Introduzione Il 25 luglio 2006 la corte Federale della F.I.G.C. ha emesso la sentenza di condanna per Fiorentina, Lazio, Milan e Juventus per illecito sportivo commesso con riferimento a 39 partite della stagione sportiva 2005/2006. La società torinese è stata condannata alla revoca dello scudetto della stagione precedente con contestuale annullamento del titolo conquistato in quella oggetto d’indagine e alla retrocessione in serie B (con penalizzazione di 17 punti, ridotti poi a 9 alla fine del procedimento presso la camera di Conciliazione ed Arbitrato del C.O.N.I.). Diversi commentatori si espressero sulla sostanziale mitezza della condanna finale viste le condotte accertate e, secondo molti, si sarebbe anche potuti pervenire alla radiazione della società bianconera. Furono diversi gli appassionati e gli addetti ai lavori che videro in tale condanna una sorta di omaggio all’importanza della società bianconera. Si tratta, come noto, della squadra con più tifosi, diffusi in tutta Italia, quotata in borsa e parte di uno dei più grandi gruppi industriali italiani. La sua scomparsa, anche temporanea, avrebbe causato gravi danni all’intero movimento calcistico: la salvaguardia dell’interesse economico del settore del calcio professionistico sarebbe dunque stata la motivazione della supposta clemenza dei giudici. Per l’ennesima volta ci si trova così di fronte al dilemma tra la salvaguardia dei valori dello sport e l’importanza dello stesso come business. Al fine di un più approfondito dibattito su tali temi si presenta un’analisi empirica dell’effettivo impatto della retrocessione della Juve sul numero di spettatori complessivo. Metodo di ricerca Attraverso la stima di un modello econometrico di domanda ad effetti fissi su dati longitudinali, costituiti da tutte le squadre di serie A e serie B per le stagioni 2004/2005, 2005/06 e 2006/07, si è valutato l’impatto della retrocessione della Juventus. La variabile dipendente è il numero degli spettatori allo stadio. Fra le variabili esplicative assume particolare rilevanza la variabile dicotomica che indica se la Juventus è in serie A o in B. L’impatto e la significatività di tale variabile sul logaritmo degli spettatori allo stadio nelle varie stagioni è l’oggetto principale dello studio. Essa assume valore 1 nella stagione 2006/2007 in cui la Juventus è in serie B e 0 nelle altre due stagioni, secondo lo schema tipico dell’esperimento naturale. Gli altri regressori controllano: (1) l’effetto delle variabili sportive e societarie: la percentuale di vittorie in casa (winperch), il numero di goal segnati in casa (goalsscoredh), i punti fuori casa (away), una dummy relativa alla serie in cui si gioca (dumseriea), una variabile che misura gli incidenti allo stadio (riot), il bacino d’utenza (pop), la capacità complessiva dello stadio (cap); (2) l’incidenza della situazione socio-economica: il valore aggiunto per abitante (addedval). Al fine di evitare stime distorte causate da possibile endogeneità delle variabili è stato utilizzato uno stimatore a due stadi con l’inclusione di variabili strumentali relative a fattori sportivi. Il modello utilizzato è riportato di seguito: it it it it it i it it it it it it away cap juvb att u winperch riot addedval goalsscoredh dumseriea pop β β β ε β β β β β β + + + + = + + + + + + + 7 8 9 1 2 3 4 5 6 log log Risultati attesi Come ipotizzato, la retrocessione della Juventus ha determinato una variazione percentuale negativa nel numero di spettatori allo stadio per serie A e serie B. Questo significa che la perdita di spettatori nelle partite di serie A non è stata compensata dal probabile aumento di quelli delle partite di serie B in cui la Juventus è stata impegnata. I risultati sembrano quindi dare forza all’ipotesi che una eventuale radiazione avrebbe avuto un effetto catastrofico sull’intero movimento. La salvaguardia degli interessi economici del movimento sembra quindi ancora una volta contrastare con i valori dello sport che avrebbero sicuramente imposto una ancora maggiore severità rispetto ad una vicenda che, ancora oggi, ha strascichi giudiziari pendenti addirittura in sede penale. Il processo di commercializzazione dello sport, culminato con la quotazione di alcune squadre e con l’aumento esponenziale delle somme pagate per la cessione dei diritti televisivi, è ormai diventato il principale capro espiatorio dei mali che affliggono il calcio: dalla violenza negli stadi all’impoverimento dei settori giovanili, dall’eccessivo indebitamento delle squadre agli episodi che denunciano la mancanza di principi di lealtà sportiva. Il progressivo aumento del fatturato del movimento e degli ingaggi dei calciatori vengono sempre additati come i principali fattori di degrado del valore sportivo del calcio e sempre più spesso hanno provocato recenti interventi legislativi poco rispettosi del principio di autonomia dello sport dalla politica. I risultati presentati nello studio forniscono elementi di maggiore concretezza per la discussione su tali temi lasciando comunque aperto il dibattito sul dilemma tra sport e business, destinato a perdurare per molti anni. Appare quindi opportuno sottolineare come valori fondamentali dello sport quali la lealtà sportiva non possano essere sacrificati in nome di interessi economici di brevissimo periodo. La teoria economica insegna che la creazione di valore nelle imprese è necessariamente da ricercare in strategie di lungo periodo che mantengano e rafforzino l’immagine di una impresa o di un business. Da questo punto di vista si può quindi affermare, senza timore di smentite, che punire con severità chi viola i principi di lealtà sportiva è una politica che, al di là dei possibili disagi di breve periodo, deve essere perseguita con convinzione anche da chi si professa convinto sostenitore del processo di commercializzazione dello sport.
Amenta, C. (2010). Fra giustizia sportiva e interesse economico: l’impatto della retrocessione della Juventus sulla domanda di calcio in Italia. SDS. SCUOLA DELLO SPORT, 85.
Fra giustizia sportiva e interesse economico: l’impatto della retrocessione della Juventus sulla domanda di calcio in Italia
AMENTA, Carlo
2010-01-01
Abstract
Introduzione Il 25 luglio 2006 la corte Federale della F.I.G.C. ha emesso la sentenza di condanna per Fiorentina, Lazio, Milan e Juventus per illecito sportivo commesso con riferimento a 39 partite della stagione sportiva 2005/2006. La società torinese è stata condannata alla revoca dello scudetto della stagione precedente con contestuale annullamento del titolo conquistato in quella oggetto d’indagine e alla retrocessione in serie B (con penalizzazione di 17 punti, ridotti poi a 9 alla fine del procedimento presso la camera di Conciliazione ed Arbitrato del C.O.N.I.). Diversi commentatori si espressero sulla sostanziale mitezza della condanna finale viste le condotte accertate e, secondo molti, si sarebbe anche potuti pervenire alla radiazione della società bianconera. Furono diversi gli appassionati e gli addetti ai lavori che videro in tale condanna una sorta di omaggio all’importanza della società bianconera. Si tratta, come noto, della squadra con più tifosi, diffusi in tutta Italia, quotata in borsa e parte di uno dei più grandi gruppi industriali italiani. La sua scomparsa, anche temporanea, avrebbe causato gravi danni all’intero movimento calcistico: la salvaguardia dell’interesse economico del settore del calcio professionistico sarebbe dunque stata la motivazione della supposta clemenza dei giudici. Per l’ennesima volta ci si trova così di fronte al dilemma tra la salvaguardia dei valori dello sport e l’importanza dello stesso come business. Al fine di un più approfondito dibattito su tali temi si presenta un’analisi empirica dell’effettivo impatto della retrocessione della Juve sul numero di spettatori complessivo. Metodo di ricerca Attraverso la stima di un modello econometrico di domanda ad effetti fissi su dati longitudinali, costituiti da tutte le squadre di serie A e serie B per le stagioni 2004/2005, 2005/06 e 2006/07, si è valutato l’impatto della retrocessione della Juventus. La variabile dipendente è il numero degli spettatori allo stadio. Fra le variabili esplicative assume particolare rilevanza la variabile dicotomica che indica se la Juventus è in serie A o in B. L’impatto e la significatività di tale variabile sul logaritmo degli spettatori allo stadio nelle varie stagioni è l’oggetto principale dello studio. Essa assume valore 1 nella stagione 2006/2007 in cui la Juventus è in serie B e 0 nelle altre due stagioni, secondo lo schema tipico dell’esperimento naturale. Gli altri regressori controllano: (1) l’effetto delle variabili sportive e societarie: la percentuale di vittorie in casa (winperch), il numero di goal segnati in casa (goalsscoredh), i punti fuori casa (away), una dummy relativa alla serie in cui si gioca (dumseriea), una variabile che misura gli incidenti allo stadio (riot), il bacino d’utenza (pop), la capacità complessiva dello stadio (cap); (2) l’incidenza della situazione socio-economica: il valore aggiunto per abitante (addedval). Al fine di evitare stime distorte causate da possibile endogeneità delle variabili è stato utilizzato uno stimatore a due stadi con l’inclusione di variabili strumentali relative a fattori sportivi. Il modello utilizzato è riportato di seguito: it it it it it i it it it it it it away cap juvb att u winperch riot addedval goalsscoredh dumseriea pop β β β ε β β β β β β + + + + = + + + + + + + 7 8 9 1 2 3 4 5 6 log log Risultati attesi Come ipotizzato, la retrocessione della Juventus ha determinato una variazione percentuale negativa nel numero di spettatori allo stadio per serie A e serie B. Questo significa che la perdita di spettatori nelle partite di serie A non è stata compensata dal probabile aumento di quelli delle partite di serie B in cui la Juventus è stata impegnata. I risultati sembrano quindi dare forza all’ipotesi che una eventuale radiazione avrebbe avuto un effetto catastrofico sull’intero movimento. La salvaguardia degli interessi economici del movimento sembra quindi ancora una volta contrastare con i valori dello sport che avrebbero sicuramente imposto una ancora maggiore severità rispetto ad una vicenda che, ancora oggi, ha strascichi giudiziari pendenti addirittura in sede penale. Il processo di commercializzazione dello sport, culminato con la quotazione di alcune squadre e con l’aumento esponenziale delle somme pagate per la cessione dei diritti televisivi, è ormai diventato il principale capro espiatorio dei mali che affliggono il calcio: dalla violenza negli stadi all’impoverimento dei settori giovanili, dall’eccessivo indebitamento delle squadre agli episodi che denunciano la mancanza di principi di lealtà sportiva. Il progressivo aumento del fatturato del movimento e degli ingaggi dei calciatori vengono sempre additati come i principali fattori di degrado del valore sportivo del calcio e sempre più spesso hanno provocato recenti interventi legislativi poco rispettosi del principio di autonomia dello sport dalla politica. I risultati presentati nello studio forniscono elementi di maggiore concretezza per la discussione su tali temi lasciando comunque aperto il dibattito sul dilemma tra sport e business, destinato a perdurare per molti anni. Appare quindi opportuno sottolineare come valori fondamentali dello sport quali la lealtà sportiva non possano essere sacrificati in nome di interessi economici di brevissimo periodo. La teoria economica insegna che la creazione di valore nelle imprese è necessariamente da ricercare in strategie di lungo periodo che mantengano e rafforzino l’immagine di una impresa o di un business. Da questo punto di vista si può quindi affermare, senza timore di smentite, che punire con severità chi viola i principi di lealtà sportiva è una politica che, al di là dei possibili disagi di breve periodo, deve essere perseguita con convinzione anche da chi si professa convinto sostenitore del processo di commercializzazione dello sport.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.