L’edificio di Viganò fa parte del vasto patrimonio immobiliare del Politecnico di Milano, costituito da lasciti di illustri maestri dell’architettura moderna. L’edificio, progettato e realizzato tra il 1970 ed il 1985, costituisce l’ampliamento della Facoltà di Architettura di Giò Ponti, realizzata nel 1955. Nella Facoltà di Architettura come nel Mollificio Bresciano, Viganò sperimenta la carica espressiva dell’acciaio, portando avanti quella ricerca progettuale che, nell’arco di tutta la carriera, spazia sull’indagine delle diverse tecniche costruttive. E’ proprio la presenza predominante dell’acciaio a fare di questo testo architettonico, uno dei più rappresentativi riguardo l’utilizzo di questa tecnologia: “Negli anni ’70-’80 ho tentato il ferro, cercando di coglierne la ‘misura’ e quella ‘forma’ che gli sono proprie.” I recenti lavori di adeguamento del patio della Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, iniziati e poi revocati con il conseguente ripristino dello status quo, rientrano all’interno di un modus operandi che riguarda l’edificio di Viganò, in modo molto più generale. Sebbene si tratti di un testo di pregio per la storia italiana dell’architettura contemporanea, a fronte di una destinazione d’uso i cui caratteri, nel corso degli ultimi 25 anni, sono variati e continuano a variare in modo sempre più celere, l’edificio è necessariamente sottoposto a tutti quegli interventi atti a rispondere all’obsolescenza tecnologica, al continuo aggiornamento di esigenze, di normative sempre più severe e di standards di qualità ed efficienza sempre più alti. La maggior parte di questi interventi ha carattere di urgenza o, in ogni caso, non rientrano all’interno di una programmazione. Questo edificio infatti, come altri di proprietà del Politecnico, nonostante le differenze che lo caratterizzano ed il valore ad esso attribuibile, è interessato da una gestione la cui azione non è basata su alcun criterio di differenziazione. Questa mancanza di direttive che dovrebbero avere alla base, in primis, l’attribuzione ed il riconoscimento, da parte della stessa amministrazione, del pregio e del valore degli edifici componenti il patrimonio immobiliare, non può che lasciare spazio all’arbitrarietà ed alla discrezione di tecnici che, seppur competenti, operano scelte al di fuori di qualsiasi logica di tutela o conservazione dell’edificio, con azioni di smantellamento di componenti fondamentali all’organicità di linguaggio dell’opera. Riconoscere la programmazione degli interventi come uno strumento di conservazione preventiva del costruito, potrebbe condurre l’amministrazione a fare emergere, come prioritario, l’obiettivo di garantire la trasmissione al futuro di testi architettonici in cui siano stati, allo stesso tempo, assicurati le condizioni di efficienza. Procedere verso questa direzione comporta la creazione di data base che raccolgano le informazioni relative all’edificio, dalla documentazione d’archivio, alla ricostruzione degli iter progettuali ed esecutivi, fino all’analisi del manufatto nelle sue componenti principali, per ognuna delle quali saranno associate schede descrittive delle caratteristiche e delle interrelazioni con altri elementi. L’evidenziazione delle relazioni tra i vari componenti, conduce ad un quadro complessivo dell’opera anche nell’analisi del particolare: dalla discretizzazione delle componenti si ritorna, quindi, al sistema aggregato, ad un controllo del funzionamento, attraverso monitoraggi ciclici di aggiornamento sullo stato di fatto, e ad una programmazione ottimizzata degli interventi. Ma questa metodologia comporta l’adozione di una prassi che, seppure definita nella sua struttura di base, necessita di un notevole impiego di risorse, informatiche ma anche umane e deve necessariamente tenere conto della complessità di ogni singolo caso, della multicasualità degli eventi, delle caratteristiche di composizione architettonica e tecnologica, così come degli iter evolutivi e delle trasformazioni già attuate, per cui anche gli strumenti che supportano l’azione di una conservazione programmata, devono essere adattati al singolo manufatto: si tratterebbe di una rivoluzione gestionale e di approccio al costruito che richiede un investimento iniziale a fronte di un’ottimizzazione delle risorse economiche e del prolungamento della vita utile del bene.

Megna, V. (2009). La Facoltà di Architettura di Vittoriano Viganò: tra tutela ed interventi di adeguamento. In Conservare l'architettura. Conservazione programmata per il patrimonio architettonico del XX secolo (pp.109-121). Milano : Mondadori Electa S.p.A..

