La svolta che accompagna il passaggio dalla fotografia analogica a quella digitale è comunemente interpretata come il semplice spostamento da un tipo di medium a un altro, sottolineando ora la continuità ora la rottura tra i due differenti processi. Una differente e più efficace chiave interpretativa potrebbe essere quella di considerare tale movimento come l’esemplare e paradigmatico processo di democratizzazione della fotografia: scattiamo più fotografie perché ne abbiamo la possibilità. Una riflessione e una pratica fondamentale per la comprensione di questa situazione è stata quella di Joachim Schmid, un fotografo che ha smesso di fotografare preso atto della infinita disponibilità di immagini che la contemporaneità offre: si tratta dunque di rimediare le immagini sfruttando a pieno le peculiarità del medium digitale, riutilizzarle in un’epoca e con modalità differenti da quelle in cui esse sono state prodotte per farle nuovamente significare e renderle capaci di comprendere la nostra epoca. Che fare dunque delle fotografie accidentalmente trovate o delle infinite fotografie caricate on line? Come è possibile archiviarle, organizzarle, connetterle per dar loro ancora valore e senso? Preso atto della sterminata produzione di immagini fotografiche digitali che produce la nostra contemporaneità; preso atto che tale situazione supera definitivamente la distinzione tra immagini artistiche e immagini che non lo sono; fatta sua la lezione della parte più importante dell’arte del Novecento – dai ready made di Duchamp a Andy Warhol per fare solo due esempi – Schmid si interroga sul senso generale delle immagini tecnicamente prodotte, diffuse, modificate, condivise. In un’epoca in cui quindi chiunque è fotografo e distributore delle proprie immagini è necessario un metodo capace di ripensare la logica che crea i nessi di significato tra le immagini: bisogna dunque evidenziare che dalla relazione tra le immagini nasce il loro senso e tale significato varia al variare dei nessi che si creano tra le immagini. Di conseguenza l’intento classificatorio e di organizzazione che guida l’opera di Schmid, confrontandosi con le dinamiche odierne di produzione e distribuzione delle fotografie digitali, evidenzia che l’immagine tecnicamente prodotta è emblema della nuova modalità con cui la fotografia trova oggi i suoi spazi vitali e manifesta la sua capacità di rappresentare la contemporaneità.

Crescimanno, E. (2015). Le infinite vite delle fotografie: l’ecologia delle immagini di Joachim Schmid. CINERGIE, 67-73.

Le infinite vite delle fotografie: l’ecologia delle immagini di Joachim Schmid

CRESCIMANNO, Emanuele
2015-01-01

Abstract

La svolta che accompagna il passaggio dalla fotografia analogica a quella digitale è comunemente interpretata come il semplice spostamento da un tipo di medium a un altro, sottolineando ora la continuità ora la rottura tra i due differenti processi. Una differente e più efficace chiave interpretativa potrebbe essere quella di considerare tale movimento come l’esemplare e paradigmatico processo di democratizzazione della fotografia: scattiamo più fotografie perché ne abbiamo la possibilità. Una riflessione e una pratica fondamentale per la comprensione di questa situazione è stata quella di Joachim Schmid, un fotografo che ha smesso di fotografare preso atto della infinita disponibilità di immagini che la contemporaneità offre: si tratta dunque di rimediare le immagini sfruttando a pieno le peculiarità del medium digitale, riutilizzarle in un’epoca e con modalità differenti da quelle in cui esse sono state prodotte per farle nuovamente significare e renderle capaci di comprendere la nostra epoca. Che fare dunque delle fotografie accidentalmente trovate o delle infinite fotografie caricate on line? Come è possibile archiviarle, organizzarle, connetterle per dar loro ancora valore e senso? Preso atto della sterminata produzione di immagini fotografiche digitali che produce la nostra contemporaneità; preso atto che tale situazione supera definitivamente la distinzione tra immagini artistiche e immagini che non lo sono; fatta sua la lezione della parte più importante dell’arte del Novecento – dai ready made di Duchamp a Andy Warhol per fare solo due esempi – Schmid si interroga sul senso generale delle immagini tecnicamente prodotte, diffuse, modificate, condivise. In un’epoca in cui quindi chiunque è fotografo e distributore delle proprie immagini è necessario un metodo capace di ripensare la logica che crea i nessi di significato tra le immagini: bisogna dunque evidenziare che dalla relazione tra le immagini nasce il loro senso e tale significato varia al variare dei nessi che si creano tra le immagini. Di conseguenza l’intento classificatorio e di organizzazione che guida l’opera di Schmid, confrontandosi con le dinamiche odierne di produzione e distribuzione delle fotografie digitali, evidenzia che l’immagine tecnicamente prodotta è emblema della nuova modalità con cui la fotografia trova oggi i suoi spazi vitali e manifesta la sua capacità di rappresentare la contemporaneità.
2015
Settore M-FIL/04 - Estetica
Crescimanno, E. (2015). Le infinite vite delle fotografie: l’ecologia delle immagini di Joachim Schmid. CINERGIE, 67-73.
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