La presenza della clausola restitutoria nel programma di giudizio della rei vindicatio per formulam petitoriam fornì alla giurisprudenza romana lo spunto per affermare il principio secondo il quale il giudice, rigorosamente vincolato ai termini esplicitamente o implicitamente contenuti nella formula, avrebbe potuto condannare il convenuto che non avesse restituito il bene rivendicato solo in quanto costui ne avesse avuto il possesso. Come risulta dalla lettura del testo riferito dai compilatori giustinianei in D. 6.1.9, alcuni giuristi della prima età classica, fra cui Pegaso, intesero tale possesso come quello tutelato in via interdittale. Ulpiano, invece, riteneva che ai fini della legittimazione passiva all’azione di rivendica rilevasse piuttosto la facultas restituendi, considerata come possibilità – materiale e giuridica – di restituire all’attore il bene oggetto della controversia. In alcune fattispecie particolari, come quelle dei beni tenuti da filii familias o dati in deposito, l’abbandono della teoria di Pegaso e l’adozione di quella prospettata da Ulpiano comportarono una diversa soluzione circa la determinazione della cerchia dei soggetti passivamente legittimati alla rei vindicatio. Nel corso dell’età classica i princìpi della procedura formulare, poi sovvertiti in età giustinianea, si applicarono anche nei confronti di chi avesse perduto dolosamente il possesso del bene rivendicato (qui dolo desiit possidere) prima della litis contestatio e del non possessore che, pur consapevole di non possedere, avesse accettato di rem defendere allo scopo di distogliere l’attore dall’esperire l’azione contro l’effettivo possessore (qui liti se optulit): il giudice non avrebbe potuto che assolverli. Un attento riesame della questione relativa all’individuazione dell’unico caso menzionato nelle Istituzioni di Giustiniano (I. 4.6.2) nel quale il possessore del bene rivendicato potesse sostenere la lite nel ruolo di attore, anziché in quello di convenuto, consente di ipotizzare che esso fosse quello, previsto in D. 7.9.12, della rei vindicatio esperita dal nudo proprietario nei confronti dell’usufruttuario.

Marrone, M., Varvaro, M. (a cura di). (2025). La legittimazione passiva alla rei vindicatio: (Corso di diritto romano). Edizione rivista con una nota di lettura e un indice delle fonti a cura di Mario Varvaro. Palermo : Palermo University Press.

La legittimazione passiva alla rei vindicatio: (Corso di diritto romano). Edizione rivista con una nota di lettura e un indice delle fonti a cura di Mario Varvaro

Matteo Marrone
;
Varvaro Mario
2025-01-01

Abstract

La presenza della clausola restitutoria nel programma di giudizio della rei vindicatio per formulam petitoriam fornì alla giurisprudenza romana lo spunto per affermare il principio secondo il quale il giudice, rigorosamente vincolato ai termini esplicitamente o implicitamente contenuti nella formula, avrebbe potuto condannare il convenuto che non avesse restituito il bene rivendicato solo in quanto costui ne avesse avuto il possesso. Come risulta dalla lettura del testo riferito dai compilatori giustinianei in D. 6.1.9, alcuni giuristi della prima età classica, fra cui Pegaso, intesero tale possesso come quello tutelato in via interdittale. Ulpiano, invece, riteneva che ai fini della legittimazione passiva all’azione di rivendica rilevasse piuttosto la facultas restituendi, considerata come possibilità – materiale e giuridica – di restituire all’attore il bene oggetto della controversia. In alcune fattispecie particolari, come quelle dei beni tenuti da filii familias o dati in deposito, l’abbandono della teoria di Pegaso e l’adozione di quella prospettata da Ulpiano comportarono una diversa soluzione circa la determinazione della cerchia dei soggetti passivamente legittimati alla rei vindicatio. Nel corso dell’età classica i princìpi della procedura formulare, poi sovvertiti in età giustinianea, si applicarono anche nei confronti di chi avesse perduto dolosamente il possesso del bene rivendicato (qui dolo desiit possidere) prima della litis contestatio e del non possessore che, pur consapevole di non possedere, avesse accettato di rem defendere allo scopo di distogliere l’attore dall’esperire l’azione contro l’effettivo possessore (qui liti se optulit): il giudice non avrebbe potuto che assolverli. Un attento riesame della questione relativa all’individuazione dell’unico caso menzionato nelle Istituzioni di Giustiniano (I. 4.6.2) nel quale il possessore del bene rivendicato potesse sostenere la lite nel ruolo di attore, anziché in quello di convenuto, consente di ipotizzare che esso fosse quello, previsto in D. 7.9.12, della rei vindicatio esperita dal nudo proprietario nei confronti dell’usufruttuario.
2025
rei vindicatio; formular procedure; Roman Law
978-88-5509-756-7
Marrone, M., Varvaro, M. (a cura di). (2025). La legittimazione passiva alla rei vindicatio: (Corso di diritto romano). Edizione rivista con una nota di lettura e un indice delle fonti a cura di Mario Varvaro. Palermo : Palermo University Press.
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