Musei, gallerie e collezioni private nascono da presupposti e con finalità primarie diverse anche se spesso l’attività di gestione e quella rivolta al pubblico sono simili. Ovviamente la storia del museo e quella del collezionismo sono ben distinte e la linea di demarcazione è piuttosto netta, trovando i suoi presupposti nella destinazione pubblica dell’attività museale. Eppure non stupisce come vi siano numerosi esempi di trasformazione o di evoluzione di gallerie e collezioni rivolte ad un pubblico selezionato, in attività museale volta alla fruizione del patrimonio esposto e al servizio della società. Invero anche se tale “conversione” non è nella natura delle cose, essa trova i presupposti nella chiara vocazione che hanno le opere che vengono riconosciute come “d’arte” ad assumere il carattere di bene “pubblico” e non più solo “privato”. Invero, la trasformazione da galleria d’arte a istituzione museale è completa nel momento in cui il gallerista si emancipa dal suo ruolo di mercante dell’arte. Come sottolineano le parole di Andy Warhol: «their art business isn’t (or shouldn’t) be art museum business»1 (A. Warhol, 1975). Naturalmente questo percorso non è semplice, tenuto conto anche dei vantaggi che ha una simbiosi tra un museo e una galleria d’arte, nella valorizzazione dell’opera di determinati artisti. Questo aspetto è ancora più rilevante nell’arte contemporanea, dove il posizionamento e l’attitudine rispetto al contesto del mercato è cruciale, essendo ancora in gioco la carriera di artisti prevalentemente viventi. Se questo è vero, lo è anche il fatto che il museo non può essere uno strumento di marketing o di legittimazione del mercato dell’arte privato, con i suoi clienti e i suoi collezionisti2. Le ragioni e le modalità della trasformazione tuttavia non sono quasi mai comuni o generalizzabili, ma sono frutto di una scelta del gallerista o del collezionista, che può maturare l’esigenza di un cambiamento della propria attività per esigenze personali in parte spiegabili anche con mutamenti dei contesti istituzionali e sociali attorno ai quali era maturata l’idea iniziale oppure, ancora più semplicemente, perché le motivazioni possono cambiare una volta esauriti gli obiettivi e il percorso intrapreso. Un saggio di quanto possa essere complesso indagare sulle ragioni profonde della trasformazione di una attività da privata a pubblica lo dà il famoso gallerista Aimè Maeght che con la moglie Marguerite all’apertura nel 1964 dell’omonima fondazione a Saint Paul de Vence dichiara: «Avevo bisogno d’aria e di spazio. Non volevo creare una super galleria ma qualcosa d’altro che appartenesse alla comunità e che fosse anche libera d’agire (…) Ho creato questa fondazione egoisticamente, per il mio piacere, sperando di poter trasmettere ad altri un po’ di questo piacere, di questa gioia». Naturalmente l’importanza di entrare nel merito, indagando i perché e i come di tali “passaggi”, è una delle ipotesi alla base di questo lavoro legata al ruolo che le istituzioni museali rivestono nel e per il territorio. Tale ruolo, insieme con i fattori che contraddistinguono fin dall’inizio l’attività del collezionista, rappresentano forse un elemento di continuità anche nel cambiamento della forma istituzionale. La Sicilia propone pochi esempi di trasformazione di un’attività profit, tipica di una galleria, in una no profit di tipo museale. Nella storia analizzata, quella di Museum a Bagheria, all’elemento della trasformazione diventa interessante associare quello del carattere fondante la sua attività, la “sicilianità”. Museum si caratterizza e deve la sua notorietà principalmente al suo carattere di museo privato regionale, ma ciò che lo distingue e lo rende unico rispetto ad altre esperienze simili è la sua ininterrotta vocazione a promuovere l’arte contemporanea siciliana anche a livello internazionale. Questa scelta naturalmente ha condotto il suo fondatore, Ezio Pagano, al coinvolgimento non solo di artisti siciliani che operano nel territorio, ma anche di artisti siciliani di adozione e dei siciliani nel mondo. In tal modo, Pagano mette al centro del suo progetto la Sicilia, la sua identità e il senso di appartenenza che essa genera negli