Il contributo concerne la coroplastica votiva dagli scavi del santuario rurale di Fontana Calda presso Butera (editi da D. Adamesteanu nei “Monumenti Antichi dell’Accademia dei Lincei” 1958), trattata come caso esemplificativo per la sperimentazione sul materiale siceliota di un approccio “sistematico” alle figurine fittili, vagliandole all’interno del loro triplice sistema di riferimento: il sistema produttivo e creativo a monte; il sistema delle dediche votive del contesto specifico e, più in generale, dei contesti analoghi; e ancor oltre, il sistema religioso e culturale che vi sovrintende. Un tale metodo di studio, per manufatti prodotti in serie senza pretese di originalità, ma per rispondere ad esigenze rituali diffuse, e quindi suscettibili di adattarsi a diverse istanze particolari, sembra il più appropriato per recuperare il potenziale informativo insito nella terracotta figurata: non pezzo singolo, quanto elemento di una serie (in relazione al procedimento artigianale che l’ha realizzata) e membro significativo di un contesto (in relazione all’uso che ne viene fatto e alla valenza che esso vi assume) le cui peculiarità e relazioni illuminano (e vengono a loro volta illuminate) sui possibili intendimenti dell’offerente e sul significato che l’offerta riveste nel processo di comunicazione con la divinità, e rispetto alla comunità coinvolta nell’attività religiosa. I reperti di Fontana Calda sollevano problemi più generali – cronologici, tipologici e iconografici, di ermeneutica – della coroplastica siceliota del V-III secolo, consentendo di sostanziare un’interpretazione più “aperta” di gran parte degli schemi figurativi ivi ricorrenti, sottraendoli all’omologante lettura come testimonianze di cultualità demetriaca (sinora preminente) e valorizzandone la polisemia coniugata alla capacità di acquisire accezioni specifiche nel sistema di pertinenza (nella fattispecie, in relazione alla sfera di Artemide e delle Ninfe, stando ai reperti “connotati” e all’ambientazione e composizione del deposito). L’aspetto unificante dell’imagerie del santuario risiede nella connessione con la vita femminile ed in particolare con la fase puberale e della maturazione sessuale, peraltro tradizionalmente compresa tra le sfere di competenza della divinità riconosciuta preminente, Artemide, con le Ninfe associate. L’analisi stilistico- tipologica evidenzia una forte presenza di tipi dei primi decenni del IV secolo, spingendo a rivedere la communis opinio di uno iato tra una fase protoarcaico- altoclassica e una timoleonteo- agatoclea, per postulare invece una continuità dalla seconda metà-tardo V secolo al III iniziale, di contro alla pressoché totale evanescenza delle testimonianze arcaiche. Ciò ha ricadute non solo sulla questione della cd. rinascita timoleontea della Sicilia (posta in discussione anche da altre evidenze isolane), ma impone una rivalutazione del significato del complesso sacro nel contesto territoriale di riferimento. La relazione con Gela, data per scontata a causa della vicinanza geografica, lascia in realtà ampi margini di autonomia, con affinità piuttosto con l’ambiente siracusano. Dal punto di vista religioso, l’individuazione del pregnante ruolo di Artemide e delle Ninfe nelle pratiche – purificatorie, propiziatorie e profilattiche – ricostruibili attraverso l’analisi complessiva del contesto, dei materiali e dell’habitat, nonché dell’iconografia dei votivi, evidenzia un orizzonte sinora trascurato negli studi sulla cultura siceliota eppure di notevole interesse, specie nel caso di Siracusa dove soccorre un’imponente documentazione letteraria e materiale. L’esame della ratio delle associazioni, infine, aiuta a riflettere sullo spettro di significati e sulle interferenze che si determinano tra le sfere di competenza di divinità diverse (che possono ricevere le medesime offerte in contesti diversi, o essere compresenti nel medesimo contesto in una specifica combinazione), e d’altro lato sull’articolazione delle diverse sfere di competenza di una stessa divinità. Questo spettro, variegato e flessibile in relazione agli attori, esigenze, momenti dell’atto religioso, trova uno strumento adeguato nella coroplastica, che, proprio per la capacità di dare voce all’offerente e alle istanze sue e del corpo sociale di cui egli fa parte, si rivela testimonianza istruttiva del fatto culturale e religioso.

PORTALE, E.C. (2009). Coroplastica votiva nella Sicilia di V-III secolo a.C.: la stipe di Fontana Calda a Butera. SICILIA ANTIQVA, V (2008), 9-58.

