Il percorso illustrato nelle pagine che seguono ha origine all’intersezione del pensiero filosofico di G. E. M. Anscombe (1919-2001) con alcuni dei recenti studi angloamericani in materia di practical reasoning. L’opera di Anscombe, per più di un aspetto originale e stimolante, possiede una peculiare fecondità concettuale relativamente alla vexata quaestio dello statuto logico, gnoseologico ed etico dell’azione, con particolare riferimento ai caratteri dell’agire intenzionale . Di seguito, i contributi di Philippa Foot e di Martha Nussbaum alla definizione di una action’s theory contemporanea, hanno sviluppato e arricchito i concetti stessi di ‘azione’ e di ‘razionalità pratica’, mettendone in evidenza gli aspetti più problematici, focalizzabili nel modo seguente: 1. il rapporto fra l’azione e gli elementi che ne determinerebbero la ‘tendenza’ (sentimenti, passioni, desideri, attitudini, intenzioni); 2. il rapporto fra la razionalità pratica e gli atti morali; 3. il rapporto fra il linguaggio morale e l’azione, poiché un giudizio morale anzitutto dice qualcosa sull’azione di ciascun individuo cui si applica, parlando di ciò che ha una ragione (di un certo tipo, ‘morale’) per essere fatto. Negli scritti di Foot e Nussbaum, rappresentanti – in maniera diversa- di un naturalismo aristotelico che li oppone a buona parte delle tesi etiche non-cognitiviste , i punti appena citati si configurano come domande di cruciale importanza: posto infatti che una teoria dell’azione non è per ciò stesso una teoria dell’agire virtuoso, il ruolo (cognitivo, oltre che conativo) attribuito ad aspetti della razionalità pratica -emozioni, intenzioni, attitudini dell’agente- può non avere conseguenze decisive sulla nozione stessa di ‘atto morale’ ?
CLEMENTE, M. (2008). LINGUAGGIO, INTENZIONI E RAZIONALITA’ PRATICA: UN’IPOTESI INTERPRETATIVA DELLE BASI DEL GIUDIZIO MORALE.. In F. Cimatti (a cura di), Linguaggio ed emozioni. Roma : Aracne.
LINGUAGGIO, INTENZIONI E RAZIONALITA’ PRATICA: UN’IPOTESI INTERPRETATIVA DELLE BASI DEL GIUDIZIO MORALE.
CLEMENTE, Marta
2008-01-01
Abstract
Il percorso illustrato nelle pagine che seguono ha origine all’intersezione del pensiero filosofico di G. E. M. Anscombe (1919-2001) con alcuni dei recenti studi angloamericani in materia di practical reasoning. L’opera di Anscombe, per più di un aspetto originale e stimolante, possiede una peculiare fecondità concettuale relativamente alla vexata quaestio dello statuto logico, gnoseologico ed etico dell’azione, con particolare riferimento ai caratteri dell’agire intenzionale . Di seguito, i contributi di Philippa Foot e di Martha Nussbaum alla definizione di una action’s theory contemporanea, hanno sviluppato e arricchito i concetti stessi di ‘azione’ e di ‘razionalità pratica’, mettendone in evidenza gli aspetti più problematici, focalizzabili nel modo seguente: 1. il rapporto fra l’azione e gli elementi che ne determinerebbero la ‘tendenza’ (sentimenti, passioni, desideri, attitudini, intenzioni); 2. il rapporto fra la razionalità pratica e gli atti morali; 3. il rapporto fra il linguaggio morale e l’azione, poiché un giudizio morale anzitutto dice qualcosa sull’azione di ciascun individuo cui si applica, parlando di ciò che ha una ragione (di un certo tipo, ‘morale’) per essere fatto. Negli scritti di Foot e Nussbaum, rappresentanti – in maniera diversa- di un naturalismo aristotelico che li oppone a buona parte delle tesi etiche non-cognitiviste , i punti appena citati si configurano come domande di cruciale importanza: posto infatti che una teoria dell’azione non è per ciò stesso una teoria dell’agire virtuoso, il ruolo (cognitivo, oltre che conativo) attribuito ad aspetti della razionalità pratica -emozioni, intenzioni, attitudini dell’agente- può non avere conseguenze decisive sulla nozione stessa di ‘atto morale’ ?File | Dimensione | Formato | |
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