artisti che “vivono” con consapevolezza questa terra, più che i siciliani per nascita. La storia di Museum ci porta a riflettere nuovamente ed in modo differente sull’essere “siciliano” guardando soprattutto all’esperienza di chi siciliano non lo è per i propri natali. È questo, il secondo tema di fondo, dopo quello della “nascita”del museo, da cui questo lavoro trae ispirazione e a cui guarda con attenzione Vi è poi un terzo tema di “attualità” che implicitamente emerge nella trattazione della storia di Museum, è quello della necessità di ripensare al modo di fare “museo” per l’arte contemporanea in Sicilia. Questo probabilmente perché le situazioni relative al contemporaneo in Sicilia permangono ormai da diverso tempo nello stesso stato di immobilismo con rischio concreto di cadere nell’azzeramento culturale. Basti pensare alle vicende rocambolesche che hanno riguardato e in parte continuano a riguardare il Museo d’arte contemporanea di Palermo: Palazzo Belmonte Riso, la cui partenza si è subito rivelata stentata, con organizzazioni di mostre più o meno interessanti e con la fantomatica esposizione di quella che doveva essere la collezione permanente del Riso, con la quale ripercorrere, attraverso i nomi più significativi, un percorso che acconti la storia dell’arte contemporanea e siciliana in particolare. Inaugurato nel 2006 il museo ha stentato a decollare fino al violento e definitivo arresto nel gennaio del 2012 con il commissariamento del museo stesso a seguito di alcune dichiarazioni dell’allora direttore Sergio Alessandro poi sollevato dal suo incarico. Nel maggio successivo il Museo Belmonte Riso è stato riaperto con una conferenza in grande stile nella quale è stata presentata la collezione, finalmente esposta nei locali del palazzo settecentesco, rimasti fino a quel momento vuoti. A distanza di un anno da quelle tristi vicende, si nota come le attività del museo languiscano ancora e come sia difficile dare consistenza a questa realtà che più di altre dovrebbe costituire per la comunità un luogo vivo e partecipato. “Riso amaro”4 così intitolava il suo articolo Helga Marsala nel 2006, riferendosi alle ultime vicende dell’allora neonato museo cittadino, ma quell’amarezza di ispirazione neorealista non è del tutto svanita, anzi per certi versi ne conserva invariata l’acredine. La precarietà e la discontinuità di un’attività museale costituiscono i grossi ostacoli alla fidelizzazione del fruitore. Il museo oggi fa parte del tessuto connettivo cittadino, è una realtà con la quale ci si raffronta quotidianamente, un luogo fatto non solo per fruire l’opera d’arte, ma che può rappresentare la nuova dimensione di agorà dove ritrovarsi per seguire una conferenza o anche prendere un caffè, acquistare un libro o ancora uno spazio dove portare i bambini per un laboratorio. Nella storia di Museum, la continuità è sempre stata un elemento fondamentale. L’attività di galleria avviata da Ezio Pagano nel 1968 è stata portata avanti nel corso di un trentennio con serietà e professionalità fino alla riconversione in museo nel 1998.Museum, il primo museo d’arte contemporanea sul territorio siciliano, è un’istituzione privata che ha fatto e continua a fare dell’identità isolana la sua ragione d’essere. Questo museo partito da un nucleo di centocinquanta opere, oggi ne vanta più di cinquecento, frutto di acquisizioni e donazioni da parte di artisti siciliani che, coinvolti da Pagano, hanno creduto e continuano a credere in un progetto che fa di Museum l’unico luogo in Sicilia dove sia possibile conoscere il panorama storico-artistico del Novecento e del Duemila siciliani, fatto da artisti noti e meno noti. La sua natura privata è stata discussa in seno ad un’intervista di Paola Nicita a Gillo Dorfles che in quella occasione rispose: «Purtroppo in tutta Italia il sostegno dato alla cultura è molto scarso, e l’arte contemporanea è molto trascurata. Manca un’educazione di base, occorrerebbe iniziare dalle elementari, moltiplicare le ore dedicate all’arte e alla musica, non ridurle»5 e ancora: «Ho visitato il Museum di Bagheria e l’idea di raccogliere le opere degli artisti siciliani mi sembra ottima. Qui si trovano i nomi meno noti ma anche