vasi o suppellettili, ha finito per costituire un problema. Infatti, il nobile intento di conservare ai posteri le rovine è stato contraddetto dalla loro condanna dentro recinti specializzati. L’architettura contemporanea può colmare la distanza fra l’archeologia, il contesto e gli abitanti narrando le storie ed esplicitando le condizioni spaziali capaci, in tanti casi, non solo di riscattare lo stato delle rovine ma anche di dare senso a brani di città recente poco distanti. Il numero 37 di «Infolio» è dedicato a questa sfida.
Macaluso, L. (2021). Editoriale. Agrigento. Architettura e archeologia. IN FOLIO, 37(37), 5-5.
Editoriale. Agrigento. Architettura e archeologia
Macaluso, L
2021-01-01
Abstract
Archè, architettura e archeologia erano in passato discipline talmente affini che era impossibile stabilire fra loro una soglia netta di separazione. Nelle diverse etimologie delle parole, risuona “arch” come traccia di una comune radice che rimanda ai riti, ai ritmi, alle euritmie, alle dissonanze, alle corrispondenze, alle proporzioni che la città - antica e recente - imprime nell’immaginario collettivo dei suoi abitanti. Il sovrascrivere la storia con edifici di nuova costruzione era pratica comune fino a circa due secoli fa quando all’uso, e quindi alla sua conversione, era legata la stessa sopravvivenza delle fabbriche. I processi si sedimentavano in quelle che progressivamente sono iniziate a intendersi più come testimonianze del passato che come condizioni del presente. Interpretare parti urbane come oggetti da museo, similmente a vasi o suppellettili, ha finito per costituire un problema. Infatti, il nobile intento di conservare ai posteri le rovine è stato contraddetto dalla loro condanna dentro recinti specializzati. L’architettura contemporanea può colmare la distanza fra l’archeologia, il contesto e gli abitanti narrando le storie ed esplicitando le condizioni spaziali capaci, in tanti casi, non solo di riscattare lo stato delle rovine ma anche di dare senso a brani di città recente poco distanti. Il numero 37 di «Infolio» è dedicato a questa sfida.File | Dimensione | Formato | |
---|---|---|---|
MACALUSO_L-37_infolio_EDITORIALE.pdf
accesso aperto
Descrizione: Contributo integrale
Tipologia:
Versione Editoriale
Dimensione
1.94 MB
Formato
Adobe PDF
|
1.94 MB | Adobe PDF | Visualizza/Apri |
I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.