Il lavoro si prefigge di esplorare, utilizzando il metodo del raffronto comparatistico, la questione del possibile assoggettamento a responsabilità civile di coloro che svolgono funzioni giudiziarie in relazione agli atti posti in essere in tale contesto. Gli ordinamenti presi in considerazione sono l’inglese e l’italiano. Il fine perseguito attraverso la ricerca è di dimostrare che entrambi gli ordinamenti rifuggono da una presa di posizione radicale che indirizzi verso un regime assoluto di immunità da responsabilità o di affermazione di essa alla stessa stregua di quanto accade generalmente in materia di illeciti extracontrattuali. L’indagine procede prendendo separatamente in esame i due sistemi giuridici e perviene, infine, alla formulazione di una serie di conclusioni dalle quali emerge che essi conoscono forme combinate di responsabilità e di immunità da responsabilità giudiziali a seconda dei casi e, comunque, all’interno di una cornice di principii sia di origine giurisprudenziale (nel common law inglese) sia di fonte legislativa (nel diritto italiano). L’esperienza storica inglese insegna che quell’ordinamento ha sempre saputo adeguatamente valorizzare i profili di rilevanza costituzionale che ineriscono al tema trattato. In particolare, nel Regno Unito si è sottolineato, sin dal periodo, collocabile agli inizi del diciassettesimo secolo, in cui qualcuna delle parti processuali che lamentava l’emanazione ai propri danni di una sentenza ingiusta iniziava ad agire direttamente nei confronti del giudice che l’aveva emanata (non essendo percepita in quell’epoca la differenza basilare intercorrente tra la sentenza erronea e la responsabilità del relativo autore e tra il rimedio rescissorio e quello risarcitorio), che garantire agli appartenenti all’ordine giudiziario l’immunità da azioni civili per fatti ascrivibili all’esercizio della funzione significa tutelare la autonomia e ‘indipendenza del potere giudiziario, a beneficio di un’amministrazione affidabile della giustizia. Tuttavia, alla tradizione inglese, mantenutasi sostanzialmente salda fino al presente, è estranea l’idea della illimitatezza dell’immunità, che è stata piuttosto circoscritta alle categorie dei giudici appartenenti alle Corti di giustizia superiori (High Court, Court of Appeal, House of Lords e, oggi, Supreme Court) a condizione che l’atto della cui possibile responsabilità si tratta sia stato emesso nell’ambito del potere giurisdizionale in concreto conferito al singolo giudice. La garanzia è andata nel tempo estendendosi, nel presupposto della liceità dell’azione e del relativo svolgimento nell’appropriato contesto di competenza, anche a favore dei giudici di pace e di quelli delle corti inferiori. Di essenziale importanza si rivela a fini ricostruttivi la sentenza emessa dalla Court of Appeal nel 1974 nel caso Sirros v. Moore. Il saggio si sofferma sulla illustrazione dei principali contributi dottrinari espressi in materia e segnala come di recente alberghino sentimenti avversi ad un atteggiamento immunitario che non tenga adeguatamente conto delle esigenze dei cittadini: va, tuttavia, posto in rilievo che si tratta di posizioni diffuse principalmente in ordinamenti di common law diversi da quello inglese (australiano, neozelandese). Relativamente al diritto italiano, lo studio si incentra sulla ricognizione della giurisprudenza costituzionale del 1968 e sulle leggi 117 del 1988 e 18 del 2015 che hanno tratteggiato presupposti, limiti, condizioni dell’affermazione di responsabilità civile (non diretta dei magistrati, ma) dello Stato nei confronti dei cittadini danneggiati da un esercizio improprio (secondo le categorie della responsabilità aquiliana) delle funzioni giudiziarie. Molto vivace è ancora oggi il dibattito alla luce della contrapposizione di idee tra i difensori di una concezione tendente a sottrarre, in omaggio ai valori di autonomia ed indipendenza, gli appartenenti all’ordine giudiziario al comune circuito della responsabilità assimilabile a quella di cui all’art. 2043 cod. civ. e i propugnatori della incondizionata tutela dei diritti dei cittadini che si dolgano per la relativa compromissione causata da un’erronea amministrazione della giustizia. In conclusione, si formula l’opinione che dei due ordinamenti presi in considerazione (che, comunque, ignorano la scelta unilaterale di uno dei regimi in competizione: responsabilità contro immunità) quello inglese appaia più capace di garantire la prevalenza delle ipotesi in cui opera lo scudo protettivo dell’attività giudiziale.

Serio, (2017). Responsabilità o immunità giudiziale: studio comparatistico su un’apparente alternativa. IL GIUSTO PROCESSO CIVILE(2), 333-382.