quelli internazionali, come Carla Accardi, Pietro Consagra, Salvatore Scarpitta, solo per citarne alcuni. È importante che ogni regione abbia un suo museo». Poche, semplici affermazioni da parte del celebre critico triestino per sottolineare nel caso di Museum l’importanza che ha l’iniziativa privata in un contesto nazionale e regionale lacunoso e assente nei confronti dell’arte e del contemporaneo in particolare.Le fasi del lavoro di ricerca sono state sostanzialmente due, la prima più complessa, è stata rivolta al rinvenimento dei documenti quali inviti, locandine, comunicati stampa, articoli di giornale. La ricerca, l’esame e la classificazione di questo materiale ha richiesto diversi mesi di duro lavoro fisico e ha permesso di redigere la catalogazione dalla quale è stato possibile ricostruire la storia delle gallerie dagli anni Sessanta ai Novanta con la nascita di Museum, fino ai nostri giorni. Questo percorso viene esposto nel primo capitolo. La seconda fase nasce da un esame di alcune tappe che hanno segnato il percorso di realizzazione di Museum, definendone natura e ruoli. L’analisi svolta ha, in questo caso, enormemente beneficiato dell’apporto indispensabile di Ezio Pagano, a cui va naturalmente la mia gratitudine per avermi guidata nella ricostruzione e nell’interpretazione di una storia non facile da raccontare. Importante è stato inoltre il contributo degli artisti “stranieri” coinvolti che, nel corso degli incontri avuti, mi hanno aiutato a far emergere nuovi spunti per questa fase della mia ricerca. Il secondo e il terzo capitolo contiene i risultati di questa parte del mio lavoro.La tesi, è dunque divisa in tre capitoli.XIII Il primo capitolo “Dalla galleria al Museum”, si presenta naturalmente come il più corposo tra i tre; in esso si delinea il percorso che ha portato alla nascita e alla formazione di Museum, descrivendo la trasformazione dell’attività da quella di galleria a quella museale, da profit a no profit. La ricostruzione di tale percorso è stato fatto alla luce di un riesame dell’attività svolta, degli artisti proposti, dei critici coinvolti, delle pubblicazioni prodotte, della risonanza degli eventi sulla carta stampata. L’excursus storico, realizzato attraverso le vicende delle tre gallerie: Nibbio, Il Poliedro e Ezio Pagano artecontemporanea, è stato condotto attraverso un’accurata selezione degli eventi espositivi, partendo dagli inviti e dalle locandine per ritrovarne le date certe, e seguendone, quando possibile, l’eco della critica sulla carta stampata. Si è privilegiato l’evento documentato e, al tempo stesso, più significativo per importanza e richiamo di pubblico e critica. Tale selezione è stata realizzata seguendo due criteri, il primo, più semplice e immediato si basa sull’importanza dell’artista proposto, il secondo invece sull’origine siciliana dell’artista, sulla qualità della mostra e sulla risonanza dell’evento tra critica e pubblico. Tale criterio permette di evidenziare l’attenzione del gallerista nel corso dei decenni, verso gli artisti giovani del territorio isolano, determinando inconsapevolmente la vocazione identitaria di quello che sarebbe stato Museum. Il passaggio da galleria a museo va ricondotto a scelte maturate dal fondatore, alla sua visione sul significato e sul ruolo dell’arte, ma, ed è questo un dato da non sottovalutare, ha innescato ed è stato a sua volta frutto dei cambiamenti del territorio ai quali è stata prestata ove opportuno la nostra attenzione.Nel secondo capitolo, “Le Circumnavigazioni e oltre”, viene approfondito il tema delle Circumnavigazioni, serie di mostre itineranti organizzate da Ezio Pagano, da gallerista, come da direttore di Museum. Al centro vi è il tema dell’emigrazione dei siciliani nel mondo e il desiderio, attraverso le iniziative promosse dal museo bagherese, di portare parte della loro cultura originaria, nei luoghi che li hanno accolti. Questa serie di mostre, che inizia con delle collettive in Sicilia e in Italia, è divenuta, nell’arco di un ventennio, un mezzo di diffusione della cultura siciliana nel mondo. Di quest’ultima si è esportata la sua nuova facies, quella sconosciuta a chi ha lasciato da tempo il proprio paese, ma, proprio