Agire sulle aree urbane interstiziali (sovente in quartieri periferici) per rispondere alla domanda di una migliore vivibilità delle città, si configura quale interessante tema di approfondimento alla cui base deve esserci la conoscenza delle situazioni in essere e delle loro refluenze sullo spazio fisico e sociale. Si tratta, infatti, di spazi aperti abbandonati, sottoutilizzati, considerati insicuri ma che hanno, in nuce, le potenzialità di risorse per la rigenerazione fisica, sociale, ambientale e- perché no- economica, non solo dei quartieri ma della città in toto. Gli interstizi urbani- che in gran parte connotano le periferie nate nel dopoguerra, non solo delle metropoli ma anche delle piccole città- avevano originariamente una propria identità, successivamente perduta e per questo motivo trasformatisi in “vacui” che inesorabilmente hanno assunto l’accezione negativa di scarto, riecheggiando al degrado. Bhabha parla di in-between space (spazio nel mezzo), aree disponibili all’interno delle città che, a partire dalla marginalità e dall’ incertezza, riescono a sviluppare potenzialità positive (Bhabha, 1994), configurandosi quali opportunità affinché emergano nuove situazioni partecipative (Maciocco, Tagliagambe 2009). Quale significato restituire alle aree urbane interstiziali? In che modo intervenire? Il filone di ricerca del Temporary Urbanism volendo andare oltre quanto previsto dalla pianificazione formale, si concentra sulle alternative tangibili allo status quo sfruttando l’opportunità che questi spazi, considerati senza valore, privi di vincoli fisici e, a volte, giuridici- diversamente presenti nella città consolidata- offrono, per interventi puntuali. Il concetto di Temporary Urbanism si struttura attraverso il coinvolgimento degli abitanti che trasformano anche le più piccole e anonime aree abbandonate, in spazi di aggregazione sociale facendo, spesso ricorso al green system per avviare un cambiamento culturale orientato verso uno stile di vita improntato alla sostenibilità, nella sua accezione più ampia. Tra i numerosi esempi europei, in Francia, il temporary urbanism è alla base del progetto temporaneo ECObox (2003-2005) presso La Chapelle, una delle aree più degradate di Parigi, un’isola urbana completamente separata dalla città. Qui la realizzazione di un giardino temporaneo, creato con materiali riciclati, si è rivelata uno strumento capace di favorire la realizzazione di forme di urbanità non fondate su regole prestabilite, ma impostate sulla volontà degli abitanti. Questo tipo di informalità, lavorando negli interstizi della città, può espandere le proprie opportunità e la rete di connessioni (Sassen, 2011). La spontaneità può essere, altresì, sostenuta da un’efficace politica che favorisca la partecipazione incoraggiando, regolamentando e sostenendo i fenomeni di autorganizzazione e gestione comunitaria. È il caso del fenomeno dei Jardins Partagés (giardini condivisi), sempre a Parigi, che valorizzano le tendenze di associazionismo spontaneo degli abitanti con l’obiettivo di stimolare la cura degli spazi aperti di quartiere, dimenticati. La trasformazione di aree comunali abbandonate in giardini collettivi gestiti dalla popolazione è regolata dalla Charte Main Verte (Carta Principale del Verde) strumento che ne definisce le modalità di gestione. L’utilità dell’inutile nel mosaico paesistico-culturale: vivibilità, tipicità, biodiversità In entrambi i casi, si è fatto ricorso al “verde” quale efficace strumento di aggregazione finalizzato alla rigenerazione urbana. A partire da queste esperienze, il presente contributo vuole proporre soluzioni così orientate per Villaseta, quartiere satellite del comune di Agrigento, da cui dista circa 9 km, espressione dell’architettura razionalista, realizzato all’indomani della frana del 1966. L’isolamento e il degrado in cui versano gli in-between spaces del quartiere non sono stati certamente superati dalla recente realizzazione del “non-luogo” per antonomasia, un centro commerciale, una novità per la realtà agrigentina. Occorre, altresì, innescare delle dinamiche urbane che sappiano trasformare questi vuoti in luoghi vitali, identitari e condivisi facendo leva sui timidi tentativi di appropriazione spontanea degli stessi per restiruire loro nuova dignità.

Prestia, G. (2015). Rigenerazione greenbased degli inbetween spaces. AGRIBUSINESS PAESAGGIO & AMBIENTE.