Responsabilità o immunità giudiziale: studio comparatistico su un’apparente alternativa

SERIO, Mario
2017-01-01

Abstract

Il lavoro si prefigge di esplorare, utilizzando il metodo del raffronto comparatistico, la questione del possibile assoggettamento a responsabilità civile di coloro che svolgono funzioni giudiziarie in relazione agli atti posti in essere in tale contesto. Gli ordinamenti presi in considerazione sono l’inglese e l’italiano. Il fine perseguito attraverso la ricerca è di dimostrare che entrambi gli ordinamenti rifuggono da una presa di posizione radicale che indirizzi verso un regime assoluto di immunità da responsabilità o di affermazione di essa alla stessa stregua di quanto accade generalmente in materia di illeciti extracontrattuali. L’indagine procede prendendo separatamente in esame i due sistemi giuridici e perviene, infine, alla formulazione di una serie di conclusioni dalle quali emerge che essi conoscono forme combinate di responsabilità e di immunità da responsabilità giudiziali a seconda dei casi e, comunque, all’interno di una cornice di principii sia di origine giurisprudenziale (nel common law inglese) sia di fonte legislativa (nel diritto italiano). L’esperienza storica inglese insegna che quell’ordinamento ha sempre saputo adeguatamente valorizzare i profili di rilevanza costituzionale che ineriscono al tema trattato. In particolare, nel Regno Unito si è sottolineato, sin dal periodo, collocabile agli inizi del diciassettesimo secolo, in cui qualcuna delle parti processuali che lamentava l’emanazione ai propri danni di una sentenza ingiusta iniziava ad agire direttamente nei confronti del giudice che l’aveva emanata (non essendo percepita in quell’epoca la differenza basilare intercorrente tra la sentenza erronea e la responsabilità del relativo autore e tra il rimedio rescissorio e quello risarcitorio), che garantire agli appartenenti all’ordine giudiziario l’immunità da azioni civili per fatti ascrivibili all’esercizio della funzione significa tutelare la autonomia e ‘indipendenza del potere giudiziario, a beneficio di un’amministrazione affidabile della giustizia. Tuttavia, alla tradizione inglese, mantenutasi sostanzialmente salda fino al presente, è estranea l’idea della illimitatezza dell’immunità, che è stata piuttosto circoscritta alle categorie dei giudici appartenenti alle Corti di giustizia superiori (High Court, Court of Appeal, House of Lords e, oggi, Supreme Court) a condizione che l’atto della cui possibile responsabilità si tratta sia stato emesso nell’ambito del potere giurisdizionale in concreto conferito al singolo giudice. La garanzia è andata nel tempo estendendosi, nel presupposto della liceità dell’azione e del relativo svolgimento nell’appropriato contesto di competenza, anche a favore dei giudici di pace e di quelli delle corti inferiori. Di essenziale importanza si rivela a fini ricostruttivi la sentenza emessa dalla Court of Appeal nel 1974 nel caso Sirros v. Moore. Il saggio si sofferma sulla illustrazione dei principali contributi dottrinari espressi in materia e segnala come di recente alberghino sentimenti avversi ad un atteggiamento immunitario che non tenga adeguatamente conto delle esigenze dei cittadini: va, tuttavia, posto in rilievo che si tratta di posizioni diffuse principalmente in ordinamenti di common law diversi da quello inglese (australiano, neozelandese). Relativamente al diritto italiano, lo studio si incentra sulla ricognizione della giurisprudenza costituzionale del 1968 e sulle leggi 117 del 1988 e 18 del 2015 che hanno tratteggiato presupposti, limiti, condizioni dell’affermazione di responsabilità civile (non diretta dei magistrati, ma) dello Stato nei confronti dei cittadini danneggiati da un esercizio improprio (secondo le categorie della responsabilità aquiliana) delle funzioni giudiziarie. Molto vivace è ancora oggi il dibattito alla luce della contrapposizione di idee tra i difensori di una concezione tendente a sottrarre, in omaggio ai valori di autonomia ed indipendenza, gli appartenenti all’ordine giudiziario al comune circuito della responsabilità assimilabile a quella di cui all’art. 2043 cod. civ. e i propugnatori della incondizionata tutela dei diritti dei cittadini che si dolgano per la relativa compromissione causata da un’erronea amministrazione della giustizia. In conclusione, si formula l’opinione che dei due ordinamenti presi in considerazione (che, comunque, ignorano la scelta unilaterale di uno dei regimi in competizione: responsabilità contro immunità) quello inglese appaia più capace di garantire la prevalenza delle ipotesi in cui opera lo scudo protettivo dell’attività giudiziale.
2017
Serio, (2017). Responsabilità o immunità giudiziale: studio comparatistico su un’apparente alternativa. IL GIUSTO PROCESSO CIVILE(2), 333-382.
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