L’immagine sembra oggi il vero obiettivo del progetto di molte architetture. “Immagine” e non “forma”: è bene non confondere le due locuzioni, dove la seconda non rinvia soltanto a ciò che si vede, ma anche a tutto il pensiero che le ha dato sostanza. Certo, l’immagine, nel momento stesso in cui è percepita assume il valore di segno. Ma segno di quale significato? Spesso un significato stereotipo, estratto da una insieme di valori convenzionalmente dichiarati positivi. Non è facile distinguere quanto di semplice immagine o di vera forma ci sia. Nello scenario dell’architettura sembra che il problema, come sempre, si ponga in termini di “novità”: una forma riesce ad essere tale, e non solo un’immagine di qualcosa, quando è nuova, non un “déjà vu”, una diversità rispetto a visioni consolidate. Ma sappiamo che in architettura non è questa l’innovazione, ma essa implica veramente un cambiamento di sapere, un’acquisizione di nuove concezioni, di nuovi contenuti e quindi di nuovi significati. Le premesse teoriche sulle quali essi pretendono di aprirsi alla scena della “New Architecture” destano non poche perplessità. Fondamentalmente esse sono: il preteso valore autonomo delle figure, che è possibile creare e rappresentare con i software CAD, ed in particolare di quelle in qualche modo collegabili alla nuove acquisizioni scientifiche ed agli sviluppi della filosofia contemporanea. Ambedue riflettono una pretesa ancor più generale: il ritenere che solo queste posizioni siano in sintonia con la cultura contemporanea più avanzata. Nasce il dubbio che tutte queste affermazioni, insieme alla evidente capacità di “épater les bourgeois” di certe architetture, generi un consenso che possa rivelarsi effimero, così come lo è stato per l’architettura postmoderna e decostruttiva. L’era “digitale” perora ha dato quasi esclusivamente questi prodotti, linguaggi che sembrano emergenti più da fatti strumentali e procedurali, con riflessioni quindi limitate soprattutto alla forma, e non con un’attenzione alle necessità dello spazio, in tutte le sue articolazioni esistenziali, comprese quelle veramente filosofiche. Prova ne sia che la forma, in quanto non diretta espressione di una completa ricerca spaziale, rimane o diventa molto spesso “immagine”, nella continua ricerca di una visibilità ad ogni costo. L’involucro, anziché interfaccia dell’architettura ed espressione della sua conformazione, diventa supporto mediatico di comunicazione e solo strumento rappresentativo di questa.

PELLITTERI, G. (2010). L'involucro architettonico. Declinazioni digitali e nuovi linguaggi. Palermo : Fotograf.

L'involucro architettonico. Declinazioni digitali e nuovi linguaggi

PELLITTERI, Giuseppe
2010-01-01

Abstract

L’immagine sembra oggi il vero obiettivo del progetto di molte architetture. “Immagine” e non “forma”: è bene non confondere le due locuzioni, dove la seconda non rinvia soltanto a ciò che si vede, ma anche a tutto il pensiero che le ha dato sostanza. Certo, l’immagine, nel momento stesso in cui è percepita assume il valore di segno. Ma segno di quale significato? Spesso un significato stereotipo, estratto da una insieme di valori convenzionalmente dichiarati positivi. Non è facile distinguere quanto di semplice immagine o di vera forma ci sia. Nello scenario dell’architettura sembra che il problema, come sempre, si ponga in termini di “novità”: una forma riesce ad essere tale, e non solo un’immagine di qualcosa, quando è nuova, non un “déjà vu”, una diversità rispetto a visioni consolidate. Ma sappiamo che in architettura non è questa l’innovazione, ma essa implica veramente un cambiamento di sapere, un’acquisizione di nuove concezioni, di nuovi contenuti e quindi di nuovi significati. Le premesse teoriche sulle quali essi pretendono di aprirsi alla scena della “New Architecture” destano non poche perplessità. Fondamentalmente esse sono: il preteso valore autonomo delle figure, che è possibile creare e rappresentare con i software CAD, ed in particolare di quelle in qualche modo collegabili alla nuove acquisizioni scientifiche ed agli sviluppi della filosofia contemporanea. Ambedue riflettono una pretesa ancor più generale: il ritenere che solo queste posizioni siano in sintonia con la cultura contemporanea più avanzata. Nasce il dubbio che tutte queste affermazioni, insieme alla evidente capacità di “épater les bourgeois” di certe architetture, generi un consenso che possa rivelarsi effimero, così come lo è stato per l’architettura postmoderna e decostruttiva. L’era “digitale” perora ha dato quasi esclusivamente questi prodotti, linguaggi che sembrano emergenti più da fatti strumentali e procedurali, con riflessioni quindi limitate soprattutto alla forma, e non con un’attenzione alle necessità dello spazio, in tutte le sue articolazioni esistenziali, comprese quelle veramente filosofiche. Prova ne sia che la forma, in quanto non diretta espressione di una completa ricerca spaziale, rimane o diventa molto spesso “immagine”, nella continua ricerca di una visibilità ad ogni costo. L’involucro, anziché interfaccia dell’architettura ed espressione della sua conformazione, diventa supporto mediatico di comunicazione e solo strumento rappresentativo di questa.
2010
978-88-95272-89-4
PELLITTERI, G. (2010). L'involucro architettonico. Declinazioni digitali e nuovi linguaggi. Palermo : Fotograf.
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