Tra i lavori che possono capitare a un progettista grafico il marchio è senz’altro uno dei più stimolanti. È come scrivere un testo arguto che raccoglie l’essenza di qualcosa e la rende immediatamente accessibile. Non è facile, o meglio non è facile prima di essere difficile, perché, come insegna Bruno Munari: «semplificare è un lavoro difficile ed esige molta creatività. Complicare è molto più facile, basta aggiungere tutto quello che ci viene in mente» . È possibile allora definire la formula del successo d’un marchio? A quanto pare, no, purtroppo o per fortuna. Sarebbe troppo facile, e il marchio – dicevamo – è difficile. Un punto fermo – o per lo meno un buon punto di vista – per la progettazione di un buon marchio forse c’è; non è una regola assoluta né tanto meno una formula matematica; è piuttosto un approccio sensato, anzi puro buon senso applicato al progetto grafico: la forma del marchio deve essere semplice. Di più. Deve essere quanto più semplice possibile, oltre che riconoscibile e memorabile. Ciò significa che, se per semplificare bisogna rimuovere di un pezzo di comunicazione necessaria, allora conviene fermarsi e fare un passo indietro. Del resto, basta guardarsi intorno per verificare quest’affermazione: i marchi migliori, quelli che tutti ricordano, capaci di trapanare il muro del tempo, sono invariabilmente semplici: una stilizzazione dell’idea come lo swoosh Nike o una schematizzazione della cosa come la conchiglia Shell. Per esemplificare il ragionamento, in questa breve nota, descrivo due marchi che ho contribuito a sviluppare, uno come tutor di un workshop universitario sulla Genesi di un’immagine (giugno-novembre 2015), per l’Associazione Italiana Studenti di Architettura (AISA), e l’altro come relatore della Tesi di Laurea di Gabriele D’Asaro sulle Identità dinamiche (Corso di Studi in Disegno industriale, 2013), nel Dipartimento di Architettura di Palermo.
Russo, D. (2018). Progettare un marchio | Dalla reiterazione assoluta al processo genetico. In D. Russo (a cura di), Sicilia InForma | 2014-2018 Quattro anni di design insulare. Palermo : Palermo University Press.
Progettare un marchio | Dalla reiterazione assoluta al processo genetico
RUSSO, Dario
2018-01-01
Abstract
Tra i lavori che possono capitare a un progettista grafico il marchio è senz’altro uno dei più stimolanti. È come scrivere un testo arguto che raccoglie l’essenza di qualcosa e la rende immediatamente accessibile. Non è facile, o meglio non è facile prima di essere difficile, perché, come insegna Bruno Munari: «semplificare è un lavoro difficile ed esige molta creatività. Complicare è molto più facile, basta aggiungere tutto quello che ci viene in mente» . È possibile allora definire la formula del successo d’un marchio? A quanto pare, no, purtroppo o per fortuna. Sarebbe troppo facile, e il marchio – dicevamo – è difficile. Un punto fermo – o per lo meno un buon punto di vista – per la progettazione di un buon marchio forse c’è; non è una regola assoluta né tanto meno una formula matematica; è piuttosto un approccio sensato, anzi puro buon senso applicato al progetto grafico: la forma del marchio deve essere semplice. Di più. Deve essere quanto più semplice possibile, oltre che riconoscibile e memorabile. Ciò significa che, se per semplificare bisogna rimuovere di un pezzo di comunicazione necessaria, allora conviene fermarsi e fare un passo indietro. Del resto, basta guardarsi intorno per verificare quest’affermazione: i marchi migliori, quelli che tutti ricordano, capaci di trapanare il muro del tempo, sono invariabilmente semplici: una stilizzazione dell’idea come lo swoosh Nike o una schematizzazione della cosa come la conchiglia Shell. Per esemplificare il ragionamento, in questa breve nota, descrivo due marchi che ho contribuito a sviluppare, uno come tutor di un workshop universitario sulla Genesi di un’immagine (giugno-novembre 2015), per l’Associazione Italiana Studenti di Architettura (AISA), e l’altro come relatore della Tesi di Laurea di Gabriele D’Asaro sulle Identità dinamiche (Corso di Studi in Disegno industriale, 2013), nel Dipartimento di Architettura di Palermo.File | Dimensione | Formato | |
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