per questo, fondamentale da scoprire per comprenderne, attraverso l’arte contemporanea, gli ultimi sviluppi e trasformazioni. Il terzo capitolo, “Quelli che vanno e quelli che restano”, cavalca il tema lanciato nel secondo, quello dell’emigrazione, aprendo una riflessione sulla migrazione di artisti che ha interessato gran parte dei protagonisti della nostra regione, in taluni casi divenuti famosissimi, e che hanno visto nella dimensione isolana un limite alla propria realizzazione. Si fa riferimento, in tal senso, alla mostra “Sicilia!” curata da Marco Meneguzzo e tenutasi ad Acireale (CT) nell’estate del 2006. Questa interessante retrospettiva dell’arte siciliana tocca, inevitabilmente il tema dell’emigrazione culturale in quanto peculiarità dell’isola con la quale si crea un rapporto di rassegnata accettazione o di dichiarata negazione. Ma Sicilia è anche terra di accoglienza, così come viene evidenziato attraverso la mostra Hotel des Etrangers6, grazie al contributo di un gruppo di artisti stranieri che ormai da tempo vive in Sicilia. Tra questi, l’attenzione viene posta su tre artisti, Hilde Margani Escher, Juan Esperanza e Nelida Amada Mendoza, che rappresentano il gruppo di artisti stranieri appartenenti anche alla collezione di Museum. Questa doppia natura di straniero appartenente ad una collezione di artisti specificamente siciliana, è stato il fulcro di un’indagine che attraverso l’intervista diretta, ha cercato di metterne a fuoco la particolare condizione. Il Viaggio in Sicilia intrapreso al fine di incontrare questi artisti, ha consentito di comprendere le ragioni delle scelte di vita di ciascuno dei tre artisti “naturalizzati” siciliani, poiché da esse hanno preso forma lo stile e la poetica che contraddistinguono la loro produzione artistica. Ne è così scaturita una riflessione su identità e appartenenza culturale, fattori che giustificano la loro presenza nella collezione di Museum, che ha fatto e fa dell’identità siciliana la propria ragione d’essere.

Conciauro, . (2014). MUSEUM STORIA DI UNA COLLEZIONE.

MUSEUM STORIA DI UNA COLLEZIONE

Conciauro, Manuela
2014-04-14

Abstract

Musei, gallerie e collezioni private nascono da presupposti e con finalità primarie diverse anche se spesso l’attività di gestione e quella rivolta al pubblico sono simili. Ovviamente la storia del museo e quella del collezionismo sono ben distinte e la linea di demarcazione è piuttosto netta, trovando i suoi presupposti nella destinazione pubblica dell’attività museale. Eppure non stupisce come vi siano numerosi esempi di trasformazione o di evoluzione di gallerie e collezioni rivolte ad un pubblico selezionato, in attività museale volta alla fruizione del patrimonio esposto e al servizio della società. Invero anche se tale “conversione” non è nella natura delle cose, essa trova i presupposti nella chiara vocazione che hanno le opere che vengono riconosciute come “d’arte” ad assumere il carattere di bene “pubblico” e non più solo “privato”. Invero, la trasformazione da galleria d’arte a istituzione museale è completa nel momento in cui il gallerista si emancipa dal suo ruolo di mercante dell’arte. Come sottolineano le parole di Andy Warhol: «their art business isn’t (or shouldn’t) be art museum business»1 (A. Warhol, 1975). Naturalmente questo percorso non è semplice, tenuto conto anche dei vantaggi che ha una simbiosi tra un museo e una galleria d’arte, nella valorizzazione dell’opera di determinati artisti. Questo aspetto è ancora più rilevante nell’arte contemporanea, dove il posizionamento e l’attitudine rispetto al contesto del mercato è cruciale, essendo ancora in gioco la carriera di artisti prevalentemente viventi. Se questo è vero, lo è anche il fatto che il museo non può essere uno strumento di marketing o di legittimazione del mercato dell’arte privato, con i suoi clienti e i suoi collezionisti2. Le ragioni e le modalità della trasformazione tuttavia non sono quasi mai comuni o generalizzabili, ma sono frutto di una scelta del gallerista o del collezionista, che può maturare l’esigenza di un cambiamento della propria attività per esigenze personali in parte spiegabili anche con mutamenti dei contesti istituzionali e sociali