In un tono volutamente conversazionale, tuttavia da antropologo del linguaggio e dell’esistenza, illustro la mia posizione decentrata e decentrante in antropologia da me intesa in modo altrettanto decentrante. Nonostante la questione presa di petto più direttamente riguardi il corpo e il senso del vivere, lo scopo ultimo che mi prefiggo è discutere i fini dell’antropologia che, nella mia prospettiva, dovrebbe sempre essere conversazionale, fondata su un principio costitutivo di decentramento e sulla costante traduzione della compartimentazione (risultativa) del sapere in processo di continua disciplinarizzazione (di tipo imperfettivo). Ho inoltre affrontato la questione con un percorso a zigzag, facendo accenno al mio percorso (de)formativo e alle discipline di cui mi servo, per evitare una compartimentazione univoca all’interno della disciplina definita antropologia, nonché del testo in questione. Le foto hanno in questo saggio una funzione specifica. Le foto, di Licia Taverna, non vanno infatti viste in sé o come un semplice accompagnamento al testo, ma come un’ulteriore forma di conversazione instaurata tra esse e lo scritto, tra le immagini prodotte e colte per insiemi configurativi e i modi particolari dello scritto di inscrivere figure e narrazioni d’ordine più lineare e sintattico, rispetto a quello delle immagini. Questa associazione tra l’evolvere lineare dello scritto e la punteggiatura provvista dalle foto consente di parlare di un modo diverso – un terzo modo, né propriamente scrittura né propriamente per sole foto – di produrre e ricevere testi e immagini.
montes stefano (2017). Antropologia senza corpo, antropologia del vivere: assetti di conversazione. DIALOGHI MEDITERRANEI, 24.
Antropologia senza corpo, antropologia del vivere: assetti di conversazione
montes stefano
2017-01-01
Abstract
In un tono volutamente conversazionale, tuttavia da antropologo del linguaggio e dell’esistenza, illustro la mia posizione decentrata e decentrante in antropologia da me intesa in modo altrettanto decentrante. Nonostante la questione presa di petto più direttamente riguardi il corpo e il senso del vivere, lo scopo ultimo che mi prefiggo è discutere i fini dell’antropologia che, nella mia prospettiva, dovrebbe sempre essere conversazionale, fondata su un principio costitutivo di decentramento e sulla costante traduzione della compartimentazione (risultativa) del sapere in processo di continua disciplinarizzazione (di tipo imperfettivo). Ho inoltre affrontato la questione con un percorso a zigzag, facendo accenno al mio percorso (de)formativo e alle discipline di cui mi servo, per evitare una compartimentazione univoca all’interno della disciplina definita antropologia, nonché del testo in questione. Le foto hanno in questo saggio una funzione specifica. Le foto, di Licia Taverna, non vanno infatti viste in sé o come un semplice accompagnamento al testo, ma come un’ulteriore forma di conversazione instaurata tra esse e lo scritto, tra le immagini prodotte e colte per insiemi configurativi e i modi particolari dello scritto di inscrivere figure e narrazioni d’ordine più lineare e sintattico, rispetto a quello delle immagini. Questa associazione tra l’evolvere lineare dello scritto e la punteggiatura provvista dalle foto consente di parlare di un modo diverso – un terzo modo, né propriamente scrittura né propriamente per sole foto – di produrre e ricevere testi e immagini.File | Dimensione | Formato | |
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