Rigenerazione greenbased degli inbetween spaces

PRESTIA, Gerlandina
2015-01-01

Abstract

Agire sulle aree urbane interstiziali (sovente in quartieri periferici) per rispondere alla domanda di una migliore vivibilità delle città, si configura quale interessante tema di approfondimento alla cui base deve esserci la conoscenza delle situazioni in essere e delle loro refluenze sullo spazio fisico e sociale. Si tratta, infatti, di spazi aperti abbandonati, sottoutilizzati, considerati insicuri ma che hanno, in nuce, le potenzialità di risorse per la rigenerazione fisica, sociale, ambientale e- perché no- economica, non solo dei quartieri ma della città in toto. Gli interstizi urbani- che in gran parte connotano le periferie nate nel dopoguerra, non solo delle metropoli ma anche delle piccole città- avevano originariamente una propria identità, successivamente perduta e per questo motivo trasformatisi in “vacui” che inesorabilmente hanno assunto l’accezione negativa di scarto, riecheggiando al degrado. Bhabha parla di in-between space (spazio nel mezzo), aree disponibili all’interno delle città che, a partire dalla marginalità e dall’ incertezza, riescono a sviluppare potenzialità positive (Bhabha, 1994), configurandosi quali opportunità affinché emergano nuove situazioni partecipative (Maciocco, Tagliagambe 2009). Quale significato restituire alle aree urbane interstiziali? In che modo intervenire? Il filone di ricerca del Temporary Urbanism volendo andare oltre quanto previsto dalla pianificazione formale, si concentra sulle alternative tangibili allo status quo sfruttando l’opportunità che questi spazi, considerati senza valore, privi di vincoli fisici e, a volte, giuridici- diversamente presenti nella città consolidata- offrono, per interventi puntuali. Il concetto di Temporary Urbanism si struttura attraverso il coinvolgimento degli abitanti che trasformano anche le più piccole e anonime aree abbandonate, in spazi di aggregazione sociale facendo, spesso ricorso al green system per avviare un cambiamento culturale orientato verso uno stile di vita improntato alla sostenibilità, nella sua accezione più ampia. Tra i numerosi esempi europei, in Francia, il temporary urbanism è alla base del progetto temporaneo ECObox (2003-2005) presso La Chapelle, una delle aree più degradate di Parigi, un’isola urbana completamente separata dalla città. Qui la realizzazione di un giardino temporaneo, creato con materiali riciclati, si è rivelata uno strumento capace di favorire la realizzazione di forme di urbanità non fondate su regole prestabilite, ma impostate sulla volontà degli abitanti. Questo tipo di informalità, lavorando negli interstizi della città, può espandere le proprie opportunità e la rete di connessioni (Sassen, 2011). La spontaneità può essere, altresì, sostenuta da un’efficace politica che favorisca la partecipazione incoraggiando, regolamentando e sostenendo i fenomeni di autorganizzazione e gestione comunitaria. È il caso del fenomeno dei Jardins Partagés (giardini condivisi), sempre a Parigi, che valorizzano le tendenze di associazionismo spontaneo degli abitanti con l’obiettivo di stimolare la cura degli spazi aperti di quartiere, dimenticati. La trasformazione di aree comunali abbandonate in giardini collettivi gestiti dalla popolazione è regolata dalla Charte Main Verte (Carta Principale del Verde) strumento che ne definisce le modalità di gestione. L’utilità dell’inutile nel mosaico paesistico-culturale: vivibilità, tipicità, biodiversità In entrambi i casi, si è fatto ricorso al “verde” quale efficace strumento di aggregazione finalizzato alla rigenerazione urbana. A partire da queste esperienze, il presente contributo vuole proporre soluzioni così orientate per Villaseta, quartiere satellite del comune di Agrigento, da cui dista circa 9 km, espressione dell’architettura razionalista, realizzato all’indomani della frana del 1966. L’isolamento e il degrado in cui versano gli in-between spaces del quartiere non sono stati certamente superati dalla recente realizzazione del “non-luogo” per antonomasia, un centro commerciale, una novità per la realtà agrigentina. Occorre, altresì, innescare delle dinamiche urbane che sappiano trasformare questi vuoti in luoghi vitali, identitari e condivisi facendo leva sui timidi tentativi di appropriazione spontanea degli stessi per restiruire loro nuova dignità.
2015
Settore ICAR/21 - Urbanistica
Prestia, G. (2015). Rigenerazione greenbased degli inbetween spaces. AGRIBUSINESS PAESAGGIO & AMBIENTE.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/10447/150096
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