attorno ai quali era maturata l’idea iniziale oppure, ancora più semplicemente, perché le motivazioni possono cambiare una volta esauriti gli obiettivi e il percorso intrapreso. Un saggio di quanto possa essere complesso indagare sulle ragioni profonde della trasformazione di una attività da privata a pubblica lo dà il famoso gallerista Aimè Maeght che con la moglie Marguerite all’apertura nel 1964 dell’omonima fondazione a Saint Paul de Vence dichiara: «Avevo bisogno d’aria e di spazio. Non volevo creare una super galleria ma qualcosa d’altro che appartenesse alla comunità e che fosse anche libera d’agire (…) Ho creato questa fondazione egoisticamente, per il mio piacere, sperando di poter trasmettere ad altri un po’ di questo piacere, di questa gioia». Naturalmente l’importanza di entrare nel merito, indagando i perché e i come di tali “passaggi”, è una delle ipotesi alla base di questo lavoro legata al ruolo che le istituzioni museali rivestono nel e per il territorio. Tale ruolo, insieme con i fattori che contraddistinguono fin dall’inizio l’attività del collezionista, rappresentano forse un elemento di continuità anche nel cambiamento della forma istituzionale. La Sicilia propone pochi esempi di trasformazione di un’attività profit, tipica di una galleria, in una no profit di tipo museale. Nella storia analizzata, quella di Museum a Bagheria, all’elemento della trasformazione diventa interessante associare quello del carattere fondante la sua attività, la “sicilianità”. Museum si caratterizza e deve la sua notorietà principalmente al suo carattere di museo privato regionale, ma ciò che lo distingue e lo rende unico rispetto ad altre esperienze simili è la sua ininterrotta vocazione a promuovere l’arte contemporanea siciliana anche a livello internazionale. Questa scelta naturalmente ha condotto il suo fondatore, Ezio Pagano, al coinvolgimento non solo di artisti siciliani che operano nel territorio, ma anche di artisti siciliani di adozione e dei siciliani nel mondo. In tal modo, Pagano mette al centro del suo progetto la Sicilia, la sua identità e il senso di appartenenza che essa genera negli artisti che “vivono” con consapevolezza questa terra, più che i siciliani per nascita. La storia di Museum ci porta a riflettere nuovamente ed in modo differente sull’essere “siciliano” guardando soprattutto all’esperienza di chi siciliano non lo è per i propri natali. È questo, il secondo tema di fondo, dopo quello della “nascita”del museo, da cui questo lavoro trae ispirazione e a cui guarda con attenzione Vi è poi un terzo tema di “attualità” che implicitamente emerge nella trattazione della storia di Museum, è quello della necessità di ripensare al modo di fare “museo” per l’arte contemporanea in Sicilia. Questo probabilmente perché le situazioni relative al contemporaneo in Sicilia permangono ormai da diverso tempo nello stesso stato di immobilismo con rischio concreto di cadere nell’azzeramento culturale. Basti pensare alle vicende rocambolesche che hanno riguardato e in parte continuano a riguardare il Museo d’arte contemporanea di Palermo: Palazzo Belmonte Riso, la cui partenza si è subito rivelata stentata, con organizzazioni di mostre più o meno interessanti e con la fantomatica esposizione di quella che doveva essere la collezione permanente del Riso, con la quale ripercorrere, attraverso i nomi più significativi, un percorso che acconti la storia dell’arte contemporanea e siciliana in particolare. Inaugurato nel 2006 il museo ha stentato a decollare fino al violento e definitivo arresto nel gennaio del 2012 con il commissariamento del museo stesso a seguito di alcune dichiarazioni dell’allora direttore Sergio Alessandro poi sollevato dal suo incarico. Nel maggio successivo il Museo Belmonte Riso è stato riaperto con una conferenza in grande stile nella quale è stata presentata la collezione, finalmente esposta nei locali del palazzo settecentesco, rimasti fino a quel momento vuoti. A distanza di un anno da quelle tristi vicende, si nota come le attività del museo languiscano ancora e come sia difficile dare consistenza a questa realtà che più di altre dovrebbe costituire per la comunità un luogo vivo e partecipato. “Riso