Tra gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso l’opera dei pupi2 , una delle forme simboliche più espressive e conosciute della cultura visuale tradizionale siciliana3 , sembrava scomparsa dallo scenario dell’isola. Erano anni in cui la diffusione capillare della televisione e del cinema, lo sconvolgimento urbanistico delle città e la frantumazione del tessuto sociale dei vicoli, dei borghi e dei quartieri poveri dove i teatrini prosperavano, toglievano sempre più spazio a questo modello di teatro popolare relegandolo a mero passatempo per turisti. Dei venticinque teatri presenti in Sicilia dei quali Giuseppe Pitrè4 dava testimonianza alla fine dell’800 (di cui nove solo nel capoluogo siciliano), nei primi anni Sessanta del ’900 a Palermo non ne restava aperto nemmeno uno. Di quel vasto ed eterogeneo repertorio di pupi, nel cui DNA si leggevano i caratteri eterogenei ereditati dalla letteratura epico-cavalleresca5 , dal registro performativo della danza con le spade, dalle maschere dei riti di inizio d’anno e delle nuove fasi stagionali, dal Carnevale, dalla Settimana Santa, dalle feste di maggio e di mezz’agosto, dalle rappresentazioni di argomento cavalleresco del teatro con attori viventi6 , dai cunti dei contastorie7 e, in generale, dal teatro delle marionette, non rimaneva più traccia in quei luoghi subalterni della città che fino ad allora ne avevano consentito la messa in scena e la fruizione. Quel bricolage genetico quale era il teatro dei pupi sembrava proprio essere destinato a sparire, soffocato dai prodotti dell’«industria culturale» 8 , da quella società dello spettacolo9 affascinata dal «teatro delle cose» che pareva volere chiudere definitivamente il sipario dell’opera. Eppure, proprio mentre sembrava eclissarsi, l’opera dei pupi ha riattivato il suo metabolismo, ha cioè avuto nuovi sviluppi, trasformazioni e adattamenti che gli hanno permesso di sopravvivere, di riaffermarsi, di (ri)situarsi e (ri)appropriarsi di altri spazi dove tornare a esprimersi. Ma quali azioni ne hanno permesso la rinascita? Quali spazi occupa il teatro dei pupi nella contemporaneità palermitana? Quale futuro si intravede o è possibile immaginare per questa forma tradizionale di teatro di figura?
Di Maggio, F. (2018). LO SPAZIO DEI PUPI A PALERMO. L’OPRA TRA PERFORMANCE E METAETEROTOPIA. In S. Borvitz (a cura di), Metabolismo e spazio simbolico. Paradigmi mediali della Sicilia contemporanea. Napoli - Salerno : Orthotes edizioni.
LO SPAZIO DEI PUPI A PALERMO. L’OPRA TRA PERFORMANCE E METAETEROTOPIA
DI MAGGIO, Fabiola
2018-01-01
Abstract
Tra gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso l’opera dei pupi2 , una delle forme simboliche più espressive e conosciute della cultura visuale tradizionale siciliana3 , sembrava scomparsa dallo scenario dell’isola. Erano anni in cui la diffusione capillare della televisione e del cinema, lo sconvolgimento urbanistico delle città e la frantumazione del tessuto sociale dei vicoli, dei borghi e dei quartieri poveri dove i teatrini prosperavano, toglievano sempre più spazio a questo modello di teatro popolare relegandolo a mero passatempo per turisti. Dei venticinque teatri presenti in Sicilia dei quali Giuseppe Pitrè4 dava testimonianza alla fine dell’800 (di cui nove solo nel capoluogo siciliano), nei primi anni Sessanta del ’900 a Palermo non ne restava aperto nemmeno uno. Di quel vasto ed eterogeneo repertorio di pupi, nel cui DNA si leggevano i caratteri eterogenei ereditati dalla letteratura epico-cavalleresca5 , dal registro performativo della danza con le spade, dalle maschere dei riti di inizio d’anno e delle nuove fasi stagionali, dal Carnevale, dalla Settimana Santa, dalle feste di maggio e di mezz’agosto, dalle rappresentazioni di argomento cavalleresco del teatro con attori viventi6 , dai cunti dei contastorie7 e, in generale, dal teatro delle marionette, non rimaneva più traccia in quei luoghi subalterni della città che fino ad allora ne avevano consentito la messa in scena e la fruizione. Quel bricolage genetico quale era il teatro dei pupi sembrava proprio essere destinato a sparire, soffocato dai prodotti dell’«industria culturale» 8 , da quella società dello spettacolo9 affascinata dal «teatro delle cose» che pareva volere chiudere definitivamente il sipario dell’opera. Eppure, proprio mentre sembrava eclissarsi, l’opera dei pupi ha riattivato il suo metabolismo, ha cioè avuto nuovi sviluppi, trasformazioni e adattamenti che gli hanno permesso di sopravvivere, di riaffermarsi, di (ri)situarsi e (ri)appropriarsi di altri spazi dove tornare a esprimersi. Ma quali azioni ne hanno permesso la rinascita? Quali spazi occupa il teatro dei pupi nella contemporaneità palermitana? Quale futuro si intravede o è possibile immaginare per questa forma tradizionale di teatro di figura?File | Dimensione | Formato | |
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