Tra le principali questioni che investono la dimensione interpretativa delle feste popolari restano quelle relative all’utilità delle fonti storiche (archeologiche e documentali) ai fini della comprensione del presente rituale, alle presunte continuità cronologiche di pratiche e credenze e alla legittimità dell’uso del metodo comparativo. Tali questioni appaiono oggi particolarmente cogenti e meritano di essere ripresi sulla base di rinnovate indagini e riflessioni dinanzi alla ormai avvenuta dissoluzione di quella che è stata definita “civiltà contadina” e ai rinnovati interessi verso il patrimonio immateriale di comunità alla ricerca di matrici identitarie, di istituzioni pubbliche e dal cosiddetto “mercato culturale”. Possiamo e dobbiamo ritornare a chiederci: le testimonianze materiali e immateriali del passato, anche il più remoto, possono aiutarci a comprendere ciò che osserviamo declinarsi negli attuali contesti festivi e, di converso, le odierne o appena trascorse espressioni del folklore possono contribuire a chiarire il senso di storie e di riti assai più antichi? E, se sì, in che misura? Quali sono, sempreché ritenuti effettivamente esistenti, la natura e lo spessore di questi rapporti diacronici? E qualora, con tutte le attenzioni del caso, si ritenga di poter riconoscere, in precisi e circoscritti contesti, una qualche analogia se non addirittura una qualche continuità tra passato e presente rituali, si tratta di mere continuità formali o c’è qualcosa di più? I significati e le funzioni dei riti, le motivazioni e le aspettative dei devoti di ieri e di oggi hanno qualcosa in comune? Sono davvero così radicalmente diversi come si sarebbe indotti a credere considerando le distanze cronologiche e spaziali e l’indimostrabilità (in larga parte dei casi) dell’assenza di soluzioni di continuità di pratiche cultuali e rituali? Ad esempio: è possibile che solo per un curioso accidente, una fortuita coincidenza, le donne di Gela si rechino in pellegrinaggio settembrino insieme ai loro figli per porli sotto la protezione della Madonna nello stesso luogo ove sorgeva un Santuario dedicato a Demetra e Core e presso il quale sono state rinvenute statuette fittili raffiguranti donne offerenti con bambini? Assolutamente no, direi in questa circostanza. Allo stesso tempo asserendo con forza che, se nel caso del pellegrinaggio e della festa di San Silvestro da Troina non possiamo ritenere di trovarci di fronte a una dafneforia sfuggita alla macchina del tempo, a Gela non può trattarsi di Tesmoforie cristianizzate, di “sopravvissuti” e “indigesti” frammenti del più remoto passato. Non già e non solo perchè le fedeli della Vergine non pernottano nei pressi del santuario e non sacrificano maialini come si usava per le Dee ctonie; piuttosto perché le Tesmoforie furono cerimonie assai più complesse e articolate, dirette a rispondere non solo a esigenze inerenti il ciclo della vita individuale ma anche a fondamentali istanze cosmologiche. In ogni caso ciò che osserviamo a Gela è un rito pienamente funzionale all’interno del sistema di credenze di cui è parte poiché una religione, come una lingua, è il risultato dell’organizzazione di elementi giunti dall’esterno, o ereditati dal passato, reinterpretati in un quadro nuovo, strutturato e coerente. Se è sicuramente vero che «non si spiega un’usanza mostrando che esistevano un tempo usanze simili» ma «la si spiega mettendo in luce il legame che, in modo permanente, le unisce a certe condizioni di fatto», è proprio al livello delle condizioni che le hanno generate e delle istanze che ne hanno consentito la reiterazione nel tempo che vanno trovate le ragioni delle “somiglianze di famiglia” ed è da questo livello che devono partire le spiegazioni sulla variabilità e sulla costanza dei sensi e delle funzioni degli istituti festivi e dei loro apparati simbolici. E queste condizioni e ragioni sono, in primo luogo, il permanere storico di determinati regimi esistenziali e delle relative ideologie religiose e sociali. La visione del mondo di chi vive dei prodotti della terra e del mare (agricoltori e pescatori) o dipende comunque dai cicli vegetativi (pastori) è indissolubilmente legata ai ritmi stagionali, i quali, prima dell’avvento di moderne tecnologie capaci di modificarne gli effetti su piante e animali, condizionavano tipi, tecniche e tempi della produzione. Questi ultimi, a loro volta, nelle società tradizionali scandivano i ritmi della vita sociale e con essa l’avvicendarsi di tempi sacri e profani. Lungi dal voler riproporre forme di rigido determinismo economico, non si può negare una necessaria intima relazione tra ideologia magico-religiosa ed attività produttive e osservare come siano la periodicità naturale e quella ergologica a ritmare la vita delle comunità e a dare ragione della scansione delle feste e del loro simbolismo e come siano, prima di ogni altro fattore, le istanze vitali e le derivate credenze a riempire i riti festivi di contenuti (di forme, di sensi e di funzioni) largamente comuni. È in ragione di questa relazione che sia sul piano morfologico che su quello funzionale, come cercherò di dimostrare, si possono osservare similitudini e analogie tra le espressioni mitiche e rituali delle culture del Mediterraneo antico e tra queste e quelle della cultura folklorica. È sempre in ragione di questa relazione che, in assenza di sostanziali trasformazioni nei tempi e nei modi della produzione agro-pastorale, si è potuta determinare a livello cerimoniale, pur all’interno delle complesse dinamiche storiche che hanno interessato le diverse regioni, la trasmissione nel tempo e nello spazio di credenze, di riti e dei connessi sistemi simbolici. Mi sentirei pertanto di dire: è al livello delle visioni del mondo, delle comuni e primarie istanze della produzione e della riproduzione, che bisogna guardare per comprendere certe analogie formali, semantiche e funzionali tra riti, miti e simboli; è dalle comuni o peculiari risposte culturali a queste istanze primarie, prima ancora che dai rapporti storici intercorsi tra i popoli e le culture euro-mediterranee, che derivano certe analogie; è attraverso l’analisi diacronica dell’articolazione di queste risposte, comunque determinate e circoscritte dalla stessa fisiologia umana, che si chiariscono certe continuità spaziali e temporali delle forme rituali e dei simboli che le sostanziano; non è al solo livello della mera successione fenomenica, dunque dei significanti, né della sola analisi sociologica che possono e devono concentrarsi le attenzioni di coloro che cercano le ragioni dell’essere nel divenire.
Buttitta, I. (2013). Continuità delle forme e mutamento dei sensi. Ricerche e analisi sul simbolismo rituale. Acireale-Roma : Bonanno.
Continuità delle forme e mutamento dei sensi. Ricerche e analisi sul simbolismo rituale
BUTTITTA, Ignazio
2013-01-01
Abstract
Tra le principali questioni che investono la dimensione interpretativa delle feste popolari restano quelle relative all’utilità delle fonti storiche (archeologiche e documentali) ai fini della comprensione del presente rituale, alle presunte continuità cronologiche di pratiche e credenze e alla legittimità dell’uso del metodo comparativo. Tali questioni appaiono oggi particolarmente cogenti e meritano di essere ripresi sulla base di rinnovate indagini e riflessioni dinanzi alla ormai avvenuta dissoluzione di quella che è stata definita “civiltà contadina” e ai rinnovati interessi verso il patrimonio immateriale di comunità alla ricerca di matrici identitarie, di istituzioni pubbliche e dal cosiddetto “mercato culturale”. Possiamo e dobbiamo ritornare a chiederci: le testimonianze materiali e immateriali del passato, anche il più remoto, possono aiutarci a comprendere ciò che osserviamo declinarsi negli attuali contesti festivi e, di converso, le odierne o appena trascorse espressioni del folklore possono contribuire a chiarire il senso di storie e di riti assai più antichi? E, se sì, in che misura? Quali sono, sempreché ritenuti effettivamente esistenti, la natura e lo spessore di questi rapporti diacronici? E qualora, con tutte le attenzioni del caso, si ritenga di poter riconoscere, in precisi e circoscritti contesti, una qualche analogia se non addirittura una qualche continuità tra passato e presente rituali, si tratta di mere continuità formali o c’è qualcosa di più? I significati e le funzioni dei riti, le motivazioni e le aspettative dei devoti di ieri e di oggi hanno qualcosa in comune? Sono davvero così radicalmente diversi come si sarebbe indotti a credere considerando le distanze cronologiche e spaziali e l’indimostrabilità (in larga parte dei casi) dell’assenza di soluzioni di continuità di pratiche cultuali e rituali? Ad esempio: è possibile che solo per un curioso accidente, una fortuita coincidenza, le donne di Gela si rechino in pellegrinaggio settembrino insieme ai loro figli per porli sotto la protezione della Madonna nello stesso luogo ove sorgeva un Santuario dedicato a Demetra e Core e presso il quale sono state rinvenute statuette fittili raffiguranti donne offerenti con bambini? Assolutamente no, direi in questa circostanza. Allo stesso tempo asserendo con forza che, se nel caso del pellegrinaggio e della festa di San Silvestro da Troina non possiamo ritenere di trovarci di fronte a una dafneforia sfuggita alla macchina del tempo, a Gela non può trattarsi di Tesmoforie cristianizzate, di “sopravvissuti” e “indigesti” frammenti del più remoto passato. Non già e non solo perchè le fedeli della Vergine non pernottano nei pressi del santuario e non sacrificano maialini come si usava per le Dee ctonie; piuttosto perché le Tesmoforie furono cerimonie assai più complesse e articolate, dirette a rispondere non solo a esigenze inerenti il ciclo della vita individuale ma anche a fondamentali istanze cosmologiche. In ogni caso ciò che osserviamo a Gela è un rito pienamente funzionale all’interno del sistema di credenze di cui è parte poiché una religione, come una lingua, è il risultato dell’organizzazione di elementi giunti dall’esterno, o ereditati dal passato, reinterpretati in un quadro nuovo, strutturato e coerente. Se è sicuramente vero che «non si spiega un’usanza mostrando che esistevano un tempo usanze simili» ma «la si spiega mettendo in luce il legame che, in modo permanente, le unisce a certe condizioni di fatto», è proprio al livello delle condizioni che le hanno generate e delle istanze che ne hanno consentito la reiterazione nel tempo che vanno trovate le ragioni delle “somiglianze di famiglia” ed è da questo livello che devono partire le spiegazioni sulla variabilità e sulla costanza dei sensi e delle funzioni degli istituti festivi e dei loro apparati simbolici. E queste condizioni e ragioni sono, in primo luogo, il permanere storico di determinati regimi esistenziali e delle relative ideologie religiose e sociali. La visione del mondo di chi vive dei prodotti della terra e del mare (agricoltori e pescatori) o dipende comunque dai cicli vegetativi (pastori) è indissolubilmente legata ai ritmi stagionali, i quali, prima dell’avvento di moderne tecnologie capaci di modificarne gli effetti su piante e animali, condizionavano tipi, tecniche e tempi della produzione. Questi ultimi, a loro volta, nelle società tradizionali scandivano i ritmi della vita sociale e con essa l’avvicendarsi di tempi sacri e profani. Lungi dal voler riproporre forme di rigido determinismo economico, non si può negare una necessaria intima relazione tra ideologia magico-religiosa ed attività produttive e osservare come siano la periodicità naturale e quella ergologica a ritmare la vita delle comunità e a dare ragione della scansione delle feste e del loro simbolismo e come siano, prima di ogni altro fattore, le istanze vitali e le derivate credenze a riempire i riti festivi di contenuti (di forme, di sensi e di funzioni) largamente comuni. È in ragione di questa relazione che sia sul piano morfologico che su quello funzionale, come cercherò di dimostrare, si possono osservare similitudini e analogie tra le espressioni mitiche e rituali delle culture del Mediterraneo antico e tra queste e quelle della cultura folklorica. È sempre in ragione di questa relazione che, in assenza di sostanziali trasformazioni nei tempi e nei modi della produzione agro-pastorale, si è potuta determinare a livello cerimoniale, pur all’interno delle complesse dinamiche storiche che hanno interessato le diverse regioni, la trasmissione nel tempo e nello spazio di credenze, di riti e dei connessi sistemi simbolici. Mi sentirei pertanto di dire: è al livello delle visioni del mondo, delle comuni e primarie istanze della produzione e della riproduzione, che bisogna guardare per comprendere certe analogie formali, semantiche e funzionali tra riti, miti e simboli; è dalle comuni o peculiari risposte culturali a queste istanze primarie, prima ancora che dai rapporti storici intercorsi tra i popoli e le culture euro-mediterranee, che derivano certe analogie; è attraverso l’analisi diacronica dell’articolazione di queste risposte, comunque determinate e circoscritte dalla stessa fisiologia umana, che si chiariscono certe continuità spaziali e temporali delle forme rituali e dei simboli che le sostanziano; non è al solo livello della mera successione fenomenica, dunque dei significanti, né della sola analisi sociologica che possono e devono concentrarsi le attenzioni di coloro che cercano le ragioni dell’essere nel divenire.File | Dimensione | Formato | |
---|---|---|---|
Buttitta.pdf
Solo gestori archvio
Dimensione
3.54 MB
Formato
Adobe PDF
|
3.54 MB | Adobe PDF | Visualizza/Apri Richiedi una copia |
I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.