Coroplastica votiva nella Sicilia di V-III secolo a.C.: la stipe di Fontana Calda a Butera

PORTALE, Elisa Chiara
2009-01-01

Abstract

Il contributo concerne la coroplastica votiva dagli scavi del santuario rurale di Fontana Calda presso Butera (editi da D. Adamesteanu nei “Monumenti Antichi dell’Accademia dei Lincei” 1958), trattata come caso esemplificativo per la sperimentazione sul materiale siceliota di un approccio “sistematico” alle figurine fittili, vagliandole all’interno del loro triplice sistema di riferimento: il sistema produttivo e creativo a monte; il sistema delle dediche votive del contesto specifico e, più in generale, dei contesti analoghi; e ancor oltre, il sistema religioso e culturale che vi sovrintende. Un tale metodo di studio, per manufatti prodotti in serie senza pretese di originalità, ma per rispondere ad esigenze rituali diffuse, e quindi suscettibili di adattarsi a diverse istanze particolari, sembra il più appropriato per recuperare il potenziale informativo insito nella terracotta figurata: non pezzo singolo, quanto elemento di una serie (in relazione al procedimento artigianale che l’ha realizzata) e membro significativo di un contesto (in relazione all’uso che ne viene fatto e alla valenza che esso vi assume) le cui peculiarità e relazioni illuminano (e vengono a loro volta illuminate) sui possibili intendimenti dell’offerente e sul significato che l’offerta riveste nel processo di comunicazione con la divinità, e rispetto alla comunità coinvolta nell’attività religiosa. I reperti di Fontana Calda sollevano problemi più generali – cronologici, tipologici e iconografici, di ermeneutica – della coroplastica siceliota del V-III secolo, consentendo di sostanziare un’interpretazione più “aperta” di gran parte degli schemi figurativi ivi ricorrenti, sottraendoli all’omologante lettura come testimonianze di cultualità demetriaca (sinora preminente) e valorizzandone la polisemia coniugata alla capacità di acquisire accezioni specifiche nel sistema di pertinenza (nella fattispecie, in relazione alla sfera di Artemide e delle Ninfe, stando ai reperti “connotati” e all’ambientazione e composizione del deposito). L’aspetto unificante dell’imagerie del santuario risiede nella connessione con la vita femminile ed in particolare con la fase puberale e della maturazione sessuale, peraltro tradizionalmente compresa tra le sfere di competenza della divinità riconosciuta preminente, Artemide, con le Ninfe associate. L’analisi stilistico- tipologica evidenzia una forte presenza di tipi dei primi decenni del IV secolo, spingendo a rivedere la communis opinio di uno iato tra una fase protoarcaico- altoclassica e una timoleonteo- agatoclea, per postulare invece una continuità dalla seconda metà-tardo V secolo al III iniziale, di contro alla pressoché totale evanescenza delle testimonianze arcaiche. Ciò ha ricadute non solo sulla questione della cd. rinascita timoleontea della Sicilia (posta in discussione anche da altre evidenze isolane), ma impone una rivalutazione del significato del complesso sacro nel contesto territoriale di riferimento. La relazione con Gela, data per scontata a causa della vicinanza geografica, lascia in realtà ampi margini di autonomia, con affinità piuttosto con l’ambiente siracusano. Dal punto di vista religioso, l’individuazione del pregnante ruolo di Artemide e delle Ninfe nelle pratiche – purificatorie, propiziatorie e profilattiche – ricostruibili attraverso l’analisi complessiva del contesto, dei materiali e dell’habitat, nonché dell’iconografia dei votivi, evidenzia un orizzonte sinora trascurato negli studi sulla cultura siceliota eppure di notevole interesse, specie nel caso di Siracusa dove soccorre un’imponente documentazione letteraria e materiale. L’esame della ratio delle associazioni, infine, aiuta a riflettere sullo spettro di significati e sulle interferenze che si determinano tra le sfere di competenza di divinità diverse (che possono ricevere le medesime offerte in contesti diversi, o essere compresenti nel medesimo contesto in una specifica combinazione), e d’altro lato sull’articolazione delle diverse sfere di competenza di una stessa divinità. Questo spettro, variegato e flessibile in relazione agli attori, esigenze, momenti dell’atto religioso, trova uno strumento adeguato nella coroplastica, che, proprio per la capacità di dare voce all’offerente e alle istanze sue e del corpo sociale di cui egli fa parte, si rivela testimonianza istruttiva del fatto culturale e religioso.
2009
Settore L-ANT/07 - Archeologia Classica
PORTALE, E.C. (2009). Coroplastica votiva nella Sicilia di V-III secolo a.C.: la stipe di Fontana Calda a Butera. SICILIA ANTIQVA, V (2008), 9-58.
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