A partire da una riflessione sul ruolo determinante che i processi di testualizzazione svolgono in etnoantropologia si è inteso in questo contributo mettere l’accento su tre nozioni chiave, per il riorientamento della disciplina, quali quelle di ‘manuale’, ‘fieldwork’, ‘migrante’. Le tre nozioni sono state individuate sulla base di una concezione semiotica dell’antropologia secondo cui l’interrelata conoscenza di sé e degli altri non può fare a meno di una parallela disamina dell’interfaccia segnico e della simmetrica proiezione dei soggetti nel mondo fenomenologico dell’esperienza. L’analisi delle tre nozioni in oggetto è risultata essere rivelatrice di alcuni orientamenti ancora esotizzanti della disciplina, ha consentito di individuare possibili itinerari da percorrere per una loro rifocalizzazione congiunta in un’ottica semio-antropologica e di formulare inoltre alcune ipotesi riguardanti le modalità della ricerca attuale. Per esaminare le tre nozioni comparativamente e contrastivamente si sono prese le distanze dai quattro ‘luoghi comuni’ più comunemente praticati dalla disciplina (la parentela, l’economia, la politica e la religione) e ci si è invece concentrati su testi e definizioni esemplari in cui si evincono dispositivi semantici essenziali per il futuro degli studi etnoantropologici: la distanza-prossimità tra l’io e gli altri (in quanto figura retorica), le forme di ritualizzazione del fieldwork (come concatenazione sintagmatica e opposizione paradigmatica), le modalità di centramento e di auto-rappresentazione culturali (in una prospettiva di archeologia del sapere). Più che elementi isolati, i ‘manuali di antropologia’, il ‘fieldwork’ e i ‘migranti’ sono stati presi in conto in quanto nozioni interrelate di un sapere stratificato e gerarchizzato: allo stesso tempo forme di comunicazione multipla e di significazione plurale. In questa prospettiva, si sono lasciate interagire l’antropologia culturale e la semiotica della cultura al fine di comparare queste nozioni e di rintracciare loro reciproci elementi di pertinentizzazione teorica. L’ipotesi di partenza, per quanto riguarda i ‘testi oggetto’ presi di mira, è fondata sul principio che i manuali non veicolano unicamente un pensiero astratto e già manifesto in sé ma sono dei testi, con pregi e difetti vari, che devono cogliere l’obiettivo di rendere concreto e trasmissibile un sapere, almeno in parte iniziatico, passato al setaccio di una selezione sottoposta al filtro della scuola di appartenenza e dell’epoca in cui si è inseriti. Allo stesso modo, per quanto spesso presentate come grado zero dell’implicazione soggettivante, le etnografie sono state esaminate come il risultato etno-logo-centrico dei diversi approcci teorici e applicativi approntati per rivelare la cultura. Nel contributo, si è dunque messo l’accento sul principio che non si può sfuggire al discorso il quale, parlando d’Altro, articola ineludibilmente se stesso, scoprendo e camuffando le proprie categorie, a volte contraddittorie, nella sua progressione narrativa e nella sua costituzione associativa. Infine, per quanto riguarda i migranti, si è incentrata la discussione sul loro potenziale biculturalismo e sulla controversa presa di posizione a proposito di infibulazione e di rispetto/trasgressione della tradizione. Per lo sviluppo delle ipotesi menzionate, sono stati intenzionalmente presi in considerazione studiosi appartenenti a vertici concettuali diversi: Lévi-Strauss e Ricoeur, per quanto riguarda la problematica della distanza-prossimità; Derrida e Hjelmslev, per la conciliazione, in una prospettiva sintagmatica, del percorso decostruttivo di un concetto e della sua possibile ricostruzione all’interno di una analisi antropologica della cultura; Abu-Lughod e Greimas, per la presa in carico di un preciso punto di vista sulla definizione di cultura applicato all’analisi di alcuni frammenti riguardanti l’infibulazione in un testo autobiografico di Waris Dirie. Più sinteticamente, e in conclusione, il contributo può essere considerato una disamina epistemologica del modo in cui sono definiti gli ‘oggetti’ dell’antropologia e i processi di investimento soggettivo nella ricerca etnoantropologica.
MONTES, S. (2005). Manuali, «fieldwork», migranti. Passi per un’antropologia semiotica delle culture. In AA.VV. (a cura di), Le parole dei giorni. Scritti per Nino Buttitta (pp. 978-1011). PALERMO : SELLERIO.
