The essay analyses certain methodological issues about the use of life stories and biographic narrations in contexts where researchers deal with mafia organised crime. Starting from the depositions of men and women belonging to the world of Cosa Nostra (acquired during a wide time range), the paper focuses on a complex study experience: Gaspare Spatuzza’s recounting of his own life story, during numerous sessions that took place during the period of time from October 2012 to October 2013, while he was in jail in a safe locality. In this analytical scenario, the question arises about how to place the “topic” mafias inside “symbolic spaces”, on which the epistemology of narration is founded. A narration that questions (from a methodological perspective) the sense of narration itself, finding an anchor in “combinatory logics”. The difficulty in its positioning, the contaminated dimension of narration, the “performative muddle” generated by meeting in a border zone are the core of the analysis. It is exactly the intricate ambiguity of the individuals who move inside mafias geographies that seems to ask the researcher for the setting-up of analytical categories, observational methods and criteria to define the “truth”, which meet “epistemic opacities” instead of solid truths.

Il saggio affronta alcune questioni metodologiche relative all’uso del racconto biografico dei collaboratori di giustizia. Partendo da diverse testimonianze raccolte tra uomini e donne appartenenti al mondo di Cosa Nostra, nel corso di un ampio arco temporale, il lavoro si sofferma su una lunga intervista con Gaspare Spatuzza realizzata in 9 incontri svoltisi, tra l’ottobre del 2012 e l’ottobre del 2013, in un carcere in località protetta. I diversi piani analitici in gioco, legati alla personalità del soggetto e alla peculiarità della sua narrazione, hanno reso il testo di analisi fluido e incandescente. L’incrociarsi della storia di Spatuzza con la mia biografia ha richiesto uno sforzo ulteriore per mantenere insieme “una giusta distanza” e una vigile capacità di ascolto, non trascurando le questioni deontologiche legate al ruolo dell’interprete, consapevole degli effetti del coinvolgimento emotivo che accompagna il racconto delle biografie di personaggi in vista del mondo criminale. Il racconto di vita di Spatuzza incrocia snodi e episodi cruciali della recente storia del nostro Paese. Nato nelle periferie palermitane, entra giovanissimo nel mondo di Cosa Nostra ricoprendovi varie mansioni, fino a divenire reggente del mandamento di Brancaccio. È testimone diretto di tutti gli episodi stragisti consumati tra il 1992 e il 1994 oltre che protagonista nel rapimento del piccolo Giuseppe Di Matteo e nell’omicidio di don Pino Puglisi. Legato da un perdurante e “fraterno” affetto a Giuseppe e Filippo Graviano, con la sua collaborazione mette in discussione l’impianto processuale di tre procedimenti, svelando clamorosi “errori giudiziari” e verosimili azioni di “depistaggio” e azzerando, di fatto, 13 anni di lavoro di magistrati e inquirenti. Le sue dichiarazioni sul mondo della politica chiamano in causa Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri. La sua conversione religiosa diviene la cornice privilegiata per “raccontare” la sua “nuova” storia. Da qui l’esigenza di lavorare su più livelli: quello dell’analisi e della “verifica” dei contenuti e quello della relazione tra intervistatore e intervistato, curando anche una puntuale collocazione della sua storia dentro l’ambiguo contesto in cui si origina, dal momento che molte delle questioni affrontate nel racconto sono ancora oggetto di approfondimento giudiziario e al centro d’indagini su importanti esponenti delle istituzioni e “presenze esterne” al contesto mafioso.

Alessandra Dino (2020). La “giusta distanza”: questioni metodologiche e regole dell’interazione nel récit de vie di un collaboratore di giustizia. In Gabriella Gribaudi (a cura di), Testimonianze e testimoni nella storia del tempo presente (pp. 125-147). Editpress.

La “giusta distanza”: questioni metodologiche e regole dell’interazione nel récit de vie di un collaboratore di giustizia

Alessandra Dino
2020-01-01

Abstract

The essay analyses certain methodological issues about the use of life stories and biographic narrations in contexts where researchers deal with mafia organised crime. Starting from the depositions of men and women belonging to the world of Cosa Nostra (acquired during a wide time range), the paper focuses on a complex study experience: Gaspare Spatuzza’s recounting of his own life story, during numerous sessions that took place during the period of time from October 2012 to October 2013, while he was in jail in a safe locality. In this analytical scenario, the question arises about how to place the “topic” mafias inside “symbolic spaces”, on which the epistemology of narration is founded. A narration that questions (from a methodological perspective) the sense of narration itself, finding an anchor in “combinatory logics”. The difficulty in its positioning, the contaminated dimension of narration, the “performative muddle” generated by meeting in a border zone are the core of the analysis. It is exactly the intricate ambiguity of the individuals who move inside mafias geographies that seems to ask the researcher for the setting-up of analytical categories, observational methods and criteria to define the “truth”, which meet “epistemic opacities” instead of solid truths.
2020
Settore SPS/12 - Sociologia Giuridica, Della Devianza E Mutamento Sociale
Settore SPS/08 - Sociologia Dei Processi Culturali E Comunicativi
Settore SPS/07 - Sociologia Generale
Alessandra Dino (2020). La “giusta distanza”: questioni metodologiche e regole dell’interazione nel récit de vie di un collaboratore di giustizia. In Gabriella Gribaudi (a cura di), Testimonianze e testimoni nella storia del tempo presente (pp. 125-147). Editpress.
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