amaro”4 così intitolava il suo articolo Helga Marsala nel 2006, riferendosi alle ultime vicende dell’allora neonato museo cittadino, ma quell’amarezza di ispirazione neorealista non è del tutto svanita, anzi per certi versi ne conserva invariata l’acredine. La precarietà e la discontinuità di un’attività museale costituiscono i grossi ostacoli alla fidelizzazione del fruitore. Il museo oggi fa parte del tessuto connettivo cittadino, è una realtà con la quale ci si raffronta quotidianamente, un luogo fatto non solo per fruire l’opera d’arte, ma che può rappresentare la nuova dimensione di agorà dove ritrovarsi per seguire una conferenza o anche prendere un caffè, acquistare un libro o ancora uno spazio dove portare i bambini per un laboratorio. Nella storia di Museum, la continuità è sempre stata un elemento fondamentale. L’attività di galleria avviata da Ezio Pagano nel 1968 è stata portata avanti nel corso di un trentennio con serietà e professionalità fino alla riconversione in museo nel 1998.Museum, il primo museo d’arte contemporanea sul territorio siciliano, è un’istituzione privata che ha fatto e continua a fare dell’identità isolana la sua ragione d’essere. Questo museo partito da un nucleo di centocinquanta opere, oggi ne vanta più di cinquecento, frutto di acquisizioni e donazioni da parte di artisti siciliani che, coinvolti da Pagano, hanno creduto e continuano a credere in un progetto che fa di Museum l’unico luogo in Sicilia dove sia possibile conoscere il panorama storico-artistico del Novecento e del Duemila siciliani, fatto da artisti noti e meno noti. La sua natura privata è stata discussa in seno ad un’intervista di Paola Nicita a Gillo Dorfles che in quella occasione rispose: «Purtroppo in tutta Italia il sostegno dato alla cultura è molto scarso, e l’arte contemporanea è molto trascurata. Manca un’educazione di base, occorrerebbe iniziare dalle elementari, moltiplicare le ore dedicate all’arte e alla musica, non ridurle»5 e ancora: «Ho visitato il Museum di Bagheria e l’idea di raccogliere le opere degli artisti siciliani mi sembra ottima. Qui si trovano i nomi meno noti ma anche quelli internazionali, come Carla Accardi, Pietro Consagra, Salvatore Scarpitta, solo per citarne alcuni. È importante che ogni regione abbia un suo museo». Poche, semplici affermazioni da parte del celebre critico triestino per sottolineare nel caso di Museum l’importanza che ha l’iniziativa privata in un contesto nazionale e regionale lacunoso e assente nei confronti dell’arte e del contemporaneo in particolare.Le fasi del lavoro di ricerca sono state sostanzialmente due, la prima più complessa, è stata rivolta al rinvenimento dei documenti quali inviti, locandine, comunicati stampa, articoli di giornale. La ricerca, l’esame e la classificazione di questo materiale ha richiesto diversi mesi di duro lavoro fisico e ha permesso di redigere la catalogazione dalla quale è stato possibile ricostruire la storia delle gallerie dagli anni Sessanta ai Novanta con la nascita di Museum, fino ai nostri giorni. Questo percorso viene esposto nel primo capitolo. La seconda fase nasce da un esame di alcune tappe che hanno segnato il percorso di realizzazione di Museum, definendone natura e ruoli. L’analisi svolta ha, in questo caso, enormemente beneficiato dell’apporto indispensabile di Ezio Pagano, a cui va naturalmente la mia gratitudine per avermi guidata nella ricostruzione e nell’interpretazione di una storia non facile da raccontare. Importante è stato inoltre il contributo degli artisti “stranieri” coinvolti che, nel corso degli incontri avuti, mi hanno aiutato a far emergere nuovi spunti per questa fase della mia ricerca. Il secondo e il terzo capitolo contiene i risultati di questa parte del mio lavoro.La tesi, è dunque divisa in tre capitoli.XIII Il primo capitolo “Dalla galleria al Museum”, si presenta naturalmente come il più corposo tra i tre; in esso si delinea il percorso che ha portato alla nascita e alla formazione di Museum, descrivendo la trasformazione dell’attività da quella di galleria a quella museale, da profit a no profit. La ricostruzione di tale percorso è stato fatto alla luce di un riesame dell’attività svolta, degli