Paolo Di Stefano, narratore sensibile alle urgenze individuali e sociali della contemporaneità, si è rivelato, nel corso del suo cammino di giornalista, saggista, scrittore, interprete sempre più sottile di una nozione di “terra promessa” declinata in un’accezione molteplice. La meta agognata, l’orizzonte utopico cui tendere, consolidati nell’immaginario tradizionale, si caricano, tra cronaca e storia, tra presente e passato, di implicazioni diverse legate alla complessità della condizione migrante. Il topos epico del “suolo” da rifondare si trasforma ora nell’approdo che accoglie i superstiti di traversate disumane, provenienti da paesi martoriati da conflitti e miseria – come accade all’adolescente egiziano Selim, protagonista del romanzo I pesci devono nuotare – ora nella meta verso cui migravano le popolazioni italiane del dopoguerra, spinte da una analoga necessità di riscatto dall’indigenza, dalla disoccupazione, dagli stenti in cui versava in particolare il meridione della penisola.L’insistenza sugli effetti fonici del significante linguistico, sulle suggestioni onomatopeiche rientra tra le modalità più ricorrenti nel laboratorio narrativo dello scrittore in cui fondante torna la mimesi espressiva delle pronunce di cui egli si pone all’ascolto, dalla lingua ibrida, dalla sintassi disarticolata degli emigrati a Marcinelle sino al pedinamento del flusso dei pensieri di Selim ne I pesci devono nuotare. La scrittura non tradisce mai la realtà in cui si radica ma la libertà dell’invenzione, cifra elettiva di quest’ultimo romanzo, offre chiavi conoscitive “altre” sulla fisionomia plurima della migrazione, amplificandone i risvolti silenti, cassati dalla ruvidezza della cronaca.
La Monaca D (2020). La scrittura in “ascolto”: Paolo Di Stefano racconta le “voci” della migrazione. In B. Van den Bossche, I. De Seta (a cura di), “Scrittori e intellettuali italiani del Novecento on the road” (pp. 145-155). Franco Cesati editore.
La scrittura in “ascolto”: Paolo Di Stefano racconta le “voci” della migrazione
La Monaca D
2020-01-01
Abstract
Paolo Di Stefano, narratore sensibile alle urgenze individuali e sociali della contemporaneità, si è rivelato, nel corso del suo cammino di giornalista, saggista, scrittore, interprete sempre più sottile di una nozione di “terra promessa” declinata in un’accezione molteplice. La meta agognata, l’orizzonte utopico cui tendere, consolidati nell’immaginario tradizionale, si caricano, tra cronaca e storia, tra presente e passato, di implicazioni diverse legate alla complessità della condizione migrante. Il topos epico del “suolo” da rifondare si trasforma ora nell’approdo che accoglie i superstiti di traversate disumane, provenienti da paesi martoriati da conflitti e miseria – come accade all’adolescente egiziano Selim, protagonista del romanzo I pesci devono nuotare – ora nella meta verso cui migravano le popolazioni italiane del dopoguerra, spinte da una analoga necessità di riscatto dall’indigenza, dalla disoccupazione, dagli stenti in cui versava in particolare il meridione della penisola.L’insistenza sugli effetti fonici del significante linguistico, sulle suggestioni onomatopeiche rientra tra le modalità più ricorrenti nel laboratorio narrativo dello scrittore in cui fondante torna la mimesi espressiva delle pronunce di cui egli si pone all’ascolto, dalla lingua ibrida, dalla sintassi disarticolata degli emigrati a Marcinelle sino al pedinamento del flusso dei pensieri di Selim ne I pesci devono nuotare. La scrittura non tradisce mai la realtà in cui si radica ma la libertà dell’invenzione, cifra elettiva di quest’ultimo romanzo, offre chiavi conoscitive “altre” sulla fisionomia plurima della migrazione, amplificandone i risvolti silenti, cassati dalla ruvidezza della cronaca.File | Dimensione | Formato | |
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