Manuali, «fieldwork», migranti. Passi per un’antropologia semiotica delle culture
MONTES, Stefano
2005-01-01
Abstract
A partire da una riflessione sul ruolo determinante che i processi di testualizzazione svolgono in etnoantropologia si è inteso in questo contributo mettere l’accento su tre nozioni chiave, per il riorientamento della disciplina, quali quelle di ‘manuale’, ‘fieldwork’, ‘migrante’. Le tre nozioni sono state individuate sulla base di una concezione semiotica dell’antropologia secondo cui l’interrelata conoscenza di sé e degli altri non può fare a meno di una parallela disamina dell’interfaccia segnico e della simmetrica proiezione dei soggetti nel mondo fenomenologico dell’esperienza. L’analisi delle tre nozioni in oggetto è risultata essere rivelatrice di alcuni orientamenti ancora esotizzanti della disciplina, ha consentito di individuare possibili itinerari da percorrere per una loro rifocalizzazione congiunta in un’ottica semio-antropologica e di formulare inoltre alcune ipotesi riguardanti le modalità della ricerca attuale. Per esaminare le tre nozioni comparativamente e contrastivamente si sono prese le distanze dai quattro ‘luoghi comuni’ più comunemente praticati dalla disciplina (la parentela, l’economia, la politica e la religione) e ci si è invece concentrati su testi e definizioni esemplari in cui si evincono dispositivi semantici essenziali per il futuro degli studi etnoantropologici: la distanza-prossimità tra l’io e gli altri (in quanto figura retorica), le forme di ritualizzazione del fieldwork (come concatenazione sintagmatica e opposizione paradigmatica), le modalità di centramento e di auto-rappresentazione culturali (in una prospettiva di archeologia del sapere). Più che elementi isolati, i ‘manuali di antropologia’, il ‘fieldwork’ e i ‘migranti’ sono stati presi in conto in quanto nozioni interrelate di un sapere stratificato e gerarchizzato: allo stesso tempo forme di comunicazione multipla e di significazione plurale. In questa prospettiva, si sono lasciate interagire l’antropologia culturale e la semiotica della cultura al fine di comparare queste nozioni e di rintracciare loro reciproci elementi di pertinentizzazione teorica. L’ipotesi di partenza, per quanto riguarda i ‘testi oggetto’ presi di mira, è fondata sul principio che i manuali non veicolano unicamente un pensiero astratto e già manifesto in sé ma sono dei testi, con pregi e difetti vari, che devono cogliere l’obiettivo di rendere concreto e trasmissibile un sapere, almeno in parte iniziatico, passato al setaccio di una selezione sottoposta al filtro della scuola di appartenenza e dell’epoca in cui si è inseriti. Allo stesso modo, per quanto spesso presentate come grado zero dell’implicazione soggettivante, le etnografie sono state esaminate come il risultato etno-logo-centrico dei diversi approcci teorici e applicativi approntati per rivelare la cultura. Nel contributo, si è dunque messo l’accento sul principio che non si può sfuggire al discorso il quale, parlando d’Altro, articola ineludibilmente se stesso, scoprendo e camuffando le proprie categorie, a volte contraddittorie, nella sua progressione narrativa e nella sua costituzione associativa. Infine, per quanto riguarda i migranti, si è incentrata la discussione sul loro potenziale biculturalismo e sulla controversa presa di posizione a proposito di infibulazione e di rispetto/trasgressione della tradizione. Per lo sviluppo delle ipotesi menzionate, sono stati intenzionalmente presi in considerazione studiosi appartenenti a vertici concettuali diversi: Lévi-Strauss e Ricoeur, per quanto riguarda la problematica della distanza-prossimità; Derrida e Hjelmslev, per la conciliazione, in una prospettiva sintagmatica, del percorso decostruttivo di un concetto e della sua possibile ricostruzione all’interno di una analisi antropologica della cultura; Abu-Lughod e Greimas, per la presa in carico di un preciso punto di vista sulla definizione di cultura applicato all’analisi di alcuni frammenti riguardanti l’infibulazione in un testo autobiografico di Waris Dirie. Più sinteticamente, e in conclusione, il contributo può essere considerato una disamina epistemologica del modo in cui sono definiti gli ‘oggetti’ dell’antropologia e i processi di investimento soggettivo nella ricerca etnoantropologica.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.