Circola, ad opera di specialisti della civil liability inglese, una formula definitoria dell’attuale posizione di questo settore del diritto privato, e cioè che esso si trovi “at the crossroads” e, quindi, ad un punto critico della sua esistenza. Questa ricerca mira a rinvenire le ragioni della crisi della civil liability avvertita da una nutrita schiera di giuristi inglesi e, allo stesso tempo, si propone di mettere in luce il fatto che non meno delicata appare la situazione che riguarda l’ordinamento italiano. Innanzitutto è possibile individuare nel diritto inglese dello scorso secolo una tendenza a passare con disinvoltura dall’uno all’altro sistema di responsabilità civile (e cioè dal tort al contract e viceversa). In particolare, si sono registrate fattispecie in cui l’intercambiabilità delle regole di responsabilità era dovuto alla difficoltà di mettere in opera la scultorea opinione di Winfield, secondo cui la responsabilità civile non può che essere generata dalla violazione di un’obbligazione o di un dovere preesistente: è nel binomio verbale obligation, riferito al contract, duty, riferito al tort, che si deve cogliere la linea di demarcazione tra le due forme di responsabilità civile. La casistica giurisprudenziale, soprattutto nel passato, anche in assenza di un rapporto contrattuale tra danneggiato e danneggiante ha utilizzato in via incrementale lo strumento della responsabilità contrattuale, ricorrendo alternativamente alla teoria degli implied terms o a quella dei collateral contracts, obbligando per questa via il convenuto ad assicurare standard di comportamento diligente nella conduzione di determinate attività (come è dimostrato dal caso De La Bere v. Pearson Ltd del 1908). Tuttavia, più spesso, la giurisprudenza inglese ha imboccato la strada inversa, che l’ha portata a rifugiarsi nel tort e nella relativa responsabilità allorché si è trovata di fronte a situazioni dannose reputate meritevoli di tutela, non precedute da un’obbligazione contrattuale diretta o collaterale, trasformando il law of torts in un talismano, così supponendo che ogni fatto generatore di un pregiudizio suscettibile di valutazione economica dovesse, comunque, indurre l’ordinamento ad apprestare misure di ristoro, a prescindere dalla natura di esso e dalla coerenza con le tradizionali figure di danni inflitti alla vita, all’integrità fisica, ai beni singoli del danneggiato. Questa tendenza ha trovato conferma nella risarcibilità, prima negata, del danno puramente economico in due fondamentali precedenti della House of Lords del 1964 e del 1995, rispettivamente i casi Hedley Byrne e White v. Jones. La Corte ha cercato di interpretare determinate relazioni umane, non definibili come contrattuali -data l’assenza di elementi essenziali del contract -, come se esse fossero equivalenti al contratto, con la conseguenza che, pur in assenza di un accordo contrattuale, la violazione del duty of care è stata ritenuta capace di generare gli stessi effetti dell’inadempimento contrattuale e, dunque, - in ultima analisi - di rendere risarcibili le perdite puramente economiche. Il fatto di aver calamitato in ambito tortious casi che reclamavano protezione risarcitoria e, quindi, di aver determinato l’incremento dello spettro dei torts e la rinuncia alla valorizzazione nelle fattispecie decise degli aspetti possibilmente evocativi di una responsabilità contrattuale, ha contribuito alla crisi della civil liability ed alla sua collocazione “at the crossroads”. Allo stesso modo, il diritto italiano ci offre una vicenda analoga: è possibile, infatti, riscontrare numerosi e ricorrenti tentativi di dare ristoro a nuove figure di danno attraverso il ricorso alla responsabilità aquiliana. Ancora una volta esemplare è il caso dei danni all’integrità del patrimonio. La tensione tra la volontà del legislatore - riluttante ad un riconoscimento generalizzato della protezione di tali perdite - e una giurisprudenza creativa - al contrario orientata ad accordare ristoro a tali danni - rappresenta un chiaro indizio della crisi della responsabilità per fatto illecito in diritto italiano. Conclusivamente, però, esistono sufficienti antidoti alla crisi della responsabilità civile. Il metodo che deve guidare l’interprete è quello della qualificazione delle fattispecie generative di responsabilità civile dal lato passivo nel diritto inglese (per cui risarcibile sarebbe solo il danno occasionato dalla violazione di un preesistente duty of care in capo al danneggiante) e