La crisi seguita alla dissoluzione della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia dopo la morte di Tito ha indotto l’Italia ad affrontare il riassetto di quest’area di prossimità geografica e la gestione delle relazioni con gli attori locali in un contesto altamente conflittuale. Nel corso degli anni Ottanta e Novanta l’Italia ha svolto un ruolo di mediazione diplomatica nel conflitto che si era acceso tra le richieste di autonomia provenienti dalle repubbliche e province autonome della Jugoslavia e la politica nazionalista del governo centrale [Bucarelli 2004] ed ha escluso la scelta della partecipazione attiva alle operazioni militari. Nel 1999 il governo italiano ha preso una decisione che non si allinea a questa posizione, in quanto, ha stabilito di partecipare attivamente all’operazione Operation Allied Force (OAF) nel Kosovo. L’OAF ha preso avvio su iniziativa della NATO il 24 marzo 1999 a seguito del rifiuto del governo serbo guidato dal Presidente Slobodan Milosevic di firmare l’accordo di Rambouillet1. Sotto il profilo militare, l’azione è stata guidata dagli Stati Uniti ed ha avuto il contributo di Gran Bretagna, Francia ed Italia che hanno fornito forze aeree. Gli obiettivi politici dichiarati della missione erano: l’interruzione delle violenze contro i cittadini kosovari; il ritiro delle truppe del governo di Milosevic dal Kosovo; il dispiegamento nell’area di una presenza militare multinazionale di garanzia; il rientro dei rifugiati e la firma di un accordo sullo status del Kosovo che fosse in conformità con i principi delle Nazioni Unite (ONU). L’operazione militare OAF seguì il tentativo di soluzione diplomatica del conflitto avviato dal Gruppo di Contatto, al quale lo stesso governo italiano aveva partecipato (vedi Cronologia in Appendice). Alla fine della fallimentare conferenza negoziale tenutasi a Rambouillet, promossa dal Gruppo di Contatto, la NATO diede avvio alla missione multilaterale aerea. In questo capitolo si sostiene l’ipotesi che la scelta di partecipare alla missione da parte dell’Italia è il primo risultato di una modifica delle concezioni del ruolo nazionale tradizionalmente svolto nell’area balcanica. Rispetto al ruolo fondato su funzioni di mediazione diplomatica e di supporto meramente logistico secondo il modello del paese «mediatore» [Holsti 1970], giocato fino alla fine degli anni Novanta, la decisione di partecipare all’OAF è derivata da una concezione di ruolo caratterizzata da maggiore responsabilità, con conseguente mutamento delle scelte e delle azioni svolte e, quindi, delle prestazioni di ruolo, nella regione dei Balcani. Mediante la ricostruzione del contesto strutturale, nazionale e internazionale e l’analisi della condotta, delle scelte e delle decisioni dell’allora Presidente del Consiglio Massimo D’Alema, il capitolo identifica due principali concause di questo cambiamento. La prima è la variabile strutturale dell’interazione tra i fenomeni di mutamento che il sistema globale ha vissuto proprio all’inizio degli anni Novanta e le mutazioni strutturali interne che il sistema politico italiano ha sperimentato nello stesso periodo. In particolare, i veloci cambiamenti del sistema politico italiano, dovuti alle inchieste avviate all’inizio degli anni Novanta dalla Procura milanese, e il mutamento negli assetti della sicurezza europea e globale, dovuti alla dissoluzione dell’ordine bipolare, hanno determinato una modifica della percezione del ruolo che l’Italia avrebbe dovuto giocare nelle alleanze bilaterali e multilaterali da parte dei decisori. In secondo luogo, l’analisi ha evidenziato che le preferenze personali di Massimo D’Alema hanno giocato un ruolo cruciale nella scelta del governo italiano. In quest’ottica la variabile idiosincratica è la seconda causa della decisione italiana. Infatti il comportamento e le scelte dell’agente sono considerate come il «punto di intersezione» tra variabili strutturali interne e variabili strutturali esterne [Hudson 2005] e questo modello di interazione ha determinato il mutamento della percezione del ruolo regionale dell’Italia e, quindi, delle sue strategie, azioni e prestazioni di ruolo [Holsti 1970]. Nella prima sezione il capitolo passa in rassegna la letteratura che si è occupata di studiare la partecipazione italiana all’OAF con l’obiettivo di individuarne i principali elementi esplicativi. Nella seconda sezione si ricostruisce il modello esplicativo proposto e il quadro teorico di riferimento. Nella terza e nella quarta si analizzano le variabili strutturali interne ed esterne e nella quinta si ricostruiscono le variabili idiosincratiche. Infine, nelle conclusioni si presentano le conseguenze di questi mutamenti di ruolo e decisionali sull’evoluzione delle pratiche di sicurezza dell’Italia nell’area balcanica.

Longo Francesca, Rossi Rosa (2019). L’Italia e la crisi dei Balcani: il caso del Kosovo. In F.L. P. Isernia (a cura di), La politica estera italiana nel nuovo millennio (pp. 45-80).

