Mimesi del parlato e mantenimento/ripresa o trasformazione della tradizione (linguistica) canzonettistica italiana, legata spesso alla lingua del melodramma, sono i due aspetti (“le due variabili”) che hanno guidato l’analisi degli usi, delle funzioni espressive e delle qualità strutturali che contrassegnano le soluzioni linguistiche rinvenibili nelle canzoni degli ultimi cinquant’anni. L’taliano cantato è stato, così, studiato nei termini della definizione della distanza fra le diverse tipologie di scrittura associate ai generi musicali e lo standard linguistico-testuale sedimentato dalla tradizione (la “grammatica della canzone”, secondo la definizione di Antonelli). Tale distanza è stata definita per lo più sulla base del diverso grado di penetrazione nel testo di tratti del parlato e dei registri colloquiali. Un tale modello ha dato luogo a ottime analisi [Coveri (1996); Scrausi (1996); Scholz (1998); Arcangeli (1999) Cartago (2003/2016); Antonelli (2010); Coveri (2011)], ma ha finito per mettere prevalentemente in luce gli aspetti diamesico-diafasici della canzone, lasciando emergere un’idea di variazione monodimensionale e unidirezionale. Eppure, allargare il campo ad altre dimensioni della variazione e ad altre varietà del repertorio, comprese le varietà dialettali [cfr. Sottile 2013, Coveri 2012)], potrebbe permettere di porre in essere un modello di analisi pluridimensionale e policentrico, in grado di chiamare in gioco non solo diversi campi di variazione, ma anche i diversi modelli linguistici di riferimento dei singoli autori. In questo senso, la dimensione variazionale della diatopia – e non più soltanto quella della diafasia-diamesia – potrebbe assumere un ruolo importante per analizzare la lingua della canzone e il suo rapporto e le sue ricadute sulla lingua degli usi. Se è vero, infatti, che in diatopia si formano i modelli linguistici del parlato filtrati, a loro volta, e fissati in diamesia dallo scritto per essere cantato, il parlato “riflesso” nel testo della canzone potrebbe anche essere letto e analizzato nella sua qualità di indicatore della variabilità linguistica, tesa non soltanto a soddisfare esigenze espressive, ma a riproporre (a prescindere dal grado di consapevolezza degli autori e dei fruitori dei testi) le reali condizioni d’uso della lingua (diatopicamente) variabile. Mediante la presentazione di testi di artisti prevalentemente meridionali, si tenterà di mostrare in quale misura l’italiano diatopicamente variabile e io dialetto permeano di sé la lingua della canzone di oggi, a quali funzioni comunicativo-espressive essi assolvono, quali rapporti intrattiengono con gli usi effettivi dei parlanti, con le biografie linguistiche degli autori, con i repertori linguistici comunitari.
Roberto Sottile (2020). Il dialetto nella canzone italiana. Modelli di analisi, tòpoi, usi linguistici. In S. Lubello, C. Stromboli (a cura di), Dialetti reloaded. Scenari linguistici della nuova dialettalità in Italia (pp. 167-187). Firenze : Cesati.
Il dialetto nella canzone italiana. Modelli di analisi, tòpoi, usi linguistici
Roberto Sottile
2020-01-01
Abstract
Mimesi del parlato e mantenimento/ripresa o trasformazione della tradizione (linguistica) canzonettistica italiana, legata spesso alla lingua del melodramma, sono i due aspetti (“le due variabili”) che hanno guidato l’analisi degli usi, delle funzioni espressive e delle qualità strutturali che contrassegnano le soluzioni linguistiche rinvenibili nelle canzoni degli ultimi cinquant’anni. L’taliano cantato è stato, così, studiato nei termini della definizione della distanza fra le diverse tipologie di scrittura associate ai generi musicali e lo standard linguistico-testuale sedimentato dalla tradizione (la “grammatica della canzone”, secondo la definizione di Antonelli). Tale distanza è stata definita per lo più sulla base del diverso grado di penetrazione nel testo di tratti del parlato e dei registri colloquiali. Un tale modello ha dato luogo a ottime analisi [Coveri (1996); Scrausi (1996); Scholz (1998); Arcangeli (1999) Cartago (2003/2016); Antonelli (2010); Coveri (2011)], ma ha finito per mettere prevalentemente in luce gli aspetti diamesico-diafasici della canzone, lasciando emergere un’idea di variazione monodimensionale e unidirezionale. Eppure, allargare il campo ad altre dimensioni della variazione e ad altre varietà del repertorio, comprese le varietà dialettali [cfr. Sottile 2013, Coveri 2012)], potrebbe permettere di porre in essere un modello di analisi pluridimensionale e policentrico, in grado di chiamare in gioco non solo diversi campi di variazione, ma anche i diversi modelli linguistici di riferimento dei singoli autori. In questo senso, la dimensione variazionale della diatopia – e non più soltanto quella della diafasia-diamesia – potrebbe assumere un ruolo importante per analizzare la lingua della canzone e il suo rapporto e le sue ricadute sulla lingua degli usi. Se è vero, infatti, che in diatopia si formano i modelli linguistici del parlato filtrati, a loro volta, e fissati in diamesia dallo scritto per essere cantato, il parlato “riflesso” nel testo della canzone potrebbe anche essere letto e analizzato nella sua qualità di indicatore della variabilità linguistica, tesa non soltanto a soddisfare esigenze espressive, ma a riproporre (a prescindere dal grado di consapevolezza degli autori e dei fruitori dei testi) le reali condizioni d’uso della lingua (diatopicamente) variabile. Mediante la presentazione di testi di artisti prevalentemente meridionali, si tenterà di mostrare in quale misura l’italiano diatopicamente variabile e io dialetto permeano di sé la lingua della canzone di oggi, a quali funzioni comunicativo-espressive essi assolvono, quali rapporti intrattiengono con gli usi effettivi dei parlanti, con le biografie linguistiche degli autori, con i repertori linguistici comunitari.File | Dimensione | Formato | |
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