Gli Ottanta sono anche gli anni della pubblicazione di Between Theatre and Anthropogy (1985) di Schechner, ed dell’insorgere graduale di una posizione critica nei riguardi del testo drammatico e delle pratiche tradizionali di recitazione da parte della storiografia teatrale europea. Si assiste a spettacoli che presentano testi snaturati dalla dualità drammaturgica della tesi e dell’antitesi, e attori che prediligono alla recitazione tradizionale del testo virtuosismi di vocalità afasiche e suoni disarticolati, ispirati ai processi socio-psico-antropologici più disparati. I più, in Italia, focalizzano il loro interesse sulle proposte teatrali allineate con l’estetica del ‘terzo teatro’ enunciata da Eugenio Barba nel suo Al di là delle isole galleggianti, anch’esso pubblicato nel 1985, e che trova un terreno pronto ad elaborarne la recezione, grazie alla diffusione del testo teorico Per un teatro povero [Towards a Poor Theatre, 1968] di Jerzy Grotowski tradotto in italiano nel 1970. Già sul finire degli anni Sessanta il Living Theatre di Julian Beck e Judith Malina aveva emancipato il gusto teatrale dalla tradizione di ascendenza naturalistica, divenendo per tutte le avanguardie italiane ed europee una guida illuminante. Gli spettacoli Frankenstein del 1965 e Paradise Now del 1968, scrive ancora De Marinis, diventano l’emblema del teatro che si riappropria della sua funzione politica, e il grido di Beck in Paradise Now «l’arte sostenuta dall’establishment è sfruttamento» assume il carattere di un leitmotiv che sosterrà le contestazioni giovanili e la ricerca del cosiddetto “nuovo teatro” . È difficile individuare quanta traccia della contestazione del Living emerga ancora nel teatro post-drammatico di fine Novecento, e in modo particolare nel lavoro degli artisti, di cui si è discusso nella sessione del Convegno. Il fatto è, che, nell’ultimo ventennio del Novecento ad oggi, la transculturalità dei generi letterari e artistici ha influenzato gli studi teatrali, fino a mutarne gradualmente gli obiettivi. Così le funzioni dello spettacolo, seppure ricercate negli elementi tradizionali dell’arte scenica, attore, danzatore, elementi sonori, spazio, spettatore, testo, vengono ricavate da precetti filosofici, antropologici, psicoanalitici, sociali, gender e trans-gender, e sempre meno si è teso ad esplorare il contesto politico in cui il teatro agisce, e le pratiche di cui il teatro si serve per interpretare o denunciare conflitti, soprusi, disagi culturali e sociali. Una progressiva diminuzione dell’uso del termine rappresentazione e un uso più frequente del termine performance avrebbe generato anche sostanziali equivoci non solo di natura semantica ma anche di natura semiotica.
Sica, A. (2017). Ma Schechner c'è? Processi di teatralità. In M. Cassarà (a cura di), Al di là di un concetto visibile Teatro & e teatralità: musica, poesia, recitazione (pp. 229-254). Bagheria-Palermo : Plumelia-Edizioni.
Ma Schechner c'è? Processi di teatralità
SICA, Anna
2017-01-01
Abstract
Gli Ottanta sono anche gli anni della pubblicazione di Between Theatre and Anthropogy (1985) di Schechner, ed dell’insorgere graduale di una posizione critica nei riguardi del testo drammatico e delle pratiche tradizionali di recitazione da parte della storiografia teatrale europea. Si assiste a spettacoli che presentano testi snaturati dalla dualità drammaturgica della tesi e dell’antitesi, e attori che prediligono alla recitazione tradizionale del testo virtuosismi di vocalità afasiche e suoni disarticolati, ispirati ai processi socio-psico-antropologici più disparati. I più, in Italia, focalizzano il loro interesse sulle proposte teatrali allineate con l’estetica del ‘terzo teatro’ enunciata da Eugenio Barba nel suo Al di là delle isole galleggianti, anch’esso pubblicato nel 1985, e che trova un terreno pronto ad elaborarne la recezione, grazie alla diffusione del testo teorico Per un teatro povero [Towards a Poor Theatre, 1968] di Jerzy Grotowski tradotto in italiano nel 1970. Già sul finire degli anni Sessanta il Living Theatre di Julian Beck e Judith Malina aveva emancipato il gusto teatrale dalla tradizione di ascendenza naturalistica, divenendo per tutte le avanguardie italiane ed europee una guida illuminante. Gli spettacoli Frankenstein del 1965 e Paradise Now del 1968, scrive ancora De Marinis, diventano l’emblema del teatro che si riappropria della sua funzione politica, e il grido di Beck in Paradise Now «l’arte sostenuta dall’establishment è sfruttamento» assume il carattere di un leitmotiv che sosterrà le contestazioni giovanili e la ricerca del cosiddetto “nuovo teatro” . È difficile individuare quanta traccia della contestazione del Living emerga ancora nel teatro post-drammatico di fine Novecento, e in modo particolare nel lavoro degli artisti, di cui si è discusso nella sessione del Convegno. Il fatto è, che, nell’ultimo ventennio del Novecento ad oggi, la transculturalità dei generi letterari e artistici ha influenzato gli studi teatrali, fino a mutarne gradualmente gli obiettivi. Così le funzioni dello spettacolo, seppure ricercate negli elementi tradizionali dell’arte scenica, attore, danzatore, elementi sonori, spazio, spettatore, testo, vengono ricavate da precetti filosofici, antropologici, psicoanalitici, sociali, gender e trans-gender, e sempre meno si è teso ad esplorare il contesto politico in cui il teatro agisce, e le pratiche di cui il teatro si serve per interpretare o denunciare conflitti, soprusi, disagi culturali e sociali. Una progressiva diminuzione dell’uso del termine rappresentazione e un uso più frequente del termine performance avrebbe generato anche sostanziali equivoci non solo di natura semantica ma anche di natura semiotica.File | Dimensione | Formato | |
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