L’Italia e la crisi dei Balcani: il caso del Kosovo

Rossi Rosa
2019-01-01

Abstract

La crisi seguita alla dissoluzione della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia dopo la morte di Tito ha indotto l’Italia ad affrontare il riassetto di quest’area di prossimità geografica e la gestione delle relazioni con gli attori locali in un contesto altamente conflittuale. Nel corso degli anni Ottanta e Novanta l’Italia ha svolto un ruolo di mediazione diplomatica nel conflitto che si era acceso tra le richieste di autonomia provenienti dalle repubbliche e province autonome della Jugoslavia e la politica nazionalista del governo centrale [Bucarelli 2004] ed ha escluso la scelta della partecipazione attiva alle operazioni militari. Nel 1999 il governo italiano ha preso una decisione che non si allinea a questa posizione, in quanto, ha stabilito di partecipare attivamente all’operazione Operation Allied Force (OAF) nel Kosovo. L’OAF ha preso avvio su iniziativa della NATO il 24 marzo 1999 a seguito del rifiuto del governo serbo guidato dal Presidente Slobodan Milosevic di firmare l’accordo di Rambouillet1. Sotto il profilo militare, l’azione è stata guidata dagli Stati Uniti ed ha avuto il contributo di Gran Bretagna, Francia ed Italia che hanno fornito forze aeree. Gli obiettivi politici dichiarati della missione erano: l’interruzione delle violenze contro i cittadini kosovari; il ritiro delle truppe del governo di Milosevic dal Kosovo; il dispiegamento nell’area di una presenza militare multinazionale di garanzia; il rientro dei rifugiati e la firma di un accordo sullo status del Kosovo che fosse in conformità con i principi delle Nazioni Unite (ONU). L’operazione militare OAF seguì il tentativo di soluzione diplomatica del conflitto avviato dal Gruppo di Contatto, al quale lo stesso governo italiano aveva partecipato (vedi Cronologia in Appendice). Alla fine della fallimentare conferenza negoziale tenutasi a Rambouillet, promossa dal Gruppo di Contatto, la NATO diede avvio alla missione multilaterale aerea. In questo capitolo si sostiene l’ipotesi che la scelta di partecipare alla missione da parte dell’Italia è il primo risultato di una modifica delle concezioni del ruolo nazionale tradizionalmente svolto nell’area balcanica. Rispetto al ruolo fondato su funzioni di mediazione diplomatica e di supporto meramente logistico secondo il modello del paese «mediatore» [Holsti 1970], giocato fino alla fine degli anni Novanta, la decisione di partecipare all’OAF è derivata da una concezione di ruolo caratterizzata da maggiore responsabilità, con conseguente mutamento delle scelte e delle azioni svolte e, quindi, delle prestazioni di ruolo, nella regione dei Balcani. Mediante la ricostruzione del contesto strutturale, nazionale e internazionale e l’analisi della condotta, delle scelte e delle decisioni dell’allora Presidente del Consiglio Massimo D’Alema, il capitolo identifica due principali concause di questo cambiamento. La prima è la variabile strutturale dell’interazione tra i fenomeni di mutamento che il sistema globale ha vissuto proprio all’inizio degli anni Novanta e le mutazioni strutturali interne che il sistema politico italiano ha sperimentato nello stesso periodo. In particolare, i veloci cambiamenti del sistema politico italiano, dovuti alle inchieste avviate all’inizio degli anni Novanta dalla Procura milanese, e il mutamento negli assetti della sicurezza europea e globale, dovuti alla dissoluzione dell’ordine bipolare, hanno determinato una modifica della percezione del ruolo che l’Italia avrebbe dovuto giocare nelle alleanze bilaterali e multilaterali da parte dei decisori. In secondo luogo, l’analisi ha evidenziato che le preferenze personali di Massimo D’Alema hanno giocato un ruolo cruciale nella scelta del governo italiano. In quest’ottica la variabile idiosincratica è la seconda causa della decisione italiana. Infatti il comportamento e le scelte dell’agente sono considerate come il «punto di intersezione» tra variabili strutturali interne e variabili strutturali esterne [Hudson 2005] e questo modello di interazione ha determinato il mutamento della percezione del ruolo regionale dell’Italia e, quindi, delle sue strategie, azioni e prestazioni di ruolo [Holsti 1970]. Nella prima sezione il capitolo passa in rassegna la letteratura che si è occupata di studiare la partecipazione italiana all’OAF con l’obiettivo di individuarne i principali elementi esplicativi. Nella seconda sezione si ricostruisce il modello esplicativo proposto e il quadro teorico di riferimento. Nella terza e nella quarta si analizzano le variabili strutturali interne ed esterne e nella quinta si ricostruiscono le variabili idiosincratiche. Infine, nelle conclusioni si presentano le conseguenze di questi mutamenti di ruolo e decisionali sull’evoluzione delle pratiche di sicurezza dell’Italia nell’area balcanica.
2019
Longo Francesca, Rossi Rosa (2019). L’Italia e la crisi dei Balcani: il caso del Kosovo. In F.L. P. Isernia (a cura di), La politica estera italiana nel nuovo millennio (pp. 45-80).
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