La Facoltà di Architettura di Vittoriano Viganò: tra tutela ed interventi di adeguamento

Megna, Valeria
2009-01-01

Abstract

L’edificio di Viganò fa parte del vasto patrimonio immobiliare del Politecnico di Milano, costituito da lasciti di illustri maestri dell’architettura moderna. L’edificio, progettato e realizzato tra il 1970 ed il 1985, costituisce l’ampliamento della Facoltà di Architettura di Giò Ponti, realizzata nel 1955. Nella Facoltà di Architettura come nel Mollificio Bresciano, Viganò sperimenta la carica espressiva dell’acciaio, portando avanti quella ricerca progettuale che, nell’arco di tutta la carriera, spazia sull’indagine delle diverse tecniche costruttive. E’ proprio la presenza predominante dell’acciaio a fare di questo testo architettonico, uno dei più rappresentativi riguardo l’utilizzo di questa tecnologia: “Negli anni ’70-’80 ho tentato il ferro, cercando di coglierne la ‘misura’ e quella ‘forma’ che gli sono proprie.” I recenti lavori di adeguamento del patio della Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, iniziati e poi revocati con il conseguente ripristino dello status quo, rientrano all’interno di un modus operandi che riguarda l’edificio di Viganò, in modo molto più generale. Sebbene si tratti di un testo di pregio per la storia italiana dell’architettura contemporanea, a fronte di una destinazione d’uso i cui caratteri, nel corso degli ultimi 25 anni, sono variati e continuano a variare in modo sempre più celere, l’edificio è necessariamente sottoposto a tutti quegli interventi atti a rispondere all’obsolescenza tecnologica, al continuo aggiornamento di esigenze, di normative sempre più severe e di standards di qualità ed efficienza sempre più alti. La maggior parte di questi interventi ha carattere di urgenza o, in ogni caso, non rientrano all’interno di una programmazione. Questo edificio infatti, come altri di proprietà del Politecnico, nonostante le differenze che lo caratterizzano ed il valore ad esso attribuibile, è interessato da una gestione la cui azione non è basata su alcun criterio di differenziazione. Questa mancanza di direttive che dovrebbero avere alla base, in primis, l’attribuzione ed il riconoscimento, da parte della stessa amministrazione, del pregio e del valore degli edifici componenti il patrimonio immobiliare, non può che lasciare spazio all’arbitrarietà ed alla discrezione di tecnici che, seppur competenti, operano scelte al di fuori di qualsiasi logica di tutela o conservazione dell’edificio, con azioni di smantellamento di componenti fondamentali all’organicità di linguaggio dell’opera. Riconoscere la programmazione degli interventi come uno strumento di conservazione preventiva del costruito, potrebbe condurre l’amministrazione a fare emergere, come prioritario, l’obiettivo di garantire la trasmissione al futuro di testi architettonici in cui siano stati, allo stesso tempo, assicurati le condizioni di efficienza. Procedere verso questa direzione comporta la creazione di data base che raccolgano le informazioni relative all’edificio, dalla documentazione d’archivio, alla ricostruzione degli iter progettuali ed esecutivi, fino all’analisi del manufatto nelle sue componenti principali, per ognuna delle quali saranno associate schede descrittive delle caratteristiche e delle interrelazioni con altri elementi. L’evidenziazione delle relazioni tra i vari componenti, conduce ad un quadro complessivo dell’opera anche nell’analisi del particolare: dalla discretizzazione delle componenti si ritorna, quindi, al sistema aggregato, ad un controllo del funzionamento, attraverso monitoraggi ciclici di aggiornamento sullo stato di fatto, e ad una programmazione ottimizzata degli interventi. Ma questa metodologia comporta l’adozione di una prassi che, seppure definita nella sua struttura di base, necessita di un notevole impiego di risorse, informatiche ma anche umane e deve necessariamente tenere conto della complessità di ogni singolo caso, della multicasualità degli eventi, delle caratteristiche di composizione architettonica e tecnologica, così come degli iter evolutivi e delle trasformazioni già attuate, per cui anche gli strumenti che supportano l’azione di una conservazione programmata, devono essere adattati al singolo manufatto: si tratterebbe di una rivoluzione gestionale e di approccio al costruito che richiede un investimento iniziale a fronte di un’ottimizzazione delle risorse economiche e del prolungamento della vita utile del bene.
2009
Conservare l'architettura. Conservazione programmata per il patrimonio architettonico del XX secolo
Como
2009
1
2009
13
Megna, V. (2009). La Facoltà di Architettura di Vittoriano Viganò: tra tutela ed interventi di adeguamento. In Conservare l'architettura. Conservazione programmata per il patrimonio architettonico del XX secolo (pp.109-121). Milano : Mondadori Electa S.p.A..
Proceedings (atti dei congressi)
Megna, V
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/10447/97844
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