artisti proposti, dei critici coinvolti, delle pubblicazioni prodotte, della risonanza degli eventi sulla carta stampata. L’excursus storico, realizzato attraverso le vicende delle tre gallerie: Nibbio, Il Poliedro e Ezio Pagano artecontemporanea, è stato condotto attraverso un’accurata selezione degli eventi espositivi, partendo dagli inviti e dalle locandine per ritrovarne le date certe, e seguendone, quando possibile, l’eco della critica sulla carta stampata. Si è privilegiato l’evento documentato e, al tempo stesso, più significativo per importanza e richiamo di pubblico e critica. Tale selezione è stata realizzata seguendo due criteri, il primo, più semplice e immediato si basa sull’importanza dell’artista proposto, il secondo invece sull’origine siciliana dell’artista, sulla qualità della mostra e sulla risonanza dell’evento tra critica e pubblico. Tale criterio permette di evidenziare l’attenzione del gallerista nel corso dei decenni, verso gli artisti giovani del territorio isolano, determinando inconsapevolmente la vocazione identitaria di quello che sarebbe stato Museum. Il passaggio da galleria a museo va ricondotto a scelte maturate dal fondatore, alla sua visione sul significato e sul ruolo dell’arte, ma, ed è questo un dato da non sottovalutare, ha innescato ed è stato a sua volta frutto dei cambiamenti del territorio ai quali è stata prestata ove opportuno la nostra attenzione.Nel secondo capitolo, “Le Circumnavigazioni e oltre”, viene approfondito il tema delle Circumnavigazioni, serie di mostre itineranti organizzate da Ezio Pagano, da gallerista, come da direttore di Museum. Al centro vi è il tema dell’emigrazione dei siciliani nel mondo e il desiderio, attraverso le iniziative promosse dal museo bagherese, di portare parte della loro cultura originaria, nei luoghi che li hanno accolti. Questa serie di mostre, che inizia con delle collettive in Sicilia e in Italia, è divenuta, nell’arco di un ventennio, un mezzo di diffusione della cultura siciliana nel mondo. Di quest’ultima si è esportata la sua nuova facies, quella sconosciuta a chi ha lasciato da tempo il proprio paese, ma, proprio per questo, fondamentale da scoprire per comprenderne, attraverso l’arte contemporanea, gli ultimi sviluppi e trasformazioni. Il terzo capitolo, “Quelli che vanno e quelli che restano”, cavalca il tema lanciato nel secondo, quello dell’emigrazione, aprendo una riflessione sulla migrazione di artisti che ha interessato gran parte dei protagonisti della nostra regione, in taluni casi divenuti famosissimi, e che hanno visto nella dimensione isolana un limite alla propria realizzazione. Si fa riferimento, in tal senso, alla mostra “Sicilia!” curata da Marco Meneguzzo e tenutasi ad Acireale (CT) nell’estate del 2006. Questa interessante retrospettiva dell’arte siciliana tocca, inevitabilmente il tema dell’emigrazione culturale in quanto peculiarità dell’isola con la quale si crea un rapporto di rassegnata accettazione o di dichiarata negazione. Ma Sicilia è anche terra di accoglienza, così come viene evidenziato attraverso la mostra Hotel des Etrangers6, grazie al contributo di un gruppo di artisti stranieri che ormai da tempo vive in Sicilia. Tra questi, l’attenzione viene posta su tre artisti, Hilde Margani Escher, Juan Esperanza e Nelida Amada Mendoza, che rappresentano il gruppo di artisti stranieri appartenenti anche alla collezione di Museum. Questa doppia natura di straniero appartenente ad una collezione di artisti specificamente siciliana, è stato il fulcro di un’indagine che attraverso l’intervista diretta, ha cercato di metterne a fuoco la particolare condizione. Il Viaggio in Sicilia intrapreso al fine di incontrare questi artisti, ha consentito di comprendere le ragioni delle scelte di vita di ciascuno dei tre artisti “naturalizzati” siciliani, poiché da esse hanno preso forma lo stile e la poetica che contraddistinguono la loro produzione artistica. Ne è così scaturita una riflessione su identità e appartenenza culturale, fattori che giustificano la loro presenza nella collezione di Museum, che ha fatto e fa dell’identità siciliana la propria ragione d’essere.
14-apr-2014
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