L’ingresso nel più ampio sistema delle reti criminali – per le organizzazioni che sono riuscite a realizzarlo – non ne ha lasciato inalterato l’assetto organizzativo e ha contribuito a diversificare le loro attività, incidendo anche sulla loro immagine pubblica. Aumentano, infatti, le occasioni, le forme e le modalità di reciproca integrazione con la società civile, anche solo in termini di offerta di lavoro e di consumi. Insieme a nuove opportunità di occupazione per criminali professionisti, esse offrono prodotti e servizi ai cittadini. Del resto, l’integrazione con il sistema legale è molto più semplice, laddove si disponga di alleanze solide con il sistema politico ed economico. Nel tempo, le differenti componenti del sistema reticolare convergono sia nelle attività, sia negli strumenti utilizzati, rendendo sempre più difficile la loro separazione e spostando l’utilizzo di mezzi illeciti nel mercato delle transazioni lecite, esternalizzando e dando in appalto l’uso della forza e della violenza: non più esplicita, diretta e visibile, ma sempre più invisibile e indiretta, dal momento che tende ad agire a monte, sul processo di normazione. Oltre alla difficoltà di separare i mercati leciti da quelli illeciti, il nuovo assetto reticolare produce un’altra pericolosa conseguenza: trasferisce sulle attività delle organizzazioni criminali tradizionali quella stessa impunità di cui hanno sempre, storicamente potuto beneficiare i cosiddetti ‘colletti bianchi’, sia per quel che riguarda gli assetti dell’amministrazione della giustizia, sia per quanto attiene al giudizio formulato dalla pubblica opinione. Economia legale ed economia criminale rischiano sempre più spesso di trovare forme e luoghi di pacifica convivenza, magari agevolate dall’esistenza di “camere di compensazione” istituzionali o paraistituzionali, interessate all’accumulazione o alla speculazione finanziaria. E proprio per il radicamento secolare delle cosiddette mafie tradizionali sul territorio del nostro Paese, molte trasformazioni sono ancora in divenire, e dunque formulare previsioni definite sullo sviluppo di questa “convivenza” può risultare incauto. Mantenendo viva l’attenzione sulle specificità, possiamo però certamente utilizzare la traccia indicata per osservare e interpretare quanto ci accade intorno; per tentare di capire quanto il cosiddetto “metodo mafioso” sia stato assimilato, nel nostro Paese, dalla criminalità dei potenti e quali effetti abbia prodotto sia sulla libertà dei mercati che sul sistema istituzionale democratico.
DINO, A. (2009). Il crimine dei potenti e il rischio democratico. In Dino A. (a cura di), Criminalità dei potenti e metodo mafioso (pp. 17-38). Milano : Mimesis.
Il crimine dei potenti e il rischio democratico
DINO, Alessandra
2009-01-01
Abstract
L’ingresso nel più ampio sistema delle reti criminali – per le organizzazioni che sono riuscite a realizzarlo – non ne ha lasciato inalterato l’assetto organizzativo e ha contribuito a diversificare le loro attività, incidendo anche sulla loro immagine pubblica. Aumentano, infatti, le occasioni, le forme e le modalità di reciproca integrazione con la società civile, anche solo in termini di offerta di lavoro e di consumi. Insieme a nuove opportunità di occupazione per criminali professionisti, esse offrono prodotti e servizi ai cittadini. Del resto, l’integrazione con il sistema legale è molto più semplice, laddove si disponga di alleanze solide con il sistema politico ed economico. Nel tempo, le differenti componenti del sistema reticolare convergono sia nelle attività, sia negli strumenti utilizzati, rendendo sempre più difficile la loro separazione e spostando l’utilizzo di mezzi illeciti nel mercato delle transazioni lecite, esternalizzando e dando in appalto l’uso della forza e della violenza: non più esplicita, diretta e visibile, ma sempre più invisibile e indiretta, dal momento che tende ad agire a monte, sul processo di normazione. Oltre alla difficoltà di separare i mercati leciti da quelli illeciti, il nuovo assetto reticolare produce un’altra pericolosa conseguenza: trasferisce sulle attività delle organizzazioni criminali tradizionali quella stessa impunità di cui hanno sempre, storicamente potuto beneficiare i cosiddetti ‘colletti bianchi’, sia per quel che riguarda gli assetti dell’amministrazione della giustizia, sia per quanto attiene al giudizio formulato dalla pubblica opinione. Economia legale ed economia criminale rischiano sempre più spesso di trovare forme e luoghi di pacifica convivenza, magari agevolate dall’esistenza di “camere di compensazione” istituzionali o paraistituzionali, interessate all’accumulazione o alla speculazione finanziaria. E proprio per il radicamento secolare delle cosiddette mafie tradizionali sul territorio del nostro Paese, molte trasformazioni sono ancora in divenire, e dunque formulare previsioni definite sullo sviluppo di questa “convivenza” può risultare incauto. Mantenendo viva l’attenzione sulle specificità, possiamo però certamente utilizzare la traccia indicata per osservare e interpretare quanto ci accade intorno; per tentare di capire quanto il cosiddetto “metodo mafioso” sia stato assimilato, nel nostro Paese, dalla criminalità dei potenti e quali effetti abbia prodotto sia sulla libertà dei mercati che sul sistema istituzionale democratico.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.