La tradizione più nota che riguarda il personaggio di Antigone è quella seguita da Sofocle nell’Edipo a Colono e nell’Antigone, ma è difficile dire se fu da questi radicalmente inventata oppure se era una variante minore, attica, che il poeta fece sua. Creonte, re di Tebe, ha imposto, pena la morte, il divieto di dare sepoltura al cadavere di Polinice, colpevole di essersi armato contro la patria. Ma Antigone non tiene conto dell’ordine, né dei consigli alla prudenza della sorella Ismene, bensì, obbedendo all’impulso dell’amore fraterno, getta un poco di terra sul corpo di Polinice, rendendogli così una sepoltura simbolica. Arrestata e condotta al cospetto di Creonte, difende il proprio gesto contrapponendo ai decreti dei governanti e alla ragione di stato le “leggi non scritte e incrollabili” degli dei. Ma Creonte, nonostante l’appello del figlio Emone, innamorato di Antigone, e nonostante le minacciose profezie di Tiresia, condanna la fanciulla ad essere rinchiusa in un antro sotterraneo e a morire di fame. Quando si ricrede è troppo tardi: Antigone si è impiccata e anche Emone, che dentro la grotta piangeva la sua amata, all’arrivo del padre si uccide; infine, alla notizia della morte del figlio, si uccide anche la moglie di Creonte, Euridice. La voce di Antigone si leva in difesa dell’amore contro l’odio, della carità religiosa contro l’empietà disumana, della giustizia contro l’arbitrio. Poiché la tirannia è sempre arbitrio, anche quando si ammanta e si maschera di legalità. E Antigone, in ceppi, si oppone e risponde a Creonte, giudice: è la libera coscienza che parla alla tirannide, schiava di se stessa. Scende, viva, tra i morti. Per quali leggi? Leggi che “non sono d’oggi ma di ieri ma da sempre vivono e quando diedero di sé rivelazione è ignoto”. “Santa” la trasgressione di Antigone, invocata a difesa di un’esigenza di giustizia che supera la mera dimensione giuridica e che affonda la sua legittimazione nella sfera dell’etica, sfidando il potere, il pensare come al solito, il dominio maschile che si nasconde dietro la pretesa neutralità delle leggi dello stato. Di uno stato tirannico incapace di ascoltare le ragioni dei suoi governati che più che cittadini sono spinti a comportarsi come meri sudditi.
Dino, A. (2009). Antigone e la giusta trasgressione. In A. Dino, L. Callari (a cura di), Coscienza e potere. Narrazioni attraverso il mito (pp. 29-47). Milano : Mimesis.
Antigone e la giusta trasgressione
DINO, Alessandra
2009-01-01
Abstract
La tradizione più nota che riguarda il personaggio di Antigone è quella seguita da Sofocle nell’Edipo a Colono e nell’Antigone, ma è difficile dire se fu da questi radicalmente inventata oppure se era una variante minore, attica, che il poeta fece sua. Creonte, re di Tebe, ha imposto, pena la morte, il divieto di dare sepoltura al cadavere di Polinice, colpevole di essersi armato contro la patria. Ma Antigone non tiene conto dell’ordine, né dei consigli alla prudenza della sorella Ismene, bensì, obbedendo all’impulso dell’amore fraterno, getta un poco di terra sul corpo di Polinice, rendendogli così una sepoltura simbolica. Arrestata e condotta al cospetto di Creonte, difende il proprio gesto contrapponendo ai decreti dei governanti e alla ragione di stato le “leggi non scritte e incrollabili” degli dei. Ma Creonte, nonostante l’appello del figlio Emone, innamorato di Antigone, e nonostante le minacciose profezie di Tiresia, condanna la fanciulla ad essere rinchiusa in un antro sotterraneo e a morire di fame. Quando si ricrede è troppo tardi: Antigone si è impiccata e anche Emone, che dentro la grotta piangeva la sua amata, all’arrivo del padre si uccide; infine, alla notizia della morte del figlio, si uccide anche la moglie di Creonte, Euridice. La voce di Antigone si leva in difesa dell’amore contro l’odio, della carità religiosa contro l’empietà disumana, della giustizia contro l’arbitrio. Poiché la tirannia è sempre arbitrio, anche quando si ammanta e si maschera di legalità. E Antigone, in ceppi, si oppone e risponde a Creonte, giudice: è la libera coscienza che parla alla tirannide, schiava di se stessa. Scende, viva, tra i morti. Per quali leggi? Leggi che “non sono d’oggi ma di ieri ma da sempre vivono e quando diedero di sé rivelazione è ignoto”. “Santa” la trasgressione di Antigone, invocata a difesa di un’esigenza di giustizia che supera la mera dimensione giuridica e che affonda la sua legittimazione nella sfera dell’etica, sfidando il potere, il pensare come al solito, il dominio maschile che si nasconde dietro la pretesa neutralità delle leggi dello stato. Di uno stato tirannico incapace di ascoltare le ragioni dei suoi governati che più che cittadini sono spinti a comportarsi come meri sudditi.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.