L’intenzione alla base della mia proposta teorica, che ho definito appunto “il medium come habitat”, è quella di riattualizzare la questione della medialità in relazione ad un habitat che non deve essere esclusivamente inteso come ambiente naturale (quello dell’ecologia) o come ambiente sociale (dell’antropologia o della sociologia). L’habitat piuttosto è da considerarsi come un campo esperienziale attraversato e definito da relazioni in continuo divenire, radicate in primo luogo nel rapporto sensibile e affettivo, estetico che mette in comunicazione tra loro i vari elementi, e questi ultimi con l’habitat che essi popolano. Le strategie di organizzazione e attribuzione di senso alla realtà – e le conseguenti modalità del conoscere e dell’agire – non derivano pertanto da particolari facoltà cognitive o da determinati aspetti oggettuali, bensì sono connesse alle potenzialità di queste relazioni estetiche. Di conseguenza, si può affermare che la realtà è sempre mediata, ma non da oggetti né tantomeno dall’attività razionale umana, ma dalle relazioni sensibili e affettive che costituiscono l’habitat, uno spazio fenomenico in cui il soggetto e l’oggetto si co-definiscono attraverso un coinvolgimento e una interazione reciproci. Come mostrerò, la medialità non è una proprietà dei “corpi” – umani e non umani – degli elementi che popolano un ambiente, ma è una facoltà che potenzialmente può abitare tutto ciò che è in grado di permettere alla sensibilità di ogni fenomeno di emergere in questo tessuto esperienziale. Medium e habitat sono quindi da intendersi reciprocamente e indissolubilmente, poiché, là dove non c’è possibilità di manifestazione sensibile, non è possibile instaurare relazioni che consentano di interagire con il mondo e le sue cose, ovvero per farne un’esperienza sensata. Attraverso una ricognizione archeologica delle tecniche della visione dell’Età Moderna e dei modelli da esse scaturite, proseguirò nell’analisi della relazione tra spettatore e medium cinematografico, concentrandomi sulla sua dimensione sensibile e percettiva, fondamento esplicito delle esperienze del cinema underground e dell’Expanded Cinema. Queste riflessioni saranno poi messe in tensione con la produzione artistica del Light & Space Movement, e in particolare con le opere di James Turrell, evidenziando quegli aspetti che fanno della situazione ambientale il luogo e il mezzo nel quale la manifestazione fenomenica dell’oggetto incontra la percezione sensibile dello spettatore.

Gambaro, G.Il Medium come Habitat. Tecnologia e sensibilità nell'esperienza artistica dell’Expanded Cinema e del Light & Space Movement..

Il Medium come Habitat. Tecnologia e sensibilità nell'esperienza artistica dell’Expanded Cinema e del Light & Space Movement.

Gambaro, Gabriele

Abstract

L’intenzione alla base della mia proposta teorica, che ho definito appunto “il medium come habitat”, è quella di riattualizzare la questione della medialità in relazione ad un habitat che non deve essere esclusivamente inteso come ambiente naturale (quello dell’ecologia) o come ambiente sociale (dell’antropologia o della sociologia). L’habitat piuttosto è da considerarsi come un campo esperienziale attraversato e definito da relazioni in continuo divenire, radicate in primo luogo nel rapporto sensibile e affettivo, estetico che mette in comunicazione tra loro i vari elementi, e questi ultimi con l’habitat che essi popolano. Le strategie di organizzazione e attribuzione di senso alla realtà – e le conseguenti modalità del conoscere e dell’agire – non derivano pertanto da particolari facoltà cognitive o da determinati aspetti oggettuali, bensì sono connesse alle potenzialità di queste relazioni estetiche. Di conseguenza, si può affermare che la realtà è sempre mediata, ma non da oggetti né tantomeno dall’attività razionale umana, ma dalle relazioni sensibili e affettive che costituiscono l’habitat, uno spazio fenomenico in cui il soggetto e l’oggetto si co-definiscono attraverso un coinvolgimento e una interazione reciproci. Come mostrerò, la medialità non è una proprietà dei “corpi” – umani e non umani – degli elementi che popolano un ambiente, ma è una facoltà che potenzialmente può abitare tutto ciò che è in grado di permettere alla sensibilità di ogni fenomeno di emergere in questo tessuto esperienziale. Medium e habitat sono quindi da intendersi reciprocamente e indissolubilmente, poiché, là dove non c’è possibilità di manifestazione sensibile, non è possibile instaurare relazioni che consentano di interagire con il mondo e le sue cose, ovvero per farne un’esperienza sensata. Attraverso una ricognizione archeologica delle tecniche della visione dell’Età Moderna e dei modelli da esse scaturite, proseguirò nell’analisi della relazione tra spettatore e medium cinematografico, concentrandomi sulla sua dimensione sensibile e percettiva, fondamento esplicito delle esperienze del cinema underground e dell’Expanded Cinema. Queste riflessioni saranno poi messe in tensione con la produzione artistica del Light & Space Movement, e in particolare con le opere di James Turrell, evidenziando quegli aspetti che fanno della situazione ambientale il luogo e il mezzo nel quale la manifestazione fenomenica dell’oggetto incontra la percezione sensibile dello spettatore.
The Medium as Habitat.
Medium; Habitat; Turrell; Expanded; Cinema; Media; Aesthetics; Media Archaeology ; Film Theory; Sensitivity; Technology; Arts; Light & Space; Light; Space.
Medium; Habitat; Turrell; Expanded; Cinema; Media; Estetica; Archeologia dei Media; Film Theory; Sensibilità; Tecnologia; Arte; Light & Space; Light; Space; Luce.
Gambaro, G.Il Medium come Habitat. Tecnologia e sensibilità nell'esperienza artistica dell’Expanded Cinema e del Light & Space Movement..
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/10447/220737
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