dal lato attivo nel diritto italiano (per cui sarebbe risarcibile solo quel danno che rappresenta la violazione di un diritto o di una situazione soggettiva previamente attribuito al singolo). Può ragionevolmente auspicarsi che questa prospettiva, comune al diritto italiano e al diritto inglese, serva a far uscire entrambi dalle secche della crisi in cui questa indagine li colloca. There is a widespread opinion that the English law of torts is at the crossroads: eminent specialists have stated their concern in a most impressive way. This essay attempts to find out the reasons that have led to this criticism and, at the same time, purports to justify the same conclu¬sion in the Italian law of torts. In the first place, it is possible to trace throughout last century''s English legal history a tendency to make swift moves from one to the other systems of civil liability, that is from tort to contract, and, quite more often, viceversa. There have been particular cases where this interchangeability was due to the difficulty of putting into practice Winfield''s well known dividing line between contract and tort, according to which whereas both originate from a relevant, legal violation, the former takes the form of the breach of a binding promise and the latter is shaped into non-compliance with a duty primarily fixed by the law. But, judicial precedents have in the past allowed certain actions for the redress of damages accrued to the plaintiff outside any con¬tractual relationship by making alternative recourse to the doctrine of judicial implied terms or of collateral contracts, obliging the de¬fendant to take reasonable care in the conduction of certain busi¬nesses or activities (as is shown in the De La Bere v. Pearson 1908 case). But, most often, the interchange process between the two main sources of civil obligations, i. e. contract and tort, has quite worked the other way round, shifting towards tort, or to use two renowned legai scholars'' terminology, escaping into it, so converting the En¬glish law of torts into a talisman able to comprehend virtually all forms of relevant damages, whatever their nature and notwithstanding their lack of adherence to the traditional figures of harm inflicted to the life, integrity, goods of one person. This attitude has resulted in the apparent recognition of the hitherto denied protection of merely economic interests, as two fun¬damental decisions in the Hedley Byrne and White v. Jones cases, re¬spectively in 1964 and 1995, seem to demonstrate. It was clearly perceivable that the Courts tried to construe cer¬tain human relations, not directly definable as contracts for the lack of some of its essential elements, as if they were equivalent to con¬tracts, with the consequence that, although an agreement was míss¬ing, the violations of the duty of care were deemed to be capable of generating the same effects as breaches of contract were, so render¬ing pure economie loss recoverable. This, in the author''s opinion, has brought about uncertainty and criticism, and undermined the historical foundations of the law of torts as well. And in this escape into tortious territory seems to lie one plau¬sible explanation of why the law of torts looks to be standing at the crossroads. A potent analogy is established with the Italian law, where nu¬merous and so far persistent attempts have been made to open up the doors of legal redress, by way of the adfirmation of a tortious li¬ability, with regard to kinds of damages of an entirely novel charac¬ter, whose recognition and subsequent protection has been entirely left in the judge''s hands rather than in those of the legislator. The author sees in this tension between the legislator''s will, that seems reluctant to acknowledge certain types of damages (economic losses in the first place, once again), and judicial creativity of new forms of relevant damages a clear symptom of the similar crisis af¬fecting the Italian system in much the same way as the English one. One reason for hope is that civil liability is shaped and inter¬preted in such a manner as to give relief only when the harmful con¬duct complained of constitutes a specific violation of a duty fixed by the law in England or infringes a previously attributed individual right in Italy, so that duties are adfirmed and sanctioned before a right to be compensated is asserted.

SERIO M (2008). La responsabilità civile e la stagione dei doveri. EUROPA E DIRITTO PRIVATO, 2, 401-422.

