Dalla vicenda personale di Beijer, divenuto in seguito al ritrovamento di Drottningholm professore di Storia del Teatro dell’Università di Stoccolma, e fondatore del primo dipartimento di studi teatrali in Scandinavia nel 1946, prende il via una indagine sulle condizioni storiche e fatti artistici che determinarono i diversi tipi di rappresentazione e, anche, di recitazione, diffusisi nella seconda metà del diciottesimo secolo e, in modo particolare, sulla scena di Drottningholm. In The Theatre of Drottningholm – Then and Now emerge in maniera evidente come uno degli obiettivi degli autori sia quello di raccogliere e trasmettere l’eredità degli studi teatrali scandinavi, ma il fine primario del lavoro è affidato allo studio che mette a confronto, da angolazioni differenti, le contaminazioni possibili tra pratiche teatrali del passato e del presente. La domanda sulla quale si interroga Sauter riguarda la congruità dei lavori di restauro e di conservazione di Drottningholm: se il teatro sia stato ripristinato nella sua forma originale, o se invece sia stato alterato, e in che misura. Wiles esplora quale tipologia di recitazione e d’inscenamento si possa produrre oggi a Drottningholm, ma soprattutto pone l’attenzione su una questione nodale, e cioè se le quinte restaurate possano considerarsi autentiche, e se dunque quella di oggi è la stessa prospettiva percepita dal pubblico di corte dell’Illuminato Re Gustavo III. All’analisi delle dinamiche prospettiche del palcoscenico elaborate da Sauter, Wiles affianca una riflessione sulla compatibilità degli spettacoli contemporanei con l’assetto settecentesco del palcoscenico, esplorando le tipologie di recitazione che il teatro può accogliere, e sottoponendo, in questo modo, ogni dettaglio riguardante la scena di Drottningholm ad una indagine più ampia, che investe punti focali della storiografia teatrale. Lo studio sul rapporto tra recitazione e il concetto di autenticità, in contrasto con quello della verosimiglianza aristotelica, è l’aspetto più coinvolgente della trattazione di Wiles. Egli infatti propone la tesi secondo la quale lo stile onirico della scena e dei testi barocchi esemplificano il concetto di autenticità del teatro settecentesco nella resa verosimile della prospettiva scenica, e che questa risulta pertinente al racconto del ‘vero’ nel contesto culturale e politico del teatro di corte. Il problema da risolvere per entrambi gli autori è legato alla cellula germinale del paradosso antico sul teatro: quanto può servire essere autentici sulla scena, che in generale è un’apparizione del vero? Ma l’enigma sembra letteralmente sciogliersi e riavvolgersi sulla scena ritrovata di Drottningholm. L’elemento più importante legato alla scoperta di Beijer è infatti l’unità delle quinte dipinte a sfondo marmoreo con l’ illusione prospettica, che era stata progettata dall’architetto Carl Fredrick Adelcrantz, e che si è conservata praticamente integra. Le fughe prospettiche della scena, così come la platea, in parte ricalcano il teatro di corte di Bayreuth, inaugurato nel 1748 e progettato da Giuseppe e Carlo Galli-Bibiena. Sauter sottolinea anche che la scoperta di Beijer ha portato alla luce non soltanto uno dei pochi teatri di corte di età barocca meglio conservati, testimonianza della capillare diffusione del teatro all’italiana in Europa, ma anche che il Teatro era divenuto un organo di propaganda politica alla corte del re di Svezia. Il re Gustano III, da giovane, era stato introdotto all’arte scenica dalla madre, la regina di Svezia Lovisa Ulrika, sorella di Federico il Grande di Prussia: essa aveva fatto costruire il teatro di Drottningholm nel 1762 per rimpiazzare il vecchio teatro in legno bruciato durante uno spettacolo e ospitare la compagnia di attori francesi che lei stessa aveva costituito. Gustavo III fece edificare anche il teatro di corte di Gripsholm nel 1773 e il Reale Teatro d’Opera nel 1782; aveva formato la compagnia nazionale del teatro d’Opera già nel 1773, un anno dopo l’inizio del suo regno, che si concluse con il suo assassinio durante un ballo in maschera al Reale Teatro d’Opera nel 1792. Ed è in quell’anno che il teatro di corte di Drottningholm venne chiuso, pare proprio a causa della tragica morte del suo patron. Continuò però ad essere utilizzato come sala per concerti, ma furono dismesse le quinte e le macchine sceniche. In questo modo gran parte dell’apparato scenografico originale riuscì a preservarsi. Beijer lo ritrovò sotto una fitta coltre di polvere, e riuscì a recuperare anche alcuni dei pezzi che, nel corso degli anni e in varie occasioni, erano stati portati altrove. Il teatro nel suo assetto settecentesco fu riaperto nel 1922 ma poté iniziare una vera e propria stagione a partire dal 1950

SICA, A. (2016). «The Theatre of Drottningholm – Then and Now: Performances between the 18th and 21st Centuries». BIBLIOTECA TEATRALE(BT 113-114, annata 2015), 191-193.

«The Theatre of Drottningholm – Then and Now: Performances between the 18th and 21st Centuries»

SICA, Anna
2016-01-01

Abstract

Dalla vicenda personale di Beijer, divenuto in seguito al ritrovamento di Drottningholm professore di Storia del Teatro dell’Università di Stoccolma, e fondatore del primo dipartimento di studi teatrali in Scandinavia nel 1946, prende il via una indagine sulle condizioni storiche e fatti artistici che determinarono i diversi tipi di rappresentazione e, anche, di recitazione, diffusisi nella seconda metà del diciottesimo secolo e, in modo particolare, sulla scena di Drottningholm. In The Theatre of Drottningholm – Then and Now emerge in maniera evidente come uno degli obiettivi degli autori sia quello di raccogliere e trasmettere l’eredità degli studi teatrali scandinavi, ma il fine primario del lavoro è affidato allo studio che mette a confronto, da angolazioni differenti, le contaminazioni possibili tra pratiche teatrali del passato e del presente. La domanda sulla quale si interroga Sauter riguarda la congruità dei lavori di restauro e di conservazione di Drottningholm: se il teatro sia stato ripristinato nella sua forma originale, o se invece sia stato alterato, e in che misura. Wiles esplora quale tipologia di recitazione e d’inscenamento si possa produrre oggi a Drottningholm, ma soprattutto pone l’attenzione su una questione nodale, e cioè se le quinte restaurate possano considerarsi autentiche, e se dunque quella di oggi è la stessa prospettiva percepita dal pubblico di corte dell’Illuminato Re Gustavo III. All’analisi delle dinamiche prospettiche del palcoscenico elaborate da Sauter, Wiles affianca una riflessione sulla compatibilità degli spettacoli contemporanei con l’assetto settecentesco del palcoscenico, esplorando le tipologie di recitazione che il teatro può accogliere, e sottoponendo, in questo modo, ogni dettaglio riguardante la scena di Drottningholm ad una indagine più ampia, che investe punti focali della storiografia teatrale. Lo studio sul rapporto tra recitazione e il concetto di autenticità, in contrasto con quello della verosimiglianza aristotelica, è l’aspetto più coinvolgente della trattazione di Wiles. Egli infatti propone la tesi secondo la quale lo stile onirico della scena e dei testi barocchi esemplificano il concetto di autenticità del teatro settecentesco nella resa verosimile della prospettiva scenica, e che questa risulta pertinente al racconto del ‘vero’ nel contesto culturale e politico del teatro di corte. Il problema da risolvere per entrambi gli autori è legato alla cellula germinale del paradosso antico sul teatro: quanto può servire essere autentici sulla scena, che in generale è un’apparizione del vero? Ma l’enigma sembra letteralmente sciogliersi e riavvolgersi sulla scena ritrovata di Drottningholm. L’elemento più importante legato alla scoperta di Beijer è infatti l’unità delle quinte dipinte a sfondo marmoreo con l’ illusione prospettica, che era stata progettata dall’architetto Carl Fredrick Adelcrantz, e che si è conservata praticamente integra. Le fughe prospettiche della scena, così come la platea, in parte ricalcano il teatro di corte di Bayreuth, inaugurato nel 1748 e progettato da Giuseppe e Carlo Galli-Bibiena. Sauter sottolinea anche che la scoperta di Beijer ha portato alla luce non soltanto uno dei pochi teatri di corte di età barocca meglio conservati, testimonianza della capillare diffusione del teatro all’italiana in Europa, ma anche che il Teatro era divenuto un organo di propaganda politica alla corte del re di Svezia. Il re Gustano III, da giovane, era stato introdotto all’arte scenica dalla madre, la regina di Svezia Lovisa Ulrika, sorella di Federico il Grande di Prussia: essa aveva fatto costruire il teatro di Drottningholm nel 1762 per rimpiazzare il vecchio teatro in legno bruciato durante uno spettacolo e ospitare la compagnia di attori francesi che lei stessa aveva costituito. Gustavo III fece edificare anche il teatro di corte di Gripsholm nel 1773 e il Reale Teatro d’Opera nel 1782; aveva formato la compagnia nazionale del teatro d’Opera già nel 1773, un anno dopo l’inizio del suo regno, che si concluse con il suo assassinio durante un ballo in maschera al Reale Teatro d’Opera nel 1792. Ed è in quell’anno che il teatro di corte di Drottningholm venne chiuso, pare proprio a causa della tragica morte del suo patron. Continuò però ad essere utilizzato come sala per concerti, ma furono dismesse le quinte e le macchine sceniche. In questo modo gran parte dell’apparato scenografico originale riuscì a preservarsi. Beijer lo ritrovò sotto una fitta coltre di polvere, e riuscì a recuperare anche alcuni dei pezzi che, nel corso degli anni e in varie occasioni, erano stati portati altrove. Il teatro nel suo assetto settecentesco fu riaperto nel 1922 ma poté iniziare una vera e propria stagione a partire dal 1950
2016
SICA, A. (2016). «The Theatre of Drottningholm – Then and Now: Performances between the 18th and 21st Centuries». BIBLIOTECA TEATRALE(BT 113-114, annata 2015), 191-193.
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