La disciplina del codice civile italiano in materia di recesso deve essere integrata con quella elaborata in ambito europeo e refluita nella legislazione interna. Al livello codicistico il diritto di recesso trova una previsione di carattere generale all’art. 1373, in forza del quale le parti contraenti possono attribuire ad una di esse il potere di sciogliere unilateralmente il rapporto (c.d. recesso convenzionale). La sua collocazione nel Capo V del codice civile, relativo agli effetti del contratto, sottolinea l’intenzione del legislatore di inserire il patto di recesso all’interno di una fattispecie definitivamente perfezionata, cioè di un contratto già completo in tutti i suoi elementi. Alla previsione del recesso (convenzionale) si affianca una disciplina specifica in presenza di determinate figure contrattuali, diretta a modellare il diritto in ragione della peculiarità del rapporto instaurato fra le parti (c.d. recesso legale). Il recesso si presta così ad assolvere funzioni diverse, individuate, di volta in volta, a seconda della natura del rapporto o degli interessi dei soggetti contraenti: con riferimento ai contratti di durata esprime l’esi¬genza di individuare un termine finale per impedire il protrarsi in perpetuo del vincolo; in altri contesti normativi si atteggia in funzione di rimedio a ipotesi di inadempimento contrattuale. Il recesso di matrice europea, detto anche recesso di pentimento, in funzione della tutela della parte contrattualmente più debole, si situa sotto il profilo procedimentale in un momento diverso da quello individuato nel nostro sistema domestico. La figura del recesso si allontana dalla previsione codicistica sotto il profilo dell’esercizio (cfr. artt. 64-67 cod. consumo). Esso è attivabile anche nella fase esecutiva del rapporto, è inderogabile, non prevede alcuna giustificazione ed inoltre è esperibile senza corrispettivo. Con l’esercizio del diritto di recesso viene meno l’obbligo delle parti di eseguire il contratto, il consumatore non sostiene alcun onere economico e non è tenuto a corrispondere il valore dell’eventuale servizio ricevuto prima del recesso. Le influenze comunitarie in questa materia si colgono, a livello domestico, nella recente disciplina settoriale dove il diritto di recesso è attribuito alla parte che ha subito condotte abusive dall’altra in posizione di superiore forza economica. In questo senso possono leggersi le modifiche di diritto societario con riferimento al recesso del socio dissenziente o di minoranza nelle società di capitali, il cui esercizio può essere giustificato dagli abusi perpetrati nei suoi confronti dagli azionisti di maggioranza. In generale, il nuovo art. 2437 c.c. individua nella figura del recesso uno strumento di protezione per salvaguardare la posizione dei soci di minoranza rispetto alle deliberazioni non condivise adottate dalla compagine sociale di maggioranza.
Galasso, G. (2009). Diritto di recesso e jus poenitendi. In G. Palmeri (a cura di), Letture di giurisprudenza (pp. 129-136). Torino : Giappichelli Editore.
Diritto di recesso e jus poenitendi
GALASSO, Giovanni
2009-01-01
Abstract
La disciplina del codice civile italiano in materia di recesso deve essere integrata con quella elaborata in ambito europeo e refluita nella legislazione interna. Al livello codicistico il diritto di recesso trova una previsione di carattere generale all’art. 1373, in forza del quale le parti contraenti possono attribuire ad una di esse il potere di sciogliere unilateralmente il rapporto (c.d. recesso convenzionale). La sua collocazione nel Capo V del codice civile, relativo agli effetti del contratto, sottolinea l’intenzione del legislatore di inserire il patto di recesso all’interno di una fattispecie definitivamente perfezionata, cioè di un contratto già completo in tutti i suoi elementi. Alla previsione del recesso (convenzionale) si affianca una disciplina specifica in presenza di determinate figure contrattuali, diretta a modellare il diritto in ragione della peculiarità del rapporto instaurato fra le parti (c.d. recesso legale). Il recesso si presta così ad assolvere funzioni diverse, individuate, di volta in volta, a seconda della natura del rapporto o degli interessi dei soggetti contraenti: con riferimento ai contratti di durata esprime l’esi¬genza di individuare un termine finale per impedire il protrarsi in perpetuo del vincolo; in altri contesti normativi si atteggia in funzione di rimedio a ipotesi di inadempimento contrattuale. Il recesso di matrice europea, detto anche recesso di pentimento, in funzione della tutela della parte contrattualmente più debole, si situa sotto il profilo procedimentale in un momento diverso da quello individuato nel nostro sistema domestico. La figura del recesso si allontana dalla previsione codicistica sotto il profilo dell’esercizio (cfr. artt. 64-67 cod. consumo). Esso è attivabile anche nella fase esecutiva del rapporto, è inderogabile, non prevede alcuna giustificazione ed inoltre è esperibile senza corrispettivo. Con l’esercizio del diritto di recesso viene meno l’obbligo delle parti di eseguire il contratto, il consumatore non sostiene alcun onere economico e non è tenuto a corrispondere il valore dell’eventuale servizio ricevuto prima del recesso. Le influenze comunitarie in questa materia si colgono, a livello domestico, nella recente disciplina settoriale dove il diritto di recesso è attribuito alla parte che ha subito condotte abusive dall’altra in posizione di superiore forza economica. In questo senso possono leggersi le modifiche di diritto societario con riferimento al recesso del socio dissenziente o di minoranza nelle società di capitali, il cui esercizio può essere giustificato dagli abusi perpetrati nei suoi confronti dagli azionisti di maggioranza. In generale, il nuovo art. 2437 c.c. individua nella figura del recesso uno strumento di protezione per salvaguardare la posizione dei soci di minoranza rispetto alle deliberazioni non condivise adottate dalla compagine sociale di maggioranza.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.