La responsabilità civile e la stagione dei doveri

SERIO, Mario
2008-01-01

Abstract

Circola, ad opera di specialisti della civil liability inglese, una formula definitoria dell’attuale posizione di questo settore del diritto privato, e cioè che esso si trovi “at the crossroads” e, quindi, ad un punto critico della sua esistenza. Questa ricerca mira a rinvenire le ragioni della crisi della civil liability avvertita da una nutrita schiera di giuristi inglesi e, allo stesso tempo, si propone di mettere in luce il fatto che non meno delicata appare la situazione che riguarda l’ordinamento italiano. Innanzitutto è possibile individuare nel diritto inglese dello scorso secolo una tendenza a passare con disinvoltura dall’uno all’altro sistema di responsabilità civile (e cioè dal tort al contract e viceversa). In particolare, si sono registrate fattispecie in cui l’intercambiabilità delle regole di responsabilità era dovuto alla difficoltà di mettere in opera la scultorea opinione di Winfield, secondo cui la responsabilità civile non può che essere generata dalla violazione di un’obbligazione o di un dovere preesistente: è nel binomio verbale obligation, riferito al contract, duty, riferito al tort, che si deve cogliere la linea di demarcazione tra le due forme di responsabilità civile. La casistica giurisprudenziale, soprattutto nel passato, anche in assenza di un rapporto contrattuale tra danneggiato e danneggiante ha utilizzato in via incrementale lo strumento della responsabilità contrattuale, ricorrendo alternativamente alla teoria degli implied terms o a quella dei collateral contracts, obbligando per questa via il convenuto ad assicurare standard di comportamento diligente nella conduzione di determinate attività (come è dimostrato dal caso De La Bere v. Pearson Ltd del 1908). Tuttavia, più spesso, la giurisprudenza inglese ha imboccato la strada inversa, che l’ha portata a rifugiarsi nel tort e nella relativa responsabilità allorché si è trovata di fronte a situazioni dannose reputate meritevoli di tutela, non precedute da un’obbligazione contrattuale diretta o collaterale, trasformando il law of torts in un talismano, così supponendo che ogni fatto generatore di un pregiudizio suscettibile di valutazione economica dovesse, comunque, indurre l’ordinamento ad apprestare misure di ristoro, a prescindere dalla natura di esso e dalla coerenza con le tradizionali figure di danni inflitti alla vita, all’integrità fisica, ai beni singoli del danneggiato. Questa tendenza ha trovato conferma nella risarcibilità, prima negata, del danno puramente economico in due fondamentali precedenti della House of Lords del 1964 e del 1995, rispettivamente i casi Hedley Byrne e White v. Jones. La Corte ha cercato di interpretare determinate relazioni umane, non definibili come contrattuali -data l’assenza di elementi essenziali del contract -, come se esse fossero equivalenti al contratto, con la conseguenza che, pur in assenza di un accordo contrattuale, la violazione del duty of care è stata ritenuta capace di generare gli stessi effetti dell’inadempimento contrattuale e, dunque, - in ultima analisi - di rendere risarcibili le perdite puramente economiche. Il fatto di aver calamitato in ambito tortious casi che reclamavano protezione risarcitoria e, quindi, di aver determinato l’incremento dello spettro dei torts e la rinuncia alla valorizzazione nelle fattispecie decise degli aspetti possibilmente evocativi di una responsabilità contrattuale, ha contribuito alla crisi della civil liability ed alla sua collocazione “at the crossroads”. Allo stesso modo, il diritto italiano ci offre una vicenda analoga: è possibile, infatti, riscontrare numerosi e ricorrenti tentativi di dare ristoro a nuove figure di danno attraverso il ricorso alla responsabilità aquiliana. Ancora una volta esemplare è il caso dei danni all’integrità del patrimonio. La tensione tra la volontà del legislatore - riluttante ad un riconoscimento generalizzato della protezione di tali perdite - e una giurisprudenza creativa - al contrario orientata ad accordare ristoro a tali danni - rappresenta un chiaro indizio della crisi della responsabilità per fatto illecito in diritto italiano. Conclusivamente, però, esistono sufficienti antidoti alla crisi della responsabilità civile. Il metodo che deve guidare l’interprete è quello della qualificazione delle fattispecie generative di responsabilità civile dal lato passivo nel diritto inglese (per cui risarcibile sarebbe solo il danno occasionato dalla violazione di un preesistente duty of care in capo al danneggiante) e dal lato attivo nel diritto italiano (per cui sarebbe risarcibile solo quel danno che rappresenta la violazione di un diritto o di una situazione soggettiva previamente attribuito al singolo). Può ragionevolmente auspicarsi che questa prospettiva, comune al diritto italiano e al diritto inglese, serva a far uscire entrambi dalle secche della crisi in cui questa indagine li colloca. There is a widespread opinion that the English law of torts is at the crossroads: eminent specialists have stated their concern in a most impressive way. This essay attempts to find out the reasons that have led to this criticism and, at the same time, purports to justify the same conclu¬sion in the Italian law of torts. In the first place, it is possible to trace throughout last century''s English legal history a tendency to make swift moves from one to the other systems of civil liability, that is from tort to contract, and, quite more often, viceversa. There have been particular cases where this interchangeability was due to the difficulty of putting into practice Winfield''s well known dividing line between contract and tort, according to which whereas both originate from a relevant, legal violation, the former takes the form of the breach of a binding promise and the latter is shaped into non-compliance with a duty primarily fixed by the law. But, judicial precedents have in the past allowed certain actions for the redress of damages accrued to the plaintiff outside any con¬tractual relationship by making alternative recourse to the doctrine of judicial implied terms or of collateral contracts, obliging the de¬fendant to take reasonable care in the conduction of certain busi¬nesses or activities (as is shown in the De La Bere v. Pearson 1908 case). But, most often, the interchange process between the two main sources of civil obligations, i. e. contract and tort, has quite worked the other way round, shifting towards tort, or to use two renowned legai scholars'' terminology, escaping into it, so converting the En¬glish law of torts into a talisman able to comprehend virtually all forms of relevant damages, whatever their nature and notwithstanding their lack of adherence to the traditional figures of harm inflicted to the life, integrity, goods of one person. This attitude has resulted in the apparent recognition of the hitherto denied protection of merely economic interests, as two fun¬damental decisions in the Hedley Byrne and White v. Jones cases, re¬spectively in 1964 and 1995, seem to demonstrate. It was clearly perceivable that the Courts tried to construe cer¬tain human relations, not directly definable as contracts for the lack of some of its essential elements, as if they were equivalent to con¬tracts, with the consequence that, although an agreement was míss¬ing, the violations of the duty of care were deemed to be capable of generating the same effects as breaches of contract were, so render¬ing pure economie loss recoverable. This, in the author''s opinion, has brought about uncertainty and criticism, and undermined the historical foundations of the law of torts as well. And in this escape into tortious territory seems to lie one plau¬sible explanation of why the law of torts looks to be standing at the crossroads. A potent analogy is established with the Italian law, where nu¬merous and so far persistent attempts have been made to open up the doors of legal redress, by way of the adfirmation of a tortious li¬ability, with regard to kinds of damages of an entirely novel charac¬ter, whose recognition and subsequent protection has been entirely left in the judge''s hands rather than in those of the legislator. The author sees in this tension between the legislator''s will, that seems reluctant to acknowledge certain types of damages (economic losses in the first place, once again), and judicial creativity of new forms of relevant damages a clear symptom of the similar crisis af¬fecting the Italian system in much the same way as the English one. One reason for hope is that civil liability is shaped and inter¬preted in such a manner as to give relief only when the harmful con¬duct complained of constitutes a specific violation of a duty fixed by the law in England or infringes a previously attributed individual right in Italy, so that duties are adfirmed and sanctioned before a right to be compensated is asserted.
2008
SERIO M (2008). La responsabilità civile e la stagione dei doveri. EUROPA E DIRITTO PRIVATO, 2, 401-422.
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