Salvo Licata, morto nel 2000, era nato nel 1937 a Palermo, dove trascorse tutta la sua vita. Giornalista e scrittore fu uno degli intellettuali di maggiore rilievo negli anni più difficili dell’antimafia. Per analizzare e concettualizzare correttamente la sua drammaturgia è necessario che si esplori la sua intensa attività letteraria, giornalistica e politica. Cercò nel lirismo della tradizione popolare la misura e il modo per denunciare le barbarie mafiose che attanagliavano le classi sociali emarginate della città di Palermo, a sua volta emarginata dal contesto nazionale ed europeo per effetto di quel ‘male mafioso’ che appariva endemico. È stato il padre del rinnovamento del teatro siciliano dell’ultimo Novecento, al quale si ispirò in modo particolare anche Franco Scaldati (1943-2013), il cui debito artistico nei confronti del giornalista-drammaturgo è di notevole consistenza. Altri, come Daniele Ciprì, Franco Maresco, Emma Dante si possono annoverare tra gli epigoni minori dell’estetica dell’emarginazione teorizzata e proposta da Licata. Nella prima edizione dello spettacolo Peppe Schiera, che debuttò nel marzo del 1967 sul palcoscenico del Cabaret dei Travaglini, Licata fece rivivere il teatro emarginato e dimenticato dell’ultimo guitto di strada palermitano -morto nei bombardamenti del ’43 - e con esso il degrado morale e sociale delle classi emarginate dei quartieri poveri della città, di cui narrava le vicissitudini tristissime e i soprusi dei potenti e del potere, raccontate seguendo il registro sarcastico e ironico dei commedianti dell'Arte. Licata aveva ritrovato alcune invettive di Schiera, e affidò queste all’interpretazione di un attore improvvisato, Giorgio Li Bassi. Da allora, Peppe Schiera divenne l’emblema del teatro politico dei Travaglini di Licata, sancendo in questo modo l’avvio della rinascita in chiave colta della tradizione orale del teatro siciliano vernacolare, dal quale Licata ricavò successivamente forme e lingue per la sua drammaturgia. Il recupero di quello che era confluito dell’Improvvisa siciliana nella tradizione orale, diventa il programma artistico e culturale di Licata. Del resto, il nome scelto per il piccolo teatro di via XX Settembre dichiara in maniera esplicita il legame del Cabaret di Licata con la tradizione delle vastasate. I Travaglini erano stati infatti un’antica famiglia di commedianti che nel 1718 aveva allestito il suo teatro, un casotto in legno, nella piazza che prese il nome di Vincenzo Bellini e che allora era conosciuta con il nome di Piano della Martorana, dove oggi sorge il teatro Bellini. Nel teatro dei primi Travaglini si esibivano anche guitti, stornellatori anti clericali e anti governativi, sopravvissuti alle persecuzioni della Santa Inquisizione.Il genere della vastasata, che va inscritto nella tradizione della Commedia dell’Arte, era interpretato da tipi di servi, detti vastasi,che inscenavano a soggetto secondo i canoni dell’Improvvisa. Le vastasate godettero di straordinaria fioritura e popolarità nel Diciassettesimo e Diciottesimo secolo: nel tardo Settecento assunsero il carattere di commedie per esteso o farse. La prima vastasata per esteso che ci è stata tramandata è la farsetta di Li palermitani in festa scritta da Giovanni Meli nel 1798. Sul micro-palcoscenico di tre metri per quattro dei nuovi Travaglini, davanti ad una platea costituita da cinquanta posti, Licata e i suoi compagni di scena sparavano a zero, un po’ cantando e un po’ recitando, sui padroni della città. Raccontavano della povera gente, dei quartieri pieni di dolorosa e abbandonata umanità. Il gruppo si esibì ripetutamente anche ai comizi del PCI, e in poco tempo il Cabaret di Licata divenne punto di riferimento dell’upper class comunista della città e dei filodrammatici alternativi. Il poeta della ‘mala panormita’ aderì al contesto politico della cultura di sinistra, che professava il recupero dei regionalismi, pianificando un programma di valorizzazione delle tradizioni folk-popolari rintracciabili ancora nelle periferie inseguito allo spopolamento delle zone rurali e il processo di industrializzazione del Paese.
Sica A. (2016). Poesia e politica nella drammaturgia di Salvo Licata. BIBLIOTECA TEATRALE(113-114), 147-159.
Poesia e politica nella drammaturgia di Salvo Licata
SICA, Anna
2016-01-01
Abstract
Salvo Licata, morto nel 2000, era nato nel 1937 a Palermo, dove trascorse tutta la sua vita. Giornalista e scrittore fu uno degli intellettuali di maggiore rilievo negli anni più difficili dell’antimafia. Per analizzare e concettualizzare correttamente la sua drammaturgia è necessario che si esplori la sua intensa attività letteraria, giornalistica e politica. Cercò nel lirismo della tradizione popolare la misura e il modo per denunciare le barbarie mafiose che attanagliavano le classi sociali emarginate della città di Palermo, a sua volta emarginata dal contesto nazionale ed europeo per effetto di quel ‘male mafioso’ che appariva endemico. È stato il padre del rinnovamento del teatro siciliano dell’ultimo Novecento, al quale si ispirò in modo particolare anche Franco Scaldati (1943-2013), il cui debito artistico nei confronti del giornalista-drammaturgo è di notevole consistenza. Altri, come Daniele Ciprì, Franco Maresco, Emma Dante si possono annoverare tra gli epigoni minori dell’estetica dell’emarginazione teorizzata e proposta da Licata. Nella prima edizione dello spettacolo Peppe Schiera, che debuttò nel marzo del 1967 sul palcoscenico del Cabaret dei Travaglini, Licata fece rivivere il teatro emarginato e dimenticato dell’ultimo guitto di strada palermitano -morto nei bombardamenti del ’43 - e con esso il degrado morale e sociale delle classi emarginate dei quartieri poveri della città, di cui narrava le vicissitudini tristissime e i soprusi dei potenti e del potere, raccontate seguendo il registro sarcastico e ironico dei commedianti dell'Arte. Licata aveva ritrovato alcune invettive di Schiera, e affidò queste all’interpretazione di un attore improvvisato, Giorgio Li Bassi. Da allora, Peppe Schiera divenne l’emblema del teatro politico dei Travaglini di Licata, sancendo in questo modo l’avvio della rinascita in chiave colta della tradizione orale del teatro siciliano vernacolare, dal quale Licata ricavò successivamente forme e lingue per la sua drammaturgia. Il recupero di quello che era confluito dell’Improvvisa siciliana nella tradizione orale, diventa il programma artistico e culturale di Licata. Del resto, il nome scelto per il piccolo teatro di via XX Settembre dichiara in maniera esplicita il legame del Cabaret di Licata con la tradizione delle vastasate. I Travaglini erano stati infatti un’antica famiglia di commedianti che nel 1718 aveva allestito il suo teatro, un casotto in legno, nella piazza che prese il nome di Vincenzo Bellini e che allora era conosciuta con il nome di Piano della Martorana, dove oggi sorge il teatro Bellini. Nel teatro dei primi Travaglini si esibivano anche guitti, stornellatori anti clericali e anti governativi, sopravvissuti alle persecuzioni della Santa Inquisizione.Il genere della vastasata, che va inscritto nella tradizione della Commedia dell’Arte, era interpretato da tipi di servi, detti vastasi,che inscenavano a soggetto secondo i canoni dell’Improvvisa. Le vastasate godettero di straordinaria fioritura e popolarità nel Diciassettesimo e Diciottesimo secolo: nel tardo Settecento assunsero il carattere di commedie per esteso o farse. La prima vastasata per esteso che ci è stata tramandata è la farsetta di Li palermitani in festa scritta da Giovanni Meli nel 1798. Sul micro-palcoscenico di tre metri per quattro dei nuovi Travaglini, davanti ad una platea costituita da cinquanta posti, Licata e i suoi compagni di scena sparavano a zero, un po’ cantando e un po’ recitando, sui padroni della città. Raccontavano della povera gente, dei quartieri pieni di dolorosa e abbandonata umanità. Il gruppo si esibì ripetutamente anche ai comizi del PCI, e in poco tempo il Cabaret di Licata divenne punto di riferimento dell’upper class comunista della città e dei filodrammatici alternativi. Il poeta della ‘mala panormita’ aderì al contesto politico della cultura di sinistra, che professava il recupero dei regionalismi, pianificando un programma di valorizzazione delle tradizioni folk-popolari rintracciabili ancora nelle periferie inseguito allo spopolamento delle zone rurali e il processo di industrializzazione del Paese.File | Dimensione | Formato | |
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