Benché i modelli della “globalizzazione” abbiano coinvolto l’intero pianeta, una piccola comunità iblea, dalle origini agropastorali, ancora si riconosce in un sistema musicale-sonoro di tradizione orale che abbraccia tutte le fasi della vita associata. I documenti sonori contenuti nei due dischi allegati al volume offrono una straordinaria testimonianza di questo repertorio. Sessantotto sono stati registrati nel corso dei rilevamenti da me condotti tra il 1987 e il 2005. A questi si aggiungono dieci preziose registrazioni provenienti dagli Archivi di Etnomusicologia dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia (fino al 1989 Centro Nazionale Studi di Musica Popolare) e dalle collezioni dell’Associazione per la Conservazione delle tradizioni popolari di Palermo. Quello che emerge dall’ascolto dei due dischi, dalla lettura dei testi poetici e delle trascrizioni musicali è una dimensione esistenziale immersa in una forte sacralità. I tocchi delle campane, soliti annunziare al paese eventi festosi, come il battesimo e il matrimonio, (ma anche luttuosi) aprono infatti i due dischi. Preludio, nel primo caso, della nascita, quando ninnananne e filastrocche codificavano la dimensione dell’infanzia e scandivano le varie fasi della crescita. Una parte considerevole di suoni e canti, presenti nel primo disco, sono inoltre dedicati all’amore, soggetto privilegiato delle canzuni in occasione delle serenate associate al corteggiamento e al fidanzamento. Il matrimonio, e tutta la fase preliminare, rappresentava uno dei momenti più importanti del ciclo della vita e richiedeva pertanto una forte ritualizzazione, espressa anche attraverso un repertorio musicale sia vocale che strumentale: ne siano da esempi generi ancora in uso come la tarantella, la polka, il valzer, la mazurca e la quadriglia o contraddanza, che ricorrono in forma diffusa nei nostri dischi, eseguite da quelle “orchestrine artigiane” che, con strumenti musicali a corde, accompagnavano le feste e altri importanti momenti della vita collettiva. Una rarità assoluta è qui costituita dal repertorio delle musiche funebri del lutto e del cordoglio. Gli antichi lamenti del mondo mediterraneo che accompagnavano il defunto nel passaggio verso il trascendente, sono oggi quasi del tutto scomparsi mentre ancora piuttosto vitale si presenta l’uso di accompagnare i funerali con marce funebri, eseguite anche durantei giorni della Settimana Santa. Affidati alla memoria degli anziani sono invece i canti che scandivano i tempi della mietitura e della trebbiatura, nel rispetto dell’antica sacralità del grano e della terra: si cantava di tutto, avvicendandosi a voce solista o coralmente, dagli stornelli alle canzonette moderne, dai canti d’amore e di sdegno alle “storie” sacre e profane. Al trasporto dei cereali e di altre merci in genere, era strettamente correlato il canto dei carrettieri, oggetto di interminabili sfide canore durante le soste nei fondaci, per misurare la prodezza e la perizia di questo mirabile esempio di canto monodico siciliano. Se il canto del carrettiere, malgrado sia scomparsa la funzione d’uso, esprime ancora l’identità del mestiere, in rapido e inesorabile declino sembrano invece tutti gli altri generi musicali legati al lavoro tradizionale, dai canti delle lavandaie ai suoni dei pastori e dei fabbri ferrai. Arcaici esorcismi e scongiuri, invocazioni rituali e pratiche divinatorie legate al culto patronale per santa Sofia attestano infine la persistenza di significativi sincretismi magico-religiosi.

Bonanzinga, S. (2008). Sortino. Suoni, voci, memorie della tradizione. PALERMO : Regione Siciliana, Assessorato dei Beni culturali.

Sortino. Suoni, voci, memorie della tradizione

BONANZINGA, Sergio
2008-01-01

Abstract

Benché i modelli della “globalizzazione” abbiano coinvolto l’intero pianeta, una piccola comunità iblea, dalle origini agropastorali, ancora si riconosce in un sistema musicale-sonoro di tradizione orale che abbraccia tutte le fasi della vita associata. I documenti sonori contenuti nei due dischi allegati al volume offrono una straordinaria testimonianza di questo repertorio. Sessantotto sono stati registrati nel corso dei rilevamenti da me condotti tra il 1987 e il 2005. A questi si aggiungono dieci preziose registrazioni provenienti dagli Archivi di Etnomusicologia dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia (fino al 1989 Centro Nazionale Studi di Musica Popolare) e dalle collezioni dell’Associazione per la Conservazione delle tradizioni popolari di Palermo. Quello che emerge dall’ascolto dei due dischi, dalla lettura dei testi poetici e delle trascrizioni musicali è una dimensione esistenziale immersa in una forte sacralità. I tocchi delle campane, soliti annunziare al paese eventi festosi, come il battesimo e il matrimonio, (ma anche luttuosi) aprono infatti i due dischi. Preludio, nel primo caso, della nascita, quando ninnananne e filastrocche codificavano la dimensione dell’infanzia e scandivano le varie fasi della crescita. Una parte considerevole di suoni e canti, presenti nel primo disco, sono inoltre dedicati all’amore, soggetto privilegiato delle canzuni in occasione delle serenate associate al corteggiamento e al fidanzamento. Il matrimonio, e tutta la fase preliminare, rappresentava uno dei momenti più importanti del ciclo della vita e richiedeva pertanto una forte ritualizzazione, espressa anche attraverso un repertorio musicale sia vocale che strumentale: ne siano da esempi generi ancora in uso come la tarantella, la polka, il valzer, la mazurca e la quadriglia o contraddanza, che ricorrono in forma diffusa nei nostri dischi, eseguite da quelle “orchestrine artigiane” che, con strumenti musicali a corde, accompagnavano le feste e altri importanti momenti della vita collettiva. Una rarità assoluta è qui costituita dal repertorio delle musiche funebri del lutto e del cordoglio. Gli antichi lamenti del mondo mediterraneo che accompagnavano il defunto nel passaggio verso il trascendente, sono oggi quasi del tutto scomparsi mentre ancora piuttosto vitale si presenta l’uso di accompagnare i funerali con marce funebri, eseguite anche durantei giorni della Settimana Santa. Affidati alla memoria degli anziani sono invece i canti che scandivano i tempi della mietitura e della trebbiatura, nel rispetto dell’antica sacralità del grano e della terra: si cantava di tutto, avvicendandosi a voce solista o coralmente, dagli stornelli alle canzonette moderne, dai canti d’amore e di sdegno alle “storie” sacre e profane. Al trasporto dei cereali e di altre merci in genere, era strettamente correlato il canto dei carrettieri, oggetto di interminabili sfide canore durante le soste nei fondaci, per misurare la prodezza e la perizia di questo mirabile esempio di canto monodico siciliano. Se il canto del carrettiere, malgrado sia scomparsa la funzione d’uso, esprime ancora l’identità del mestiere, in rapido e inesorabile declino sembrano invece tutti gli altri generi musicali legati al lavoro tradizionale, dai canti delle lavandaie ai suoni dei pastori e dei fabbri ferrai. Arcaici esorcismi e scongiuri, invocazioni rituali e pratiche divinatorie legate al culto patronale per santa Sofia attestano infine la persistenza di significativi sincretismi magico-religiosi.
2008
Settore L-ART/08 - Etnomusicologia
978-88-903321-1-1
Bonanzinga, S. (2008). Sortino. Suoni, voci, memorie della tradizione. PALERMO : Regione Siciliana, Assessorato dei Beni culturali.
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