La sentenza in epigrafe si segnala all’attenzione perché riconosce la configurabilità del reato di violenza sessuale nella condotta di colui che, nell’ambito di una conversazione via whatsapp, dopo avere inviato una foto erotica, riceva dall’altro, dietro minaccia di pubblicare su canali social la chat sessualmente esplicita, una foto con esposizione di una zona erogena (nella specie, il seno nudo). Secondo i giudici, lo scambio di foto e la chat, operati attraverso la nota applicazione informatica di messaggistica e nella specie intercorsi fra un soggetto adulto e una ragazza minorenne, costituiscono «atto sessuale»; in ragione dell’anzidetta minaccia, la condotta costrittiva a compiere l’atto è dunque penalmente rilevante ai sensi degli art. 609 bis e 609 ter c.p. Una tesi intermedia potrebbe invece essere quella di richiedere comunque, anche nell’ambito delle molteplici e sempre nuove modalità di interazione virtuale fra due o più soggetti, una qualche forma di contatto corpore corporis, benché “filtrato” – e cioè riadattato – attraverso le lenti prospettiche della comunicazione a distanza. Riteniamo quest’ultima impostazione preferibile. Una fattispecie di elevata gravità, qual è il delitto di violenza sessuale, non può entrare in gioco per il solo fatto che un sentimento libidinoso sia in qualche modo comunicato all’altro soggetto e che quest’ultimo, pur se dietro indebita pressione o minaccia, si limiti a inviare una propria foto rappresentativa di una zona erogena. Così ragionando, si finirebbe per addivenire a una evaporazione estrema di ciò che intendiamo con il termine sesso: idealizzando il contenuto del comportamento sessualmente rilevante, quest’ultimo arriverebbe a fagocitare ogni tipo di atto libidinoso o persino voyeuristico. L’interazione sessuale, per esistere e per essere definita tale, richiede qualcosa di più di questo.
Parisi f (2021). Violenza sessuale via WhatsApp? L’estensione della nozione di atto sessuale in una sentenza della Cassazione. IL FORO ITALIANO, 146(4), 268-272.
Violenza sessuale via WhatsApp? L’estensione della nozione di atto sessuale in una sentenza della Cassazione
Parisi f
2021-01-01
Abstract
La sentenza in epigrafe si segnala all’attenzione perché riconosce la configurabilità del reato di violenza sessuale nella condotta di colui che, nell’ambito di una conversazione via whatsapp, dopo avere inviato una foto erotica, riceva dall’altro, dietro minaccia di pubblicare su canali social la chat sessualmente esplicita, una foto con esposizione di una zona erogena (nella specie, il seno nudo). Secondo i giudici, lo scambio di foto e la chat, operati attraverso la nota applicazione informatica di messaggistica e nella specie intercorsi fra un soggetto adulto e una ragazza minorenne, costituiscono «atto sessuale»; in ragione dell’anzidetta minaccia, la condotta costrittiva a compiere l’atto è dunque penalmente rilevante ai sensi degli art. 609 bis e 609 ter c.p. Una tesi intermedia potrebbe invece essere quella di richiedere comunque, anche nell’ambito delle molteplici e sempre nuove modalità di interazione virtuale fra due o più soggetti, una qualche forma di contatto corpore corporis, benché “filtrato” – e cioè riadattato – attraverso le lenti prospettiche della comunicazione a distanza. Riteniamo quest’ultima impostazione preferibile. Una fattispecie di elevata gravità, qual è il delitto di violenza sessuale, non può entrare in gioco per il solo fatto che un sentimento libidinoso sia in qualche modo comunicato all’altro soggetto e che quest’ultimo, pur se dietro indebita pressione o minaccia, si limiti a inviare una propria foto rappresentativa di una zona erogena. Così ragionando, si finirebbe per addivenire a una evaporazione estrema di ciò che intendiamo con il termine sesso: idealizzando il contenuto del comportamento sessualmente rilevante, quest’ultimo arriverebbe a fagocitare ogni tipo di atto libidinoso o persino voyeuristico. L’interazione sessuale, per esistere e per essere definita tale, richiede qualcosa di più di questo.File | Dimensione | Formato | |
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