Nel 1999, il “Processo di Bologna” ha proposto la realizzazione dello spazio europeo di istruzione superiore (concretizzatosi nell’European Higher Education Area - EHEA) con l’intento di promuovere la conoscenza, la mobilità e la coesione culturale fra i paesi europei e il resto del mondo. Tali obiettivi sono stati ribaditi nel Comunicato di Bucarest (2012), approvato dai Ministri dell’Istruzione Superiore dei 47 membri dell’EHEA, in cui si mette l’accento sulla necessità di garantire, da un lato, il massimo livello possibile di finanziamento pubblico per l’istruzione superiore, come forma di investimento per il superamento della crisi finanziaria e, da un altro lato, un accesso paritario all’istruzione superiore a tutti gli europei. Quest’ultimo aspetto è rilevante per il nostro Paese che, non solo non è competitivo sul piano europeo a causa del basso investimento per la Ricerca e lo Sviluppo, ma è anche afflitto da un dualismo territoriale Sud-Nord, sia in tema di occupazione sia in tema di istruzione (SVIMEZ, 2014). Inoltre, il sistema universitario italiano negli ultimi 25 anni è stato oggetto di riforme che hanno prodotto molti cambiamenti. L’autonomia finanziaria delle università, introdotta con la legge 537 del 1993 come strumento per contenere le spese, accompagnata dai crescenti tagli alla spesa pubblica, ha innescato un meccanismo di competitività fra le università e ha condizionato le politiche dell’istruzione alle logiche del mercato. “Il fatto che i meccanismi di premialità inerenti al finanziamento delle Università abbiano sottratto risorse dal Sud verso il Centro-Nord è assai inquietante. È vero che in media le Università del Mezzogiorno risultano meno efficienti, ma la cura non può passare per una dieta dimagrante del loro finanziamento, che si traduce in un impoverimento del capitale umano e in una accelerazione della migrazione giovanile verso il resto del Paese e verso l’estero” (Livi Bacci, 2015). Ciò ha ampliato le differenze fra gli atenei del Sud e quelli del Nord in termini di servizi offerti, di qualità della ricerca, di attrattività degli studenti, favorendo la mobilità degli studenti nel passaggio dal diploma di II grado all’università. Questa avviene solo dal Sud verso il Centro e il Nord del Paese e trasferisce il dualismo territoriale anche sugli atenei, in un circolo vizioso in termini di sviluppo sociale ed economico. Invero, non si tratta solamente di mobilità momentanea, ma di una vera e propria migrazione che si traduce in un ulteriore depauperamento del capitale umano del Mezzogiorno, già afflitto da dispersione scolastica e rinuncia all’istruzione terziaria.

massimo attanasio, andrea priulla (2020). Chi rimane e chi se ne va? Un’analisi statistica della mobilità universitaria dal Mezzogiorno d’Italia. In "Verso Nord. Le nuove e vecchie rotte delle migrazioni universitarie" (pp. 27-63).

Chi rimane e chi se ne va? Un’analisi statistica della mobilità universitaria dal Mezzogiorno d’Italia

massimo attanasio
;
andrea priulla
2020-01-01

Abstract

Nel 1999, il “Processo di Bologna” ha proposto la realizzazione dello spazio europeo di istruzione superiore (concretizzatosi nell’European Higher Education Area - EHEA) con l’intento di promuovere la conoscenza, la mobilità e la coesione culturale fra i paesi europei e il resto del mondo. Tali obiettivi sono stati ribaditi nel Comunicato di Bucarest (2012), approvato dai Ministri dell’Istruzione Superiore dei 47 membri dell’EHEA, in cui si mette l’accento sulla necessità di garantire, da un lato, il massimo livello possibile di finanziamento pubblico per l’istruzione superiore, come forma di investimento per il superamento della crisi finanziaria e, da un altro lato, un accesso paritario all’istruzione superiore a tutti gli europei. Quest’ultimo aspetto è rilevante per il nostro Paese che, non solo non è competitivo sul piano europeo a causa del basso investimento per la Ricerca e lo Sviluppo, ma è anche afflitto da un dualismo territoriale Sud-Nord, sia in tema di occupazione sia in tema di istruzione (SVIMEZ, 2014). Inoltre, il sistema universitario italiano negli ultimi 25 anni è stato oggetto di riforme che hanno prodotto molti cambiamenti. L’autonomia finanziaria delle università, introdotta con la legge 537 del 1993 come strumento per contenere le spese, accompagnata dai crescenti tagli alla spesa pubblica, ha innescato un meccanismo di competitività fra le università e ha condizionato le politiche dell’istruzione alle logiche del mercato. “Il fatto che i meccanismi di premialità inerenti al finanziamento delle Università abbiano sottratto risorse dal Sud verso il Centro-Nord è assai inquietante. È vero che in media le Università del Mezzogiorno risultano meno efficienti, ma la cura non può passare per una dieta dimagrante del loro finanziamento, che si traduce in un impoverimento del capitale umano e in una accelerazione della migrazione giovanile verso il resto del Paese e verso l’estero” (Livi Bacci, 2015). Ciò ha ampliato le differenze fra gli atenei del Sud e quelli del Nord in termini di servizi offerti, di qualità della ricerca, di attrattività degli studenti, favorendo la mobilità degli studenti nel passaggio dal diploma di II grado all’università. Questa avviene solo dal Sud verso il Centro e il Nord del Paese e trasferisce il dualismo territoriale anche sugli atenei, in un circolo vizioso in termini di sviluppo sociale ed economico. Invero, non si tratta solamente di mobilità momentanea, ma di una vera e propria migrazione che si traduce in un ulteriore depauperamento del capitale umano del Mezzogiorno, già afflitto da dispersione scolastica e rinuncia all’istruzione terziaria.
2020
massimo attanasio, andrea priulla (2020). Chi rimane e chi se ne va? Un’analisi statistica della mobilità universitaria dal Mezzogiorno d’Italia. In "Verso Nord. Le nuove e vecchie rotte delle migrazioni universitarie